L’avvenimento dell’annata ruolistica, almeno di quella mainstream, si è consumato senza alcun dubbio all’uscita del Manuale del Giocatore di Adventures in Middle-earth (AiME) della Cubicle 7, il GdR che dovrebbe teletrasportare il mitologico background della Terra di Mezzo nel bel mezzo della OGL di D&D 5a edizione.
GdR dedicati al mondo del professor Tolkien non ne contiamo moltissimi (timore reverenziale?), ma quei pochi disponibili sono ben presenti nella mente degli appassionati, dall’amatissimo ma per certi versi ingombrante GiRSA (derivazione di quel Rolemaster considerato l’“Università” del GdR), sviluppato dalla I.C.E. e pubblicato in Italia da Stratelibri un paio di decenni fa, al più recente The One Ring della stessa Cubicle 7, del quale questo AiME è debitore quantomeno dal punto di vista dell’approccio.
E a proposito di approccio, come coniugare l’universo fantasy più famoso del globo col marchio sinonimo del gioco di ruolo (il quale, pur dovendo concettualmente tutto a Il Signore degli Anelli, rappresenta una concezione del fantasy ben diversa), senza snaturare né l’uno, né l’altro? Per esempio, come adattare la mistica sottile e in qualche modo implicita della Terra di Mezzo con un sistema che fa del Meteor Swarm il manifesto del suo approccio alla magia, senza far gridare al tradimento? Dopo l’analisi del manuale di più di 220 pagine e diverse ore di gioco, la conclusione è che Cubicle 7 ha provato a farlo tramite due strategie distinte e ben precise: da un lato prendendo le feature tipiche dei PG della 5a Edizione – e in senso generale del brand D&D – come classi, “razze” (Culture in AiME), background ed equipaggiamenti, e provando ad adattarle al meglio all’universo dell’Anello senza paura di stravolgerle; e dall’altro adattando regole o introducendo per l’occasione meccanismi “homebrew” nuovi di pacca, sempre nel tentativo di catturare il particolare e immortale fascino dell’ambientazione.
Prima di scoprire se Cubicle 7 abbia fatto centro o meno, due parole sulla “confezione”: i ragazzi inglesi vanno sul sicuro e ripropongono layout e artwork ispirati a quelli di The One Ring. Non è assolutamente un male, i colori sono evocativi ma mai invasivi, grafica e lettering mettono ancora una volta in scena greche, cornici e calligrafia che potrebbero benissimo stare nel “Libro Rosso dei Confini Occidentali”, e ci sono tocchi di classe come l’epistolario di Bard, Thranduil, Dain e nani assortiti a introdurre i vari capitoli. La grafica, insomma, assolve il suo compito egregiamente, catapultandoci a Dale e ai piedi della Montagna Solitaria sin da subito. Questo pur non potendo valutare il cartaceo nella sua interezza, data la fastidiosa e recente pratica di mettere a disposizione prima il PDF.
THE ROAD GOES EVER ON
Confermate quindi le anticipazioni riguardanti l’ambientazione: giocheremo principalmente nelle Wilderlands, sostanzialmente la parte della Terra di Mezzo a Est delle Montagne Nebbiose comprendente il corso dell’Anduin, Bosco Atro, ecc., nella sessantina d’anni che intercorrono tra gli eventi narrati ne Lo Hobbit e quelli de Il Signore degli Anelli, all’indomani della Battaglia delle Cinque Armate. Quindi Dale ricostruita sotto Re Bard, la Montagna Solitaria nuovamente dei nani, e via discorrendo: un periodo di pericoli e speranze, per definizione favorevole agli avventurieri.
Le razze di D&D vengono sostituite dalle più flessibili Culture che, benché garantiscano il meccanismo tipico della 5a Edizione dell’attribuzione di Proficiencies, bonus alle caratteristiche, e via di questo passo, consentono di differenziare le varie sfumature culturali umane tipiche della Terra di Mezzo: accanto a Nani della Montagna, Elfi del Reame Boscoso e Hobbit avremo quindi Uomini di Dale, del Lago, Uomini dei Boschi, Beorniani, Rohirrim e Dunedain, giocabili ognuna come “razza” a sé stante, al posto di un generico e quanto mai fuori luogo “Umano”. Strettamente legata a questa visione si inserisce l’introduzione delle “Cultural Virtues”, che fanno rientrare dalla finestra ciò che D&D 5.0 aveva scaraventato fuori dalla porta, relegandoli a mezza paginetta come regola opzionale del Manuale del Giocatore: i talenti. Suddivise in “Open” (accessibili a tutte le Culture) e “Cultural” (riservate alla relativa Cultura) e acquistabili a determinati livelli, le Virtues lavorano in modo non molto dissimile dai talenti regionali della cara, vecchia 3.X (ve li ricordate?), garantendo determinate eccellenze a determinate Culture, e aumentando quindi in maniera esponenziale la sensazione di giocare nella Middle-Earth.
Stesso approccio per quanto riguarda le Classi giocabili: sono solo sei, e formulate espressamente per essere coerenti con l’ambientazione. Se Warrior e Slayer sono tutto sommato riconducibili rispettivamente a Guerriero e Barbaro, le altre quattro classi hanno tutte un corrispettivo di qualche tipo nella narrativa tolkieniana. Il Treasure Hunter è sì un ladro, ma con forti componenti esplorative di bilbesca memoria, il Wanderer è un cacciatore-esploratore-apripista, il Warden un guerriero-ranger protettore delle terre civilizzate stile Ramingo, e lo Scholar un mistico/studioso/guaritore alla Radagast il Bruno. Notate nulla? Esatto, mancano gli incantatori, ringraziando i Valar. Cubicle 7 ha avuto il coraggio di prendere la decisione più azzeccata: niente magia invasiva, niente incantesimi. Ciò che vi si avvicina di più sono alcune capacità di Scholar, Warden e Wanderer e certe Virtù di Nani (le rune) ed Elfi, ma nulla di dirompente: se volevate sparare fulmini a catena nella pubblica piazza di Dale, avete sbagliato gioco e ambientazione.
OVER THE HILLS AND FAR AWAY
Sono due in particolare le nuove meccaniche di questo AiME che consentono di approfondire ulteriormente l’immersione nelle atmosfere della Terra di Mezzo. The Shadow permette di simulare le tentazioni dell’Ombra in occasione di particolari situazioni o comportamenti (Misdeeds) legati a doppio filo al background, tramite l’accumulo di Shadow Points: quando questi eccedono il punteggio di Saggezza si cade nello stato Miserable, nel quale si perde parzialmente il controllo del personaggio, tipo Gollum o Boromir quando aggredisce Frodo. Il meccanismo del Journey mette invece al centro il concetto tutto tolkieniano di Viaggio non come semplice catena di eventi, ma come occasione di cambiamento e interpretazione per i personaggi: in base a variabili geografiche e alla perizia dei personaggi impegnati in vari ruoli durante il percorso (la Guida, le vedette, ecc.), il master determina di volta in volta situazioni, incontri e anche stati d’animo (che garantiscono bonus e malus nella successiva fase Journey) dei personaggi alla fine del viaggio, rendendo elettrizzante e divertente per i giocatori un’esperienza solitamente accolta come mera interlocuzione prima di giungere sul luogo dell’avventura vera e propria.
Se vi ho incuriosito e siete interessati al gioco, lo potete acquistare qui.
L’autore desidera ringraziare Christian, Luca, Alessandro, Stefano, Filippo e Davide dell’Associazione ludica “La Pentola del Drago” per l’aiuto nel playtest.
–Luca Tersigni–
Adventures in Middle-Earth – Player’s Guide: la recensione
Luca Tersigni
- Layout, lettering e artwork azzeccatissimi;
- Rispetto dell'ambientazione, contestualizzazione rigorosa pur all'interno delle caratteristiche di D&D 5.0;
- I nuovi meccanismi sono divertenti da giocare e aumentano l'immersività nelle atmosfere tolkieniane;
- Qualche inesattezza nel riferimento alle regole di D&D 5.0;