Un caro saluto a voi, lettori di Isola Illyon, e benvenuti a questa recensione dedicata a ‘The Vanishing of Ethan Carter’, un videogame investigativo, con tratti horror-paranormali e calato in un’ambientazione open world, sviluppato dalla software house indipendente polacca The Astronauts e distribuito da Nordic Games. Il titolo è in circolazione dal 26 settembre dello scorso anno su PC, ma solo il 15 luglio è approdato su PlayStation 4, ed è questa la versione del gioco che andiamo a recensire, dopo aver dedicato un paio di note allo sviluppatore. A capo del team c’è il polacco Adrian Chmielarz, già fondatore di altre due case di produzione, Metropolis Software e People Can Fly; nonostante il lavoro sia stato svolto in maniera che potremmo definire “artigianale” (il team di otto persone lavora, per adesso, nel bilocale di Chmielarz a Varsavia!), ‘The Vanishing of Ethan Carter’ ha riscosso un inatteso successo di critica e di pubblico, con oltre 250.000 copie vendute dall’uscita fino allo scorso mese di giugno.
Senza volere, né potere fare troppi spoiler, vi diciamo che ‘The Vanishing of Ethan Carter’ (sono indeciso se ringraziare o meno i traduttori per aver mantenuto il lunghissimo titolo originale) racconta la strana storia di Paul Prospero, “indagatore dell’occulto”, che nel 1973 viene convocato dalla strana lettera di un bambino (il nostro Ethan Carter, per l’appunto) nella remota località di Red Creek Valley, Pennsylvania. Qui giunto, il burbero e introverso protagonista dovrà cercare di trovare il bimbo scomparso, seguendo le piste che questi ha disseminato, mentre una misteriosa potenza dormiente tenta di risvegliarsi sullo sfondo.
“Questo gioco è un’esperienza narrativa che non ti tiene per mano”: ecco la frase che compare al termine del primo caricamento della nuova partita. In queste poche parole c’è un po’ tutta la filosofia che sostiene il gioco e che lo rende un unicum nel panorama videoludico attuale: cosa vuol dire non essere tenuti per mano da un videogioco? Vuol dire, in un certo senso, godere di molta libertà, ma anche essere perennemente smarriti. Scordatevi la mappa, dimenticate il classico hub per le quest, abituatevi a non essere rincorsi da notifiche sui progressi realizzati e sulle prossime cose da fare: ‘The Vanishing of Ethan Carter’ vi abbandona e vi lascia giocare, apparentemente senza interferire.
Il gioco inizia senza nemmeno un mezzo tutorial, vi scaraventa a Red Creek Valley e poi sono fatti vostri. L’occhio del giocatore diventa fondamentale, così come la sua logica, il suo intuito, persino il suo senso dell’orientamento (bisognerà fare caso al punto in cui si trova il sole per determinare i punti cardinali). Questo può piacere o non piacere, a seconda del gusto personale, ma indubbiamente rappresenta una ventata d’aria fresca in un panorama videoludico in cui la parte destra dello schermo è destinata ad essere costantemente invasa di informazioni sulle cose da fare e la mappa è condannata a pullulare di punti di interesse.
‘The Vanishing of Ethan Carter’ è un gioco filosoficamente e strutturalmente solitario: nella sua ricerca delle tracce del bambino svanito, il protagonista dovrà risolvere tanti piccoli misteri, che, grazie ai poteri paranormali dell’investigatore, andranno a comporre una storia più ampia. Bisognerà obbligatoriamente collezionare tutte le soluzioni per accedere al finale della storia (per questo, poco sopra, ho scritto che il gioco lascia giocare “apparentemente senza interferire”). Posso assicurarvi che è tutt’altro che facile, o forse, più semplicemente, non siamo abituati a concepire questo tipo di videogame. La sfida è viva e palpabile, ed è tutta nella mente del giocatore. “Saprò comporre questo puzzle? Sarò in grado di uscire da questa situazione? Troverò tutti gli oggetti che mi servono?”
L’horror viene declinato in una sottile sfumatura di solitudine e abbandono (raramente si ricorre al jumpscare) e rimane tutto sommato molto soft, generando più inquietudine e curiosità che vera e propria paura. Di per sé il gioco potrebbe essere completato in poco più di un paio d’ore (difficilmente alla prima run, più verosimilmente alla seconda o alla terza, quando si ottiene abbastanza familiarità con i diversi indovinelli sparsi per la mappa), ma qui sorge un vero problema: una volta terminata la storia, che incentivo si può avere per rigiocarla daccapo? Francamente, non ne vedo, almeno non nel breve periodo. La durata tutto sommato ridotta e lo scarso stimolo a rigiocare rappresentano un duro colpo alla longevità del videogame.
Un altro punto in particolare è degno di considerazione: ‘The Vanishing of Ethan Carter’ è davvero un open world? In un certo senso sì. Dopo il primo caricamento, piuttosto lungo, all’inizio della partita, è virtualmente possibile arrivare fino in fondo alla storia senza doverne attendere nemmeno un altro, muovendosi liberamente per la mappa dall’inizio del gioco e fino ai titoli di coda. Il rovescio della medaglia, però, è che si tratta di un open world piuttosto piccolo, anche se costruito con mestiere (come un labirinto) per allungare la percorrenza. Devo segnalare, inoltre, come a dispetto dell’apparente senso di smarrimento che si percepisce nelle fasi iniziali, si finisca per scontrarsi ben presto con i confini più o meno invisibili della mappa, dove massi caduti, greti rocciosi, ponti e montagnole finiscono per disegnare una sorta di percorso prestabilito in cui si può divagare, ma dal quale è impossibile allontanarsi.
Venendo alla grafica, su PlayStation 4 questo versante appare particolarmente curato, grazie all’adozione dell’Unreal Engine 4 . Pur non costringendo la macchina a sforzi eccessivi, tutto fila liscio (giusto qualche occasionale rallentamento nel passaggio da una macro-area all’altra); per una produzione indie, il lavoro svolto è veramente egregio: alberi, acqua, luci, mulinelli di polvere sono resi con inattesa attenzione. Qualche problema si pone nell’interazione del protagonista con l’ambiente: come in molti giochi con visuale in prima persona, quando si guarda verso il basso si ha la sensazione di essere incorporei (“Dove sono i miei piedi?”). Idem quando si interagisce con gli oggetti o si passa attraverso cespugli o rami bassi. Complessivamente, comunque, non sono molti gli incidenti che distolgono dall’immedesimazione. I (pochi) modelli poligonali dei personaggi secondari non fanno gridare al miracolo, ma sono comunque piuttosto convincenti e fanno il loro lavoro, complice un doppiaggio professionale e un’accorta opera di traduzione nei sottotitoli in italiano (che, per una volta, sono della dimensione perfetta per non far perdere diottrie!).
Complessivamente, ‘The Vanishing of Ethan Carter’ è un prodotto che si distingue nel panorama videoludico in quanto fa della libertà di esplorazione (senza l’ansia di essere inseguiti dagli avvisi delle quest) il proprio tratto caratteristico. I puzzle ambientali, nei quali si incappa a volte senza nemmeno rendersene conto, sono originali e variegati e richiedono tutta l’attenzione del giocatore per essere risolti. Se ti trattasse di un prodotto tripla A, potrei definirlo un’idea carina, realizzata in maniera approssimativa; dal momento, però, che siamo davanti a un videogame realizzato da una mini-software house nell’appartamento del fondatore, e anche in considerazione del prezzo tutto sommato contenuto, mi sento di suggerire quest’esperienza a chi abbia voglia di vivere qualcosa di davvero diverso, senza paura di scontrarsi con un concept “alieno” rispetto a quello degli altri giochi sulla piazza. Anche solo per farsi un’idea di ciò che in futuro ci riserveranno i ragazzi di The Astronauts.
– Stefano Marras –
‘The Vanishing of Ethan Carter’: recensione
Isola Illyon
- Un piccolo open world;
- Un'avventura investigativa con sfumature horror e paranormali (senza eccesso di jumpscare);
- La filosofia del gioco è quella di lasciare il giocatore in balia di se stesso e dell'ambiente circostante;
- Grafica d'impatto;
- Doppiaggio professionale e traduzione italiana perfetta, con sottotitoli leggibili;
- Per essere un videogame indie, è davvero un gioiellino;
- Dopo un po' si capisce che è la mappa è molto piccola;
- L'apparente libertà di cui si gode viene sminuita dalla necessità di completare tutti i puzzle del gioco;
- Interazione con l'ambiente molto essenziale, camuffata con la visuale in prima persona;
- Longevità ridotta;