L’autunno 2017 è senz’altro un periodo stupendo per gli amanti dell’horror vecchia scuola a base e di cuccioli di nerd impegnati a combattere abomini extra-dimensionali nella più provinciale provincia americana. Venerdì 27 ottobre è infatti iniziata, per i possessori di un account Netflix, la seconda stagione di Stranger Things, la serie capolavoro dei fratelli Duffer, che con una sapiente mescolanza di generi, un cast fenomenale (tra promettenti esordienti e veterani di lungo corso) e un’ondata di nostalgia per i gloriosi anni ’80 ha fatto innamorare fan in tutto il mondo.
Il volume secondo delle travagliate vicende di Hawkins sarà stato in grado di riconfermare i giudizi positivi raccolti dal proprio predecessore? Dopo un’attenta riflessione, in tutta sincerità la risposta è no. La seconda stagione non è bella come la prima: potenzialmente, è anche migliore.
Le vicende narrate si svolgono a un anno circa di distanza dalla conclusione della prima serie: siamo nell’ottobre del 1984, pressappoco a cavallo di Halloween. Dopo un’introduzione a dir poco sorprendente, eccoci di ritorno a Hawkins, per un aggiornamento sulle vite dei protagonisti.
Dopo il suo involontario soggiorno nel Sottosopra, Will Byers (Noah Schnapp) ha ormai avuto parecchio tempo per riabituarsi ai suoi amici Mike, Dustin e Lucas (Finn Wolfhard, Gaten Matarazzo e Caleb McLaughlin), anche se non tutto è tornato alla normalità.
Il ragazzino continua a soffrire di memorie intrusive e visioni della dimensione parallela, sulle quali incombe un’entità tentacolare da un incubo lovecraftiano. Non solo, ma la madre Joyce (una stellare Winona Ryder) ha sviluppato una (comprensibile) iperprotettività nei suoi confronti, e ha iniziato a frequentare Bob (Sean Austin): un uomo adorabile (seriamente, è impossibile non amare Samvise Gamgee) ma inefficace quanto inconsapevole degli oscuri trascorsi della famiglia Byers.
Se la prima stagione ruotava attorno al tema dei legami e alla loro scissione, questa volta i fratelli Duffer ci portano a stretto contatto con le conseguenze degli eventi traumatici: Will ha sviluppato un disturbo da stress post-traumatico coi fiocchi (ed è costretto, per la propria terapia, a ritornare proprio al misterioso laboratorio che ha dato origine a tutti i suoi problemi), Mike è in pieno lutto per la scomparsa di Undici (Millie Bobby Brown, la cui sorte non rimane certo un mistero a lungo) e tenta ancora disperatamente di rimettersi in contatto con lei, mentre sua sorella Nancy sta cercando di elaborare i sensi di colpa per aver provocato (seppure indirettamente) la morte dell’amica Barbara Holland (Shannon Purser), morte per la quale la famiglia non ha ricevuto né notizie, né risposte.
In mezzo a tutto questo, il povero poliziotto Jim Hopper (David Harbour) deve barcamenarsi tra segreti personali, uno scomodo accordo con l’Hawkins National Laboratory, e una misteriosa moria di piante che sembra sospettosamente di origine extra-planare: la posta in gioco è molto più alta rispetto a una prima stagione dove il peggio che poteva capitare era un Demogorgone selvatico o due…
Quel che la trama promette bene, il cast consegna anche meglio. Tra i ritorni dalla stagione precedente abbiamo l’enorme carisma di Hopper, le adorabili performance del gruppo di giovani protagonisti (ulteriormente migliorate rispetto alle già mirabili recitazioni della stagione precedente), e quelle di tutto rispetto degli “adolescenti” (la già citata Nancy, Joe Keery nella parte di Steve, e Charlie Heaton per Jonathan Byers).
Tra i nuovi arrivati troviamo poi delle piacevoli sorprese, a partire dall’affabile ma intimidatorio nuovo direttore del laboratorio (Paul Reiser, il Burke di Aliens del 1986), passando per Maxine (Sadie Sink), un maschiaccio dalla chioma fulva che porterà l’immancabile triangolo amoroso anche tra i quattro nanerottoli protagonisti, nonché di una misteriosa criminale di Pittsburgh, Kali (Linnea Berthelsen), un’altra fuggitiva dello stesso esperimento che ha visto Undi come cavia (in un ruolo che non le rende particolarmente giustizia, dato che rappresenta di gran lunga l’anello più debole dell’intera serie).
Molto ci sarebbe da aggiungere sull’ottima performance generale delle varie comparse, ma ci basta menzionare come contribuisca a mantenere intatto lo zeitgeist dei primi anni ’80, uno dei punti di forza della serie, al pari degli innumerevoli riferimenti (gli arcade della sala giochi in apertura, il primo volo del Challenger, l’amministrazione Reagan-Bush), e della colonna sonora, che unisce le iconiche tonalità elettroniche a una selezioni di pezzi d’epoca, dai Devo agli Scorpions.
L’effetto complessivo è quello di una gradevole continuità con quanto già visto, un’unione di punti di forza tradizionali con astute innovazioni sia a livello di trama che di sconvolgimento di tropi altrimenti visti fino alla nausea: un must assoluto per chi ha amato la prima stagione, e un ottimo motivo per iniziare a interessarsene, per quelli che finora l’hanno trascurata.
–Federico Brajda–
[amazon_link asins=’B01N9QOCPZ,B071KLHX6D,B06XGSMV2R’ template=’ProductCarousel’ store=’isolilly-21′ marketplace=’IT’ link_id=’07e7cbbb-c4dc-11e7-9253-3bad0ddd8208′]
Stranger Things 2 è riuscita a spodestare la prima stagione?
Federico Brajda
- La serie risponde a tutte le domande rimaste in sospeso, generandone al contempo altre ancora più intriganti;
- Interpretazioni pressoché impeccabili da parte di quasi tutto il cast;
- L’atmosfera è immersiva, vivida, realistica: un vero e proprio marchio di fabbrica;
- L’Episodio 7 massacra senza pietà il climax creato al termine del 6;
- In alcuni momenti sembra che il messaggio “anni ’80!” venga sbattuto in faccia un po’ troppe volte;
- Maxime e Billy talvolta paiono leggermente meno sul pezzo rispetto al resto dei personaggi;