Mi guardo allo specchio, arrabbiato e deluso. Al diavolo i fumetti dai titoli ambigui, che si intortano il pubblico con copertine sadomaso, e al diavolo i mangaka giapponesi, che alla fine sono tutti un po’ maniaci di per loro. Dovrei dedicarmi a mille altri progetti, e invece eccomi qui a cercare di spiegare al mondo che “I miei 23 schiavi” non ha nulla a che fare con un osé a fumetti. “Non devo più cedere all’estetica della ball gag. Non devo più cedere all’estetica della ball gag”. Recitando più volte questo mantra tento, di nuovo, di studiare l’attraente copertina del manga. Contemplo esasperato la sottomessa ragazza bionda con il piercing alla lingua, ben evidente tra le sue fauci aperte a forza, che attende bendata le attenzioni dei lettori, e appoggio il tomo sulla scrivania. La mia unica possibilità è anticipare sin da subito che la sessualità ha poco a che fare con l’opera di Shinichi Okada e di Hiroto Ooishi, ben consapevole che l’estetica del progetto mi condannerà in ogni caso a un gorgo di pensieri pornografici.
In un Giappone verosimile e contemporaneo, una bizzarra nuova moda sta prendendo piede tra le strade delle metropoli. Una piccola comunità si è infatti sviluppata attorno a un insolito macchinario dall’aspetto di un apparecchio odontoiatrico, l’SCM (slave control method), un catalizzatore di onde da innestarsi sul palato. Qualora una persona dotata di questo ritrovato della tecnologia dovesse perdere una scommessa, il suo cervello verrebbe bombardato da sensi di responsabilità che la renderebbero, di fatto, completamente soggiogata ai capricci del vincitore. Giovani annoiati, disperati in cerca di salvezza, individui colpiti da deliri di onnipotenza: tutti sono disposti a mettersi in gioco scommettendo la propria esistenza pur di poter ottenere il potere a cui ambiscono, spesso arrivando a barare in maniera plateale e inerpicandosi in intricate battaglie d’astuzia.
Inutile negarlo, I miei 23 schiavi trasuda spirito nipponico da ogni poro della carta su cui è stampato. I concetti di servilismo e responsabilità su cui fa leva sono tipicamente orientali, e stridono moderatamente con la società che siamo soliti conoscere, ma allo stesso tempo si tratta di tematiche e atmosfere tanto diffuse in anime e manga che ogni otaku di vecchia data saprà trovarsi a proprio agio; per chi, come il sottoscritto, fosse un fan de Le Bizzarre Avventure di Jojo, recepire l’esperienza di lettura sarà molto semplice: immaginatevi come potrebbe essere un fumetto intero basato sugli inghippi truffaldini dei fratelli Darby. Anche coloro meno avvezzi a questi costumi, tuttavia, verranno accompagnati da un’introduzione più che completa e sufficiente a render chiaro il contesto, mentre i risvolti empatici sono affidati a personaggi ben strutturati e, nel loro modo distorto, logici.
L’intreccio, pur essendo composto da una macro-traccia di base, alterna costantemente trame secondarie che, presumibilmente, finiranno a incrociarsi col progredire delle uscite e che, in ogni caso, garantiscono un panorama sfaccettato e mai banale di come potrebbe essere la Tokyo segreta se l’SCM fosse effettivamente venduto nel mondo reale. La struttura, non troppo originale, ricorda quanto già visto in molti manga a cavallo tra shonen e seinen che vogliono atteggiarsi con un’aria cupa e distopica. “MPD-Psycho”, “Death Note”, “Gantz” e molti altri condividono uno stesso gusto che, oramai, risulta cauto e collaudato, ma che ancora riesce a salvarsi dalla stucchevolezza facendo effetto su infinite variazioni di una medesima atmosfera. Anche il disegno, pur rimanendo al di sopra della sufficienza, non stupisce in alcun modo, fornendo ben poco di cui discutere.
Parliamo ora della questione sessuale. Sì, I miei 23 schiavi contiene tematiche “hot” e scene di sesso, ma in proporzione sono decisamente in numero inferiore rispetto a quanto ci si aspetterebbe giudicando la copertina. Si potrebbe dire addirittura che risultino sparute se in comparazione con un senin medio ma, anche quando sono presenti, non sono caratterizzate da un erotismo enfatizzato e strumentale. Questo manga non è un hentai, non vuole accelerare il flusso sanguigno in punti strategici del corpo umano, ma non si tira certo indietro se deve affrontare tematiche scabrose o spinte, pur mantenendo un certo aplomb asettico.
Vale dunque la pena iniziare la serie? Per ora sono propenso a un guardingo “sì”. Sicuramente l’autore è convinto di aver prodotto un’opera ben più rivoluzionaria e scioccante di quella che effettivamente ci troviamo tra le mani; sfogliarne le pagine non sconvolgerà nessuno, ma è anche vero che la formula narrativa adottata ha sempre funzionato, e che il mercato non ne è ancora saturo. Si tratta tutto sommato di un prodotto gradevole, da consultare a tempo perso e senza aspettative troppo alte, ma per il quale vale mantenere la speranza che il tempo possa portare maturità e consiglio. Basterebbero un po’ di audacia e di verve per valorizzare l’idea intrigante alla base del fumetto, sia che si punti alle vette dell’eccellenza, sia che si ceda al trash più estremo e risibile.
I miei 23 schiavi è pubblicato in Italia da Panini Comics, e attualmente ne è stato commercializzato un solo volume. Il secondo in uscita il 26 novembre prossimo.
– Walter Ferri –
I miei 23 schiavi: la recensione del manga
Isola Illyon
- Idea interessante;
- Personaggi complicati;
- Stile funzionale;
- Senso di "già visto";
- Narrativa parzialmente forzata;