Entro in libreria. Approccio lo scaffale del fantasy. C’è un libro nuovo dal titolo accattivante, guardo la quarta di copertina e leggo:
“L’ennesima lotta tra il bene e il male…“
Che palle.
Da sempre uno dei capisaldi della narrativa fantastica, specialmente del filone epico, è la guerra tra le forze dei buoni e il “lato oscuro”. E diciamolo: chi di noi, specialmente da adolescente, non si è emozionato a leggere delle grandiosi battaglie tra popoli liberi ed orchi (Il Signore degli Anelli), tra elfi e demoni (Shannara), tra Drenai e Nadir (La leggenda dei Drenai)? Per quanto questo tipo di narrazione abbia guadagnato un posto (a tempo indeterminato) nel mio cuore, è possibile che dopo tanti anni il fantasy non sappia darci altro che l’ennesima partita di scacchi, bianchi vs. neri?
La risposta è sì e no. Di certo molti produttori ed editori sono felici di venderci libri e film spazzatura scritti secondo questo inflessibile paradigma, specialmente se con derive Young Adult, che fanno più figo. È una formula che vende, quindi perché non usarla?
In realtà questa “gabbia narrativa” scricchiola, e da un pezzo. Parliamo ad esempio de “Il Mago di Earthsea” (1968), dove l’antagonista è più che altro un “lato d’ombra del protagonista”, creando un intreccio chiaramente fantasy, ma degno di uno strizzacervelli.
Il nobel per la dubbia moralità va a George Martin, che già nel 1996 aveva dichiarato guerra ai buoni con “Il trono di spade” (inteso come il libro primo de “Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco“), dove l’assioma di base è che i cattivi vincono (quasi) sempre. Invece che dare un giudizio morale, Martin ci mostra un mondo in cui la spietatezza può salvarti la vita. Il nostro caro George però non poteva sapere che, tre anni prima del suo libro, nella remota Polonia Andrzej Sapkowski aveva già pubblicato un romanzo fantasy che contraddiceva ogni canone angloamericano del genere: un protagonista tendenzialmente poligamo, anarchico e menefreghista (Geralt di Rivia) che invece di combattere i nemici dell’umanità, passa la maggior parte del tempo a lottare contro la cattiveria intrinseca dell’umanità stessa. Peccato che il titolo sia stato modificato in italiano come “Il guardiano degli innocenti“, rovinando tutto il senso profondo del libro, ma questa è un’altra storia (infinita).
Se questi autori hanno avuto il coraggio di rompere gli schemi, pure all’interno di una narrazione epica (ricordiamo che Martin ha concepito gli Estranei, e nei romanzi di Abercrombie ci sono gli Shanka nella parte dell’uomo nero), qualcuno ne è uscito del tutto: il pensiero vola alla saga dei Mitago (Robert Holdstock) che, pure facendo la sua comparsa nella mensola “fantasy” della libreria, si ribella ostinatamente a tutta la pappardella “buoni contro cattivi”.
Se ci spostiamo verso il settore ludico del fantasy, vediamo che videogames e giochi di ruolo nella maggior parte dei casi ci chiamano a sterminare intere popolazioni per guadagnare oro e PX. Tanto siamo i buoni! Peccato, visto che il videogame, per la sua potenzialità di far prendere decisioni al giocatore, potrebbe essere il mezzo per eccellenza di un approfondimento morale, come sostenuto da diverse pubblicazioni scientifiche. Invece sono stati pochi i titoli all’altezza – al massimo, giochi come Dungeon Keeper ci hanno fatto spassare nel ruolo del cattivone di turno (lenti a contatto rosse non incluse). Più interessanti sono invece titoli come Fallout, Mass Effect, Fable o Assassin’s Creed, che sanno porre il giocatore di fronte a scelte eticamente difficili, o farci rendere conto di come i nostri pregiudizi morali possano essere errati. La menzione d’onore va a The Witcher, che facendo perno sui personaggi di Sapkowski, ci offre qualche introspezione in più – interessantissime le situazioni di xenofobia tra umani e non-umani, dove il confine tra vittima e carnefice è spesso incerto.
Nel frattempo al cinema… il vuoto. Mi sono sforzato di trovare un film fantasy che mostrasse segni di maturità, ma non ce l’ho fatta. Solo magnifiche, estreme battaglie contro il male, per di più adattate da romanzi. Anzi, nei casi di trasposizione, dover dare un volto ai malvagi ne ha intaccato il carisma. Però un film lo voglio citare: “Intervista col Vampiro“, che ci da, oltre ai sorrisetti con le zanne di Tom Cruise, una visione del malvagio mondo dei succhia-sangue. Forse è solo una mia paranoia, ma alla fine del film mi è venuto spontaneo chiedermi: qual è in fondo la differenza tra umani e vampiri? È possibile che il regista/autore abbia voluto, con questa storia di fantasia, dirci qualcosa sul mondo reale?
Che si parli di letteratura, videogiochi o cinema, molti hanno lamentato la mancanza di villain convincenti nelle produzioni recenti (ok, lo tiriamo sempre in ballo ma… qualcuno ha detto Star Wars?). La verità è che non ci accontentiamo più. Quindici anni fa, vedere su schermo un personaggio dagli occhi rossi lo etichettava chiaramente come cattivo, e ci dava gli incubi. Oggi semplicemente non ci fa più paura. Dai cattivi pretendiamo una personalità approfondita, quasi più che nei protagonisti. Io credo che il pubblico del fantasy inizi a diventare maturo: quello che manca è una consapevolezza globale, specie in Italia, delle potenzialità di questo genere, che non deve rimanere relegato all’intrattenimento e alla fase adolescenziale.
Ecco forse la più grande arma in mano alla narrativa fantastica: il poter parlare di cose reali. Il fantasy sa immergerci in storie di guerra e di pace, di politica e di affetto, di tirannia e libertà, di famiglia e di religione, senza pregiudizi. Può mostrarci il nostro mondo, aggirando però i filtri che ci sono stati imposti dalla società, perché lo fa tramite simboli e personaggi di fantasia.
– Daniele Gabrielli –