Sono sulla A4 tra Torino e Milano, diretto alla volta del capoluogo lombardo per partecipare all’incontro con John Howe, e penso che queste siano occasioni che capitano davvero pochissime volte nella vita. Sì, perché poter sentire la viva voce di uno dei due maggiori illustratori tolkieniani contemporanei, “colpevole” di averci regalato un’interpretazione visiva della Terra di Mezzo ormai entrata nell’immaginario collettivo – complice la paternità del processo di concept dell’intera trilogia di Peter Jackson (insieme al britannico Alan Lee) – non è sicuramente cosa di tutti i giorni.
Giunto finalmente allo Spazio Formentini per l’Editoria vengo accolto dalla gentile Benedetta, Pr di Mimaster Illustrazione, scuola internazionale di illustrazione che ha organizzato sia il workshop della durata di tre giorni con John riguardante creazione ed illustrazione di un personaggio fantasy, sia questo incontro serale del 18 febbraio aperto al pubblico. Vengo fatto accomodare in prima fila, insieme ad altri colleghi della carta stampata e del web. L’ambiente è raccolto ma partecipatissimo, con la sala piena all’inverosimile.
Al tavolo, insieme a John e alla traduttrice, siedono Luca Valtorta di Repubblica, che funge da moderatore, e Wu Ming 4, al secolo Federico Guglielmi, scrittore, saggista e autore del fondamentale “Difendere la Terra di Mezzo”. Durante tutta la conferenza scorreranno sullo schermo alle spalle dell’artista la miriade di opere, di ambientazione tolkieniana e non, firmate da Howe stesso, conferendo a tutto l’incontro un’aura semplice ma suggestiva (molte delle quali le trovate nel nostro album dell’evento su Facebook).
Il barbuto illustratore canadese, come sempre ieratico nell’esposizione dei suoi ragionamenti, ricorda così la sua scoperta de Il Signore degli Anelli: “Avevo circa dodici anni, ed ovviamente non potevo permettermi di comprare i libri. In biblioteca, il volume de La compagnia dell’Anello (le prime edizioni della trilogia erano suddivise in volumi distinti. NdR) non si trovava mai, sempre preso in prestito: ragion per cui non potei seguire l’ordine logico ma iniziai da Le due Torri e poi Il Ritorno del Re. Fu abbastanza traumatico. In seguito, rileggendo la trilogia nell’ordine corretto, mi convinsi che non fosse così male (ride). In ogni caso, fino ai calendari Hildebrandt della fine degli anni ’70 non esistevano in pratica illustrazioni del mondo tolkieniano. Grazie a quei calendari, mi resi conto che quell’universo immaginario poteva essere illustrato, e che aveva immense potenzialità, così iniziai a lavorarci.” In relazione al fatto se il lavoro di Bakshi sul film di animazione Il Signore degli Anelli del 1978 l’avesse ispirato o meno, Howe dichiara: “Sì, mi ha influenzato nella misura in cui ho capito che quello non sarebbe stato lo stile che avrei utilizzato (ride). Esiste però un collegamento tra la trilogia di Bakshi e la mia visione che si riflette nel primo film di Jackson, cioè la scena degli hobbit che si nascondono sotto una radice dal Cavaliere Nero. Quella scena di Bakshi mi colpì al punto che nel ’91 ne illustrai una mia versione, che fu poi la base per lo sviluppo della scena corrispondente nel film.”
A questo punto, ricordando come in Italia Tokien fosse stato “preso in ostaggio”, travisato e mistificato volontariamente da una parte politica molto ben definita, anche perché bollato come “letteratura per bambini” dal milieu culturale avverso, Wu Ming 4 chiede a Howe come fu invece accolto e interpretato Il Signore degli Anelli nel mondo anglosassone. “Devo dire che è affascinante vedere come Tolkien viene recepito a seconda della sensibilità sociale del luogo e del momento in tutto il mondo. Quando uscì, LOTR venne letto soprattutto dagli studenti nei campus universitari, e quindi diventò nelle nazioni anglosassoni uno dei libri simbolo della controcultura e dei movimenti rivoluzionari giovanili. In ogni caso trovo straordinario come la trilogia non contenga riferimenti chiari al momento storico durante la quale venne concepita, nonostante si trattasse di periodi veramente drammatici, ma come al contrario sia lasciato tutto a livello subliminale, e i temi sociali siano riportati in modo trascendente”.
Entrando nel merito della trilogia jacksoniana, Howe risponde così alla considerazione riguardo l’“andare oltre” la visualizzazione della Terra di Mezzo ormai mainstream derivante dalla trasposizione cinematografica: “Succede a tutte le opere che abbiano avuto un forte impatto sul pubblico. Prendete Alice nel Paese delle Meraviglie oppure Il Mago di Oz: abbiamo avuto 45 edizioni del libro illustrate dallo stesso artista. In realtà il successo di una interpretazione visuale dipende completamente dai riferimenti o dalla mancanza totale di riferimenti e influenze del mondo reale. Il motivo del successo dell’universo tolkieniano è che non scrisse i suoi libri come commento sociale al periodo storico, e questo garantirà la sopravvivenza alle sue storie e alla necessità di illustrarle.”
Riguardo l’approccio metodologico seguito per dare vita a personaggi come Gollum o Gandalf, John afferma: “Non ho grandi riposte. Non mi sono focalizzato eccessivamente sul testo, anche perché lo stile del professore è ottimale per un illustratore: Tolkien non descrive eccessivamente la fisicità delle scene, non descrive nei minimi particolari com’è il Balrog. Piuttosto evoca minuziosamente le emozioni dei personaggi che lo fronteggiano: mi sono concentrato su questo. Il mio lavoro è stato essenzialmente quello di aiutare il regista a visualizzare un universo: nessuno può attribuirsi la paternità esclusiva di un Gollum, per esempio. Personalmente, credo che l’interpretazione di Andy Serkis sia responsabile al 90% di quello che è stato il personaggio, il concept artist deve solo contribuire a rendere verosimile l’ambiente nel quale esso si muove. Ma, quando questi è al centro della scena, il mio lavoro perde importanza”.
Mentre John parla, mi accorgo con un tuffo al cuore che sullo schermo stanno scorrendo bozzetti, artwork ed illustrazioni inedite del suo lavoro con Peter Jackson, e che chiede gentilmente al pubblico di non immortalare per via di questioni di copyright con la New Line. Mentre osservo rapito illustrazioni di Bag’s End e della Grotta degli orchetti mai viste prima, Howe parla ancora della metodologia di lavoro con Jackson: “Per ogni location c’era un breve briefing con Alan (Lee) e Peter, poi andavamo in loco tutti e tre e Alan ed io ci mettevamo a schizzare tutto ciò che ci veniva in mente. Poi Peter sceglieva le idee migliori e Alan ed io le sviluppavamo più dettagliatamente in modo che fossero di guida e ispirazione agli artisti del modellamento 3D e agli scenografi riguardo le parti della location che dovevano diventare set. In seguito Peter girava e Alan ed io intervenivamo di nuovo in post-produzione coi concept indispensabili agli artisti CGI per modellare gli effetti digitali e le innumerevoli immagini da sovrapporre al green screen.”
L’incontro termina con una calorosa e prolungatissima ovazione per un John Howe visibilmente emozionato, mentre ho l’onore in prima persona di stringere la mano che tanta parte ha avuto nella creazione di uno degli immaginari più amati nel mondo intero.
– Luca Tersigni –