ATTENZIONE: lievissimo pericolo spoiler per chi non ha visto Stranger Things 2! Proseguite a vostro rischio e pericolo.
La seconda stagione di quella che ormai è divenuta una delle serie tv di punta di Netflix ha davvero fatto parlare molto di sé, e tutti hanno scoperto di aver qualcosa da dire in merito. Finché si parlava delle citazioni sugli anni Ottanta, l’atmosfera era ancora vivibile. Poi hanno tirato fuori il razzismo e il sessismo, e la situazione è degenerata.
Infatti, se i giornali innalzano Stranger Things agli allori della rappresentatività perché “ci sono le donne forti”, altri blogger si impegnano a spalarci sopra camionate di merda perché “non si è fatto abbastanza”. A tal proposito, questi ultimi fanno notare come le donne protagoniste siano sempre in schiacciante minoranza rispetto ai loro colleghi, e abbiano poche opportunità di interagire le une con le altre, senza considerare che i personaggi di colore restano sempre pochissimi.
Slittare da un estremo all’altro sembra facilissimo. E a me i giudizi particolarmente facili irritano molto. Quindi, Stranger Things è un’opera molto progressista solo nelle apparenze?
Partiamo dalla base, ossia dai numeri: sì, in Stranger Things i personaggi femminili sono numericamente inferiori rispetto a quelli maschili, e quelli di colore sono ancora più in minoranza. Ora, sappiamo che quantità non è sinonimo di qualità, ma non dobbiamo dimenticarci che la quantità ci impedisce di (ri)cadere nel cliché del token character, del personaggio “diverso” inserito nel cast come contentino politico per le minoranze, risultando spesso mal gestito e stereotipato.
Sentite quella perturbazione nella Forza? Sono i nostri film preferiti degli anni Ottanta (ma non solo!) che si sentono tirati in causa, a partire da Ghostbusters, che decisamente non brilla per il trattamento del solo nero del team: infatti Winston non solo non è uno scienziato (come giustamente nota Lucas), ma ha anche una pessima caratterizzazione a causa dei tagli fatti alla storyline del suo personaggio.
Sentite quest’altra perturbazione nella Forza? È tutta quella parte di Stranger Things costruita come tributo agli anni Ottanta, che ha ricalcato i cliché dell’epoca anche nei loro aspetti negativi. Tuttavia, i fratelli Duffer non si approcciano agli anni Ottanta in maniera acritica, perché, pur usandone i cliché, li reinterpretano molto, e bene.
Lucas non è la quota nera del party, ma ne è un membro indispensabile, oltre che dotato di una storyline ben approfondita nella seconda stagione. E, soprattutto, è un membro del gruppo perché parimenti nerd e intelligente: ridurlo al ruolo di linea comica alla Winston solo perché nero sarebbe stato ingiusto e riduttivo.
Riguardo poi alla generale mancanza di persone di colore, le cose magicamente cambiano non appena lasciamo Hawkins per una grande città: da solo, infatti, il bellissimo gruppo di Kali vede più diversità di tutta la prima stagione di Stranger Things. Anche da questo punto di vista, quindi, si spera che in futuro si migliori ancora di più.
Similmente, le donne di Stranger Things non sono una quota rosa, ma personaggi a tutto tondo che agiscono in prima persona per ottenere risultati, invece di restare sullo sfondo a fare le cheerleader. Undici ha un intero arco di crescita individuale, Max avrà pur vita dura a entrare nel party, ma poi si rivelerà essenziale, Nancy riesce a vendicare la sua migliore amica, lasciando il suo triangolo amoroso di sottofondo, mentre Joyce si preoccuperà sempre per Will, ma lo farà affrontando i problemi di petto.
Devo però concordare con i più critici sul fatto che i maggiori personaggi femminili continuino a interagire poco tra loro. Un team-up tra Max, Nancy ed Undici avrebbe un potenziale narrativo elevatissimo, che sarebbe sprecato non vedere solo perché si vuole riesumare l’irritantissimo cliché delle ragazze gelose.
E vogliamo ignorare gli uomini bianchi del cast? Anche con loro, secondo me, viene fatto un bel lavoro di smontaggio dei cliché, e non solo nella magistrale gestione dei nerd, ma anche e soprattutto con Hopper e Steve i quali, con altri sceneggiatori, sarebbero finiti per l’essere semplicemente i machi del gruppo. Infatti, in Stranger Things i personaggi maschili positivi sono proprio quelli che si distanziano dalla classica concezione di mascolinità dura e ignorante, e dunque non nascondono la propria sensibilità. E coloro che lo fanno, come Billy, non sono meno protetti degli altri, quando incontrano bulli più grossi di loro.
Insomma, la serie dei fratelli Duffer non sarà la paladina della diversità di Netflix, e c’è ancora molto da migliorare, ma ciò non toglie che essa si impegni più di buona parte del grande cinema a scrivere personaggi complessi. E a omaggiare gli anni Ottanta, senza dimenticarsi che non sono stati un’epoca d’oro per tutti.
–Gloria Comandini–
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