Solo pochi giorni fa, il 25 gennaio dell’Anno del Signore 2016, il prolifico – ma relativamente sconosciuto in Italia – rapper statunitense B.o.B è finito al centro di una gustosa polemica di rilievo internazionale, scatenata da una serie di “cinguettii” sul social network Twitter, al grido di “Once you go flat, you never go back!”. In diversi tweet, infatti, il musicista ha sostenuto a spada tratta la teoria che la nostra Terra sia, in realtà, piatta, dando delle pecore e degli indottrinati a chiunque fosse convinto del contrario, brandendo argomentazioni “di vita vissuta”. Nell’esposizione della sua… tesi, B.o.B ha anche accusato la NASA di aver ritoccato tutte le foto della Terra dallo spazio (resterebbe il problema dei video in diretta, ma vabbe’…); incidentalmente ha anche sostenuto l’esistenza di centri di clonazione umana segretamente sparsi per il globo terracqueo la superficie della Terra piatta. Il tutto rifiutando, energicamente e contro ogni evidenza, l’etichetta di “complottista”. Niente a che vedere, purtroppo, con la consapevole ironia dello scrittore fantasy Terry Pratchett, scomparso a marzo dell’anno scorso, autore di un’intera saga di oltre trenta romanzi ambientata sull’immaginario Mondo Disco (Discworld): una Terra piatta come una focaccia, posata sulla schiena di quattro giganteschi elefanti che a loro volta sono ospiti del carapace di A’Tuin, mastodontica tartaruga che fluttua nel vuoto dello spazio profondo.
Tornando coi piedi sulla nostra Terra, le prese di posizione alquanto bislacche di B.o.B non hanno mancato di chiamare in causa Neil deGrasse Tyson, astrofisico e divulgatore scientifico di fama internazionale, che i nerd ricorderanno principalmente come primo propugnatore del declassamento di Plutone da pianeta a “pianeta nano”, per qualche comparsata nella serie ‘The Big Bang Theory’ e per le recenti critiche alle incongruenze scientifiche di ‘Star Wars – Il Risveglio della Forza’. Lo scienziato, twittando sulla pagina del rapper, ha dapprima cercato di esporre la fallacia delle sue argomentazioni, anche con un divertente brano rap in risposta a quello pubblicato da B.o.B, per poi chiudere con questa battuta: “Ragazzo, giusto per essere chiari: il fatto che il tuo modo di ragionare sia arretrato di cinque secoli non significa che noialtri non possiamo ancora apprezzare la tua musica”. La polemica è poi sostanzialmente rientrata con un post ironico di B.o.B, che il 27 gennaio ha pubblicato una propria foto con un bicchiere in mano e il commento: “Ho appena preso le mie medicine”.
Incidentalmente, ci tengo a dire che l’uscita di deGrasse Tyson è quantomeno ingiusta nei confronti dei nostri antenati: che la Terra fosse universalmente ritenuta piatta nell’Antichità e nel Medioevo è cosa meno vera di quanto non si tenda a credere. Se ne risentirà il povero Eratostene di Cirene, astronomo e geografo vissuto nel III secolo a.C., che – a dispetto della strumentazione tutt’altro che avveniristica – ha calcolato con impressionante approssimazione la circonferenza terrestre. Lo stesso Cristoforo Colombo avrebbe ben ragione di rivoltarsi nella tomba, dato che il presupposto del suo viaggio verso le Indie era proprio che, navigando verso ovest, fosse possibile raggiungere il lato opposto del globo. Per sua fortuna – anche perché il viaggio verso la Cina sarebbe durato il triplo del previsto, e le tre caravelle erano già a corto di vettovaglie – incappò prima in un continente che si trovava lungo la strada; l’idea non era sbagliata, lo erano i calcoli.
Fatta questa doverosa premessa, sebbene a distanza di qualche giorno l’intemerata del rapper possa essere ricondotta nella prospettiva di un’iniziativa pubblicitaria (in ossequio al noto principio per cui anche la cattiva pubblicità conta come pubblicità), la questione solleva una problematica concreta, perché il mondo è pieno di persone che sostengono con convinzione che la Terra sia, appunto, piatta. Elemento di spicco in tal senso è la Flat Earth Society, nata negli Anni Cinquanta per raccogliere l’eredità dell’antesignana britannica fondata sul finire del Diciannovesimo Secolo, in qualche modo – almeno su Internet – sopravvissuta all’avvento dell’era spaziale. I sostenitori della Terra piatta, infatti, vanno a braccetto con i teorici del complotto che – ancora una volta contro ogni evidenza – negano che l’Umanità sia mai stata nello spazio o, più nello specifico, sbarcata sulla Luna (e certo, no?).
La domanda è: perché questa teoria sopravvive nei secoli, a dispetto delle smentite che, da Colombo e Magellano in poi, si sono accumulate nel corso degli anni? La risposta, a mio modesto parere, è la stessa che spiega il persistere delle diverse teorie del complotto, che una volta affermatesi resistono all’opera di debunking effettuata sia da dilettanti che da scienziati. Il problema è che la gente vuole credere a queste bufale, infischiandosene della quantità e solidità delle controprove che le vengono offerte – fior di psicologi potrà spiegarvi quanto questo fenomeno abbia in comune con l’autosuggestione.
Di recente un fisico, David Robert Grimes, ha elaborato un modello matematico che determina la durata media del segreto costruito intorno ad un ipotetico complotto, basandosi sulla sopravvivenza di quelli effettivamente scoperti e sul numero di persone astrattamente coinvolte. Ma ha anche chiosato: “Questo naturalmente non basterà a convincere tutti: è ampiamente dimostrato che la credenza nelle cospirazioni poggia su una base ideologica piuttosto che razionale”.
Insomma, il problema – oggi certo acuito dalla facilità con cui le bufale si diffondo sui social network, ancor più che con Internet – è che la gente, semplicemente, ci vuole credere. Del resto, mi chiedo: quante delle persone che hanno criticato le uscite di B.o.B credono negli oroscopi? Credono, cioè, che la loro vita sia regolata dalla presenza del sole, al momento della loro nascita, in corrispondenza di stelle distantissime fra loro, legate in un determinato disegno solo dalla prospettiva, della pareidolia e dalla fantasia dell’umanità? Come ha detto il buon Grimes, non è una questione di razionalità, ma di credere, o meglio ancora, di voler credere.
– Stefano Marras –