Correva l’anno 2003: il mondo stava ancora abituandosi all’idea di una terza generazione di Pokémon, la PlayStation 2 e la prima Xbox erano considerate lo stato dell’arte dell’intrattenimento videoludico, e la Ubisoft, tra uno Splinter Cell e un Prince of Persia, pubblicava un po’ sotto sentina un titolo che all’E3 precedente aveva catturato l’attenzione (e soprattutto, le critiche) di molti. Si trattava dell’ultima fatica di Michel Ancel, nome noto per la paternità di Rayman, un’ambiziosa opera fantasy-fantascientifica, da alcuni considerata un (più o meno riuscito) Zelda nello spazio, che basava i suoi punti di forza su una grafica di qualità sorprendente (per l’epoca, beninteso) e un’ambientazione matura, Beyond Good & Evil.
Il nome, letteralmente “Al di là del Bene e del Male”, sembrava alludere già in partenza a una morale ambigua, e assieme alle dichiarazioni degli sviluppatori di voler creare un’esperienza di gioco di tipo non-lineare, dominata dalle scelte individuali piuttosto che da una serie di livelli a corridoio intervallati da qualche cut-scene di tanto in tanto, contribuì non poco ad alzare il livello delle aspettative.
Non proprio tutte furono soddisfatte (in particolare, il gioco si rivelò veramente piuttosto lineare), ma l’opera ottenne il plauso quasi assoluto da parte della critica, meritandosi anche una nomination per il titolo di gioco dell’anno al Games Developer Choice Award 2004 (premio che, per darvi una prospettiva, sarebbe invece andato al leggendario Half-Life 2 di Valve), ma fu uno dei principali flop dell’anno a livello di vendite, in un fallimento commerciale che in ogni caso non impedì la sua elevazione a status di cult da parte di un gruppo di irriducibili fan.
Cosa rendeva Beyond Good & Evil tanto speciale? Il suo carisma.
L’ambientazione e il preambolo, di per sé, non erano particolarmente originali: sul pianeta minerario di Hillys, da qualche parte nella tetra oscurità del futuro, c’è sempre e solo la solita guerra, questa volta contro degli insettoni alieni noti come DomZ, determinati a rapire gente a random (per ragioni non meglio precisate) e a infettare tutti gli altri con le proprie spore per renderli dei bravi schiavi-soldati. Unica speranza per gli umani (e per le altre razze ibride umano-animali del pianeta) è rappresentata dalle Squadre Alfa (Alpha Sections), braccio armato del locale regime fascista-militarista, tanto incompetenti che al loro confronto le Truppe Imperiali di Star Wars paiono una compagnia di Terminator degli Space Marine.
Partendo dal presupposto che nessuno possa essere tanto incapace se non di proposito, arriva dunque la nostra protagonista, Jade, una fotogiornalista-lottatrice professionale-gestrice di orfanotrofio con un conto in sospeso con i DomZ, che decide di svelare, per conto dei partigiani della resistenza, la verità sulle Squadre Alfa e sugli invasori alieni.
Queste quattro righe (a prova di spoiler) non possono però rendere l’idea di quanto vivida fosse l’esperienza di gioco: l’atmosfera, gli scenari dai caratteri fortemente europeo-industriali, e la colonna sonora di Christophe Heral a dir poco eccezionale, contribuivano in maniera magistrale a trasmettere l’idea (e le emozioni) di un mondo sull’orlo del collasso.
Similmente, a livello di gamplay, le meccaniche in verità non erano esattamente rivoluzionarie: nel corso dei combattimenti, l’unica novità era la possibilità di coordinarsi con un compagno NPC, ed eventualmente determinare come allocare al meglio le risorse tra lui e la protagonista. Anche in questo caso, però, l’aspetto puramente tecnico passava in secondo piano rispetto alla capacità di mostrare e sviluppare delle “vere” relazioni con i vari comprimari che affiancavano di volta in volta Jade nel corso delle sue peripezie, dentro e fuori dall’azione: un ottimo esempio di ciò vale per il rapporto tra la protagonista e il proprio “zio” Pey’j, via di mezzo tra un uomo, un maiale e un MacGuffin, ma un posto speciale nei miei ricordi è riservato a Doppia H, un soldato della resistenza che da ariete umano (nemmeno troppo brillante) vediamo evolvere in un personaggio vero e proprio, e in un fedele alleato per il quale non esiteremmo a rischiare la vita (in gioco).
Per queste e altre ragioni (inutile dissezionare tutto il gioco: vi consigliamo di provarlo in prima persona, magari nell’edizione rimasterizzata e full HD del 2011), a prescindere dal fatto che nessuno sembrava averlo comprato al lancio, il titolo non è mai veramente sparito dalle menti e dai cuori di tantissimi appassionati, anzi: col passare del tempo, sembra proprio che il suo seguito sia solamente cresciuto. Ne sono una prova l’edizione rilasciata su Xbox Live Arcade e PlayStation Network appena accennata, come pure la nuova conferma, avvenuta allo scorso E3, del fatto che il sequel inizialmente previsto non sia stato abbandonato: un Beyond Good & Evil 2 fu infatti annunciato già nel maggio 2008, ma più volte nel corso degli anni se ne sono perse le tracce, tanto da far pensare a una cancellazione del progetto.
Alla fine, dunque, nessuna cancellazione, ma comunque il nuovo progetto è stato ricostruito da zero: dalle informazioni trapelate finora, si tratterà di un prequel dell’originale, e si focalizzerà in particolar modo su aspetti più da GdR, con una struttura davvero non-lineare e ripercussioni sulla trama dipendenti dalle scelte dei personaggi. Ancel, sempre a capo del progetto, ha anche specificato che uno degli obiettivi di Ubisoft sarà quello di rendere il gioco il più accessibile possibile anche alle nuove generazioni di utenti, per non ripetere gli errori di quattordici anni fa.
Non ci resta che fare i nostri più sentiti auguri al team di sviluppo, nella speranza che riescano a rendere giustizia a una perla videoludica rimasta troppo tempo sconosciuta.
–Federico Brajda–
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