Versione testata: PS4
“Sei ancora quello della pietra e della fionda,/ uomo del mio tempo. Eri nella carlinga,/ con le ali maligne, le meridiane di morte,/ t’ho visto – dentro il carro di fuoco, alle forche,/ alle ruote di tortura. T’ho visto: eri tu,/ con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio,/ senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora,/ come sempre, come uccisero i padri, come uccisero/ gli animali che ti videro per la prima volta./ E questo sangue odora come nel giorno/ Quando il fratello disse all’altro fratello:/ «Andiamo ai campi». E quell’eco fredda, tenace,/ è giunta fino a te, dentro la tua giornata./ Dimenticate, o figli, le nuvole di sangue/ Salite dalla terra, dimenticate i padri:/ le loro tombe affondano nella cenere,/ gli uccelli neri, il vento, coprono il loro cuore.”
– Salvatore Quasimodo, L’uomo del mio tempo
Benvenuti, Isolani! Oggi voglio condurvi in un viaggio nel tempo che, grazie ai ragazzi di Ubisoft Montreal, può essere affrontato molto rapidamente e che ci porterà dall’Anno Domini 2016… al 10.000 avanti Cristo! Siete pronti per dare uno sguardo a ‘Far Cry Primal’?
Il setting è l’Europa centrale di circa 12.000 anni fa, un’enorme vallata chiamata Oros, popolata da lupi, licaoni, tigri dai denti a sciabola e – manco a dirlo – mammuth. In questo luogo sono finiti dispersi i pacifici Wenja, soggiogati dai cannibali Udam, dai pitturati Inzila e dagli altri pericoli – di natura umana e non – della zona. Takkar, il personaggio nei cui panni ci caliamo, rigorosamente con visuale in prima persona, ha il compito di radunare i Wenja superstiti, evitando di farsi ammazzare in un mondo ostile e selvaggio.
Combatti-e-fuggi è la reazione primeva del cervello umano, governata dall’amigdala, ed è quella che innegabilmente ci si ritrova a provare ogni volta che si decide di avventurarsi fuori dalla caverna del proprio insediamento. Che dobbiate affrontare cannibali, adoratori del Sole, rinoceronti pelosi o leoni di montagna, quel che è certo è che Oros non manca di mettervi a dura prova: anche un branco di piccoli dhole, poco più che dei licaoni, può darvi filo da torcere, attaccandovi di notte e da direzioni differenti.
Il parco degli strumenti offensivi è ridotto rispetto ai precedenti episodi della saga, per ovvie ragioni di coerenza storica: ci sono quindi arco e frecce, la clava e la lancia (che può, all’occasione, fungere anche da arma a distanza, se impiegata con sufficiente mira). Come cacciatori, è possibile muoversi per le floride lande di Oros seguendo il proprio istinto, particolarmente simile all’Occhio dell’aquila della saga di ‘Assassin’s Creed’, che mette in evidenza gli oggetti con cui si può interagire, gli animali, i nemici e le risorse che è consentito raccogliere.
Nel gioco è presente anche una limitata componente ruolistica, che dà la possibilità di investire i punti “Abilità” per sbloccare una serie di skill tree, indispensabili per sopravvivere mano a mano che la mappa si amplia e i nemici si fanno sempre più forti e difficili da affrontare. Non manca anche una componente gestionale, in realtà piuttosto semplificata: portando a compimento le missioni della trama principale e le quest secondarie, che vengono spesso generate randomicamente dal motore di gioco, si salvano più Wenja, che vanno così ad abitare nel nostro villaggio (e/o in quelli affiliati alla nostra base principale); questo e la maniacale raccolta di risorse ci consente di apportare modifiche e sbloccare potenziamenti, oltre ovviamente ad attirare nuovi abitanti presso l’insediamento da noi gestito.
Una nota che non può che scaldarci il cuore è la presenza di un elemento fantasy non di poco peso, consistente nei trip che il nostro Takkar è costretto a subire dallo sciamano Tensay, che gli propina bibitoni composti da ogni genere di schifezze (tra cui gli occhi dei nemici sconfitti); questa pratica, a prima vista tutt’altro che igienica, consente al protagonista di “viaggiare” nel mondo spirituale e di imparare come soggiogare gli animali selvatici con la sola imposizione delle mani. Ben presto, dunque, potrete ritrovarvi come compagno un bel lupacchiotto e, proseguendo nella storia, persino un orso o un leone. Il compagno animale (eco di conoscenze druidiche) è sostanzialmente collezionabile, ci segue ovunque desideriamo e può accorrere in nostro soccorso senza pensare alla propria incolumità; in caso di morte possiamo riportarlo in vita dandogli da mangiare (notoriamente in ‘Far Cry Primal’ un tocchetto di carne cura ogni male, con buona pace dei vegani!), oppure semplicemente selezionandolo dall’apposito menù, il tutto senza rinunciare al gufo, che possiamo chiamare a piacimento e che favorisce un approccio più tattico, “marcando” i nemici nelle zone sorvolate e dandoci un netto vantaggio nel caso decidessimo di attaccare gli accampamenti avversari.
I punti da toccare sarebbero milioni, ragion per la quale spero, con il video qui sopra, di aiutarvi a capire quanta bellezza, quanto divertimento e quante ore di gioco si possano celare nel mondo di ‘Far Cry Primal’. Vi lascio ad un giudizio sintetico sul gioco e vi ricordo che il nuovo capitolo di ‘Far Cry’ è disponibile dal 23 febbraio per PC, PS4 e Xbox One.
– Stefano Marras –
Far Cry Primal – Recensione e gameplay
Isola Illyon
- Colpo d'occhio straordinario;
- Un open-world in cui trovare il gusto di smarrirsi;
- Enfasi sul lato survival della saga: la natura è davvero ostile;
- Ci sono mammuth e smilodonti, lupi e coccodrilli: serve altro?
- Cura maniacale dei dettagli, come la lingua parlata e i sottotitoli che la traducono in maniera al contempo primitiva e poetica;
- Non mancano sezioni decisamente virate al fantasy: interessante il rapporto con il compagno animale;
- Elementi ruolistici e gestionali;
- La trama pare poco più di un pretesto per legare tra loro le varie missioni;
- Forse far scegliere se giocare in prima o terza persona avrebbe attirato più utenti;