Da quando nell’uomo si è risvegliata la consapevolezza di sé stesso e del mondo, si è destato anche il desiderio di comprendere l’Universo. Questo comportò di definire archetipi, dare un nome alle cose, degli attributi, delle qualità. L’unico modo per capire i concetti astratti è il confronto: dal confronto nasce l’opposizione e da essa il dualismo. Gli opposti restarono sfumati gli uni negli altri, finché l’uomo non decise di personificarli e dar loro una forma vicina e comprensibile: quella di divinità dall’aspetto umano. A quel punto, i fenomeni astratti divennero non solo più quotidiani, ma anche giudicabili.
Il Bene e il Male, incredibilmente, furono gli ultimi attributi a venir scissi in principi opposti e fra loro in lotta. Nelle tradizioni più antiche nessuna creatura soprannaturale era solo buona o solo malvagia. I draghi dell’Impero Cinese erano portatori di saggezza, di pioggia e fertilità, ma erano considerati temibili distruttori quando precedevano la marcia dell’esercito imperiale e quando si muovevano sotto la terra provocando terremoti. I demoni della Mesopotamia e i geni dell’Egitto erano latori tanto di conoscenza, quanto di malattie, a seconda di chi li invocava e di cosa veniva chiesto loro.
Poi arrivò lo Zoroastrismo, e Bene e Male divennero non solo concetti distinti, ma pilastri continuamente contrapposti, destinati a combattersi in eterno, senza alcuna possibilità di riappacificazione. Dallo Zoroastrismo, seppur in un processo lungo secoli, Bene e Male si allontanarono sempre più e, aiutati dalle entranti religioni monoteiste, divennero del tutto incompatibili.
La lunga storia del Bene e del Male è quindi un mito, che in realtà trova la sua prima grande organizzazione con la saga arturiana, che non narra niente più dell’ascesa del Bene e della sua resa alle forze del caos. Artù si scontra con Mordred, riesce a sconfiggerlo a costo della vita, e comanda che lo strumento di ordine, la spada Excalibur, venga reso alla Dama del Lago. Quando la saga venne definitivamente integrata nella cultura cristiana del tempo, venne aggiunta una seconda parte al racconto: la ricerca del Graal da parte dei cavalieri sopravvissuti. La Sacra Coppa verrà infine trovata da Galahad, che però rinuncerà al suo possesso perché non è il Bene assoluto il destino dell’umanità. La spiegazione è semplice: il Bene e il Male sono egualmente necessari.
Da qui in poi questa contrapposizione si è radicata così tanto da tornare ad essere, soprattutto con l’avvento del Romanticismo, uno dei temi fondamentali della letteratura moderna e, con lo spopolare del cinema, anche della filmografia.
Non sorprende, quindi, di trovare questa lotta atavica come tema portante di tutti i film di animazione di Walt Disney e, successivamente, di grandi saghe come Guerre Stellari. Proprio Star Wars ha ridato lustro e gusto alla solita vecchia storia. O meglio, avrebbe potuto dare gusto, se il personaggio di Anakin fosse stato un po’ più approfondito nei film. Concettualmente è uno dei protagonisti più belli in assoluto: l’eroe che si innamora e, a causa dei suoi sentimenti, cede al Male. E non cede per un quarto d’ora di film, dopodiché qualcuno lo fa rinsavire: no, continua a cadere, sempre più a fondo. Finché non arriva suo figlio, educato dai suoi stessi maestri (Obi-Wan e Yoda), menomato allo stesso modo (entrambi mancano della mano destra), sempre più simile a lui: e proprio il ragazzo riesce a mostrargli quello che avrebbe dovuto essere e a riportarlo, a un soffio dalla morte, al Bene. Messa in questo modo è una storia spettacolare, che forse perde un po’ a causa della regia non proprio ottimale di papà Lucas.
Sempre relativamente a Star Wars, è molto bello anche che nella trilogia classica il Bene sia in minoranza, ma che riesca a germogliare attraverso le perdite. Le guide di Luke, Obi-Wan e Yoda, muoiono senza riuscire ad accompagnarlo nell’ultima battaglia, ma proprio questo dà al protagonista la forza e la convinzione per confrontarsi con il padre.
Al contrario di quello che molti affermano, l’idea che il genitore dell’eroe sia il malvagio della situazione è tutt’altro che originale, anche se negli anni Ottanta in pochi la avevano portata sul grande schermo. Successivamente, per un qualche motivo, Bene e Male assoluti, genitori malvagi e figli buoni, sono diventati una specie di standard. Star Wars è riuscito a discostarsene grazie all’Universo Espanso, che ha introdotto una quantità di schieramenti e personaggi tali da mischiare definitivamente quegli opposti. Portabandiera di questa tendenza sono i Jedi Grigi, che uniscono la ponderatezza dei Jedi Chiari ai poteri dei Jedi Oscuri e che, di fatto, rappresentano una terza fazione ingerente nelle sorti della Galassia, ma sempre ai margini – per scelta, non per costrizione. L’intervento di chi appartiene a questa “zona grigia” è sempre mirato, interessato, ma mai completamente buono o malvagio. Questi, a mio avviso, sono la sintesi perfetta di quello che dovrebbe essere un Cavaliere della Forza: non buono, non malvagio, non tendente all’ordine totale né al caos completo, non lontano dalla vita e dai sentimenti, non immerso nelle emozioni estreme, non integerrimo, non corrotto. Un mezzo che la Forza utilizza per essere ciò che deve essere: equilibrio.
Poi, oltre a questo schieramento, alcuni bravissimi autori hanno dipinto personaggi costantemente in bilico: schierati con l’Impero o con i Ribelli non ha importanza, perché sempre e comunque commettono azioni cattive o buone indipendentemente da chi li ha reclutati. L’Ammiraglio Trawn, benché servisse Palpatine, dopo la caduta del Signore dei Sith decise di cercare di rimettere insieme l’Impero per dare un governo centrale più forte di quello che avrebbero mai potuto offrire i Ribelli. E questo non solo per sete di potere, ma soprattutto per gli abitanti della Galassia. Lo stesso Luke Skywalker, l’eroe dei Ribelli, il prescelto dal Lato Chiaro, colui che ha sconfitto non solo l’Impero, ma soprattutto Palpatine, cede al Lato Oscuro e torna a quello chiaro soltanto grazie all’intervento di sua sorella e di Mara Jade. Proprio ques’ultima è un altro di quei personaggi che iniziano in un modo e finiscono da un’altra parte: serve Palpatine come mercenaria, ma l’amore la redime, portandola dalla parte di Luke e Leila. E come loro tanti altri, come se la tendenza a creare personaggi o buoni o cattivi fosse un po’ in declino.
Parlando di grandi saghe, è difficile mandare avanti la storia e le sue trame con personaggi che sono o completamente buoni o completamente cattivi, perché sono i cambi di schieramento e i tradimenti a costituire la parte più succulenta per il lettore. Tuttavia di recente sembra che sia il cinema che la letteratura che offrono trame stand-alone abbiano dato un deciso colpo di timone, scegliendo di tornare a mischiare i concetti di Bene e Male, di eroe e di antieroe. Al fianco di prodotti assurdi come Seventh Son (di una banalità disarmante) o Legend of the Seeker (evito di parlarne), hanno ottenuto un enorme riscontro opere come Sin City (in cui tutti gli eroi sono antieroi) o Game of Thrones (dove la distinzione netta fra bene e male praticamente non esiste, e ogni personaggio è positivo o negativo solo nell’arco della singola sezione narrativa). Proprio l’opera di Martin sembra aver definitivamente aperto la strada a protagonisti che percorrano costantemente la linea grigia fra gli schieramenti, ma l’augurio è che la tendenza venga mutuata in opere meno pregne di continui intrighi e tradimenti, introdotti a volte con la palese intenzione di tirar lungo.
– Lucrezia S. Fanzon –