Quando parliamo di Carrie Fisher finiamo tutti, inevitabilmente, per pensare al ruolo che l’ha consacrata star planetaria, ovvero la Principessa Leia Organa nella trilogia originale di Star Wars. Un personaggio che l’ha forse in qualche modo imprigionata, come è accaduto a molti altri attori interpreti di ruoli che sono entrati nell’immaginario collettivo (come lo Spock di Leonard Nimoy, il Dracula di Christopher Lee o lo stesso Luke Skywalker di Mark Hamill, per rimanere in ambito fantastico) pregiudicando parzialmente la percezione dell’attrice presso il grande pubblico e di conseguenza la carriera stessa: fattore che ha pesato non poco, come da lei stessa ammesso, nei voli iperspaziali al buio e nelle giravolte continue tra supernove e buchi neri di cui è costellata la sua vita privata.
Che la bellissima Carrie fosse una predestinata è comprensibile anche solo spulciando il suo ideale album di famiglia. Difficile non respirare aria di spettacolo fin da bambina se sei figlia del cantante pop Eddie Fisher, e della diva di Hollywood Debbie Reynolds. Ancora più difficile se la tua matrigna si chiama Liz Taylor, sposata in seconde nozze da papà Eddie. Pare quindi una scelta più che consequenziale che la giovane Carrie esordisca sui palcoscenici di Broadway e che finisca per attraversare l’oceano e frequentare la Central School of Speech and Drama a Londra. Nemmeno il tempo di debuttare nella commedia Shampoo del 1975, accanto a Warren Beatty, Julie Christie e Goldie Hawn, che l’oscuro regista di American Graffiti, George Lucas, la sceglie per il ruolo che la proietterà definitivamente nell’immaginario collettivo planetario: Leia Organa.
È lei la Principessa rivoluzionaria, idealista e pragmatica, combattiva e fragile, orgogliosa e ironica, dalle infinite sfaccettature. Una volta tanto un personaggio femminile non stereotipato, anche difficile, ispido, ma “vero”, segno tangibile di un percorso di liberazione che vede riconosciuta la leadership di una donna senza dover accantonare le prerogative femminili; una protagonista infinitamente meno macchietta di tanti personaggi piuttosto banali di film “seri” coi quali tocca confrontarsi ancora oggi; un personaggio cui Carrie Fisher regala tutta la sua versatilità di attrice. Il pubblico lo avverte e le tributa il giusto omaggio: la donna diventa un idolo non solo per il pubblico maschile, ma anche per la controparte femminile. Ancora oggi, in molte identificano nella Principessa Leia il loro primo modello cinematografico di quando erano bambine.
Il successo con Star Wars è immediato e travolgente, nel senso letterale della parola: la giovane attrice statunitense non ha forse ancora gli strumenti per gestirlo, tanto da farle dubitare del suo effettivo valore di attrice e a far attribuire il merito principale di tanto successo alla buona scrittura del personaggio. Scherzando amaramente, più volte lei stessa affermò come ad essere diventata famosa non fosse stata Carrie Fisher ma la Principessa Leia, che incidentalmente aveva il suo volto. Verso la fine degli anni ’70 per lei ci fu un periodo estremamente negativo, tra dipendenze da alcol e droghe e gravi esaurimenti nervosi, che al giorno d’oggi hanno nomi ben più terribili, come depressione e disturbi bipolari dell’umore: queste problematiche arrivarono addirittura ad impedirle una vita lavorativa serena, come testimoniano per esempio le difficoltà avute sui set de “L’Impero colpisce Ancora” e “The Blues Brothers” con John Belushi e Dan Aykroyd. In quest’ultimo, la sua incapacità di concentrarsi sulla recitazione costrinse addirittura il regista John Landis a tagliare alcune parti della sceneggiatura.
Eppure, questi ostacoli e un certo male di vivere non sono riusciti ad impedire alla nostra Carrie di mostrare ciò che temeva di non possedere, ovvero un indiscutibile talento e un’indubbia versatilità di interprete. Non è mai stata un’attrice che abbia puntato sull’avvenenza fisica per farsi strada, anche se avrebbe tranquillamente potuto, come testimonia ancora oggi il mitologico bikini da Schiava di Jabba sfoggiato ne Il Ritorno dello Jedi, che ancora popola i sogni erotici di tanti uomini (e pure di qualche donna, sono pronto a scommettere): al livello di qualunque modella ventenne palestrata, ma ovviamente con una tonnellata di carisma in più. Nossignori, il fascino conferito alla Principessa Leia e ad altri personaggi è un mix di ritrosia vera, di civetteria, di ironia, di fragilità, di sicurezza di sé, di bisogno di affetto, di capacità di leadership, di comprensione degli altri (senza dimenticare la voce profonda e sensualissima della doppiatrice italiana di Leia, Ottavia Piccolo), e di capacità di autoironia addirittura, che è una delle poche caratteristiche che le signore hanno forse meno dei maschietti (a causa di secoli costrette a basare le proprie aspirazioni sul solo aspetto fisico), ma di cui nonostante tutto Carrie Fisher dota non solo Leia, ma anche la virginale e ferocissima ex fidanzata di Jake Blues ne I Blues Brothers, epigona della implacabilità femminile della donna sedotta e abbandonata sull’altare; oppure la facilità di adattamento ad una commedia pura come Harry ti presento Sally, nella quale giocava la parte della migliore amica di Sally, coinvolta suo malgrado. Tutto talento che discende dalla consapevolezza di una donna che ha vissuto (detto senza alcuna ironia), che ha fatto molti errori e avuto molte fragilità ma alla fine ha ammesso gli uni e mostrato senza paura le altre (da un suo romanzo semi-autobiografico, Cartoline dall’Inferno, è stato tratto un film interpretato da Meryl Streep, mentre in una commedia teatrale dal titolo Wishful Drinking ripercorre la sua storia familiare, i fallimenti sentimentali con il musicista Paul Simon e altri uomini, le sue dipendenze e il difficile rapporto col personaggio di Leia).
Per questo noi la troviamo ancora magnetica alla soglia della sessantina, che sieda in giuria a Venezia col maestro Bertolucci (2013) o nelle poche immagini di lei trapelate dai trailer de Il Risveglio della Forza, un po’ appesantita e con quelle bellissime rughe di donna forse troppo sensibile, che però non ha più paura di mostrare la sua emotività e appoggia la testa sul petto del marito, piangendo. Ma di sicuro ancora capace di mettere a posto con la sua ironia tagliente il contrabbandiere spaziale di turno che si sta prendendo qualche libertà di troppo: “Il suo braccio non è sufficiente a eccitarmi, comandante!”, “Preferirei baciare un Wookie!”.
Vai così Carrie, vali ancora tremila Moniche Bellucci.
– Luca Tersigni –