Quando ho scoperto che Rai 4 avrebbe trasmesso Dominion, avendo già visto la serie in un meraviglioso (tremendo) americano sottotitolato in italiano (pessimo), mi sono chiesta se l’emittente stesse tentando il suicidio. In patria lo show ha ottenuto pareri contrastanti, e che l’emittente italiana la scegliesse dopo aver trasmesso anche Atlantis… insomma, l’idea era che continuassero le scelte in bilico fra il successo e il flop. La risposta più semplice in assoluto è che Rai 4 abbia facile accesso ai diritti SyFy, vista la quantità di prodotti in arrivo da quel canale che ci propina annualmente. Poi, però, gli ascolti sono stati discreti e ho dovuto ricredermi circa il gradimento del pubblico.
A questo punto è evidente che il format “intrigo & tradimento & intrigo & tradimento” sia quello che piace di più. Certo, lo potevamo capire dall’andamento di Game of Thrones, che pur si è ammollato con la quinta stagione, ma la tendenza del pubblico ad amare incondizionatamente serie di questo genere è in aumento. Non importa quanto gli intrighi siano irreali, quanto gli sceneggiatori non li spieghino, quanto ogni personaggio sia sporco e “negativo”: al pubblico piace, soprattutto se condito qui e lì da un po’ di sesso e nudità, e dal dramma personale e/o sociale.
Dominion ha messo a frutto il modello GoT, riproponendolo per fortuna con meno scene di sesso e nudo, complice il fatto che gli sceneggiatori hanno avuto così tanto da raccontare che, per una volta, avrebbero dovuto fare il doppio delle puntate! Non c’è episodio di Dominion che non sia un grumo di trama denso e – dannati loro – appiccicoso. Se anche la trama non è molto complessa, se anche i voltagabbana sono spesso prevedibili, i personaggi fra il banale e l’irritante, se anche alcuni punti sono pure noiosi… si può in ogni caso star certi che gli ultimi dieci minuti dell’episodio saranno dedicati a qualcosa che farà desiderare di vedere immediatamente il successivo. Roba che mi sparavo tre episodi a sera, cosa che non succede mai – fatico a guardarne uno, figuriamoci tre in fila!
Parlando ancora dello sviluppo delle scene di Dominion, a parte l’abilità degli scrittori a inserire sempre un piccolo cliffhanger finale e a presentare spezzoni di storia sempre abbastanza interessanti (la noia è dettata dai dialoghi e dalla prevedibilità), a volte le scelte sono criticabili. Come quella di far parlare alcuni personaggi a tre metri da un reattore nucleare. A parte l’architettura del reattore in sé, ma davvero non ci mettete in mezzo neanche uno schermo protettivo? Si tratta di errori – non si può dire altrimenti – che potevano essere evitati in modo molto semplice. Questo, e tanti altri.
Come sarebbe bastata un po’ di cura per rendere i combattimenti più credibili e meno raffazzonati. In alcune sequenze i personaggi si abbassano prima che arrivi loro un cazzotto o un colpo di spada, altre volte viene scelta un’inquadratura molto vicina, in cui vediamo un’ala, una gamba, un pezzo di pavimento, solo per nascondere che l’attore non viene preso e scaraventato per davvero contro il muro.
Un po’ più di cura, avrebbe dovuto essere dedicata anche alle decisioni dei personaggi. Nelle primissime puntate, senza quasi spiegare le motivazioni, la circa-ragazza del protagonista cambia idea quattro volte su quello che vuole fare. Prima vogliono andarsene, poi lei vuole restare, lui andarsene e lei seguirlo, poi restare e sposare l’altro… insomma, figliola, l’importanza è avere le idee chiare, eh? È un modo come un altro per far andare avanti la trama? Certo, lo capiamo tutti, ma come altri autori mascherano questa necessità con scelte più coerenti per i loro personaggi, anche quelli di Dominion avrebbero dovuto essere più accorti. È il loro lavoro: che lo facciano bene non è una possibilità, è un dovere.
Stesso dovere che avrebbero dovuto assolvere anche gli attori, che per lo più si limitano a svolgere il compitino, regalandoci recitazioni piatte, espressioni da lobotomizzati e enfasi dialettica degna di piastrelle. Fanno ovvia eccezione Alan Dale (il Generale Edward Riesen), Anthony Head (David Whele, già visto come Giles in Buffy), Carl Beukes (Gabriel) e Shivani Ghai (Arika).
Accanto a questi erroracci, c’è però una storia nel complesso esaltante.
La trama nasce come sequel logico di Legion, film del 2010 che aveva messo in gioco l’arcangelo Michele al fianco dell’umanità, unico a tentare di proteggerla (salvando un bambino “prescelto”) dagli angeli minori – che nel film funzionano un po’ come demoni che possiedono le persone (passatemi la semplificazione). Veniva poi introdotto l’arcangelo Gabriele, come contrappunto di Michele (interpretato da un magistrale Paul Bettany nel ruolo più piatto della sua carriera, ma comunque funzionante e grugnoso al punto giusto). Il film si concludeva con Gabriele sconfitto, il neonato Prescelto salvo insieme alla madre e al padre. Un film gradevole per la quantità di botte, ma del tutto dimenticabile ed evitabile.
La serie tv, per quanto riguarda la storia, non è né dimenticabile, né evitabile. A parte alcune scelte opinabili, la trama di Dominion è incredibilmente bella. Ricomincia la storia venticinque anni dopo il suo inizio in Legion. Michele è riuscito a salvare il Prescelto e a nasconderlo ad angeli ed umani, ma non è riuscito a salvare il mondo, devastato dagli angeli minori, ora comandati da Gabriele. Dio ormai è disinteressato alla terra e alla sorte dell’uomo, quindi tutto viene lasciato in mano agli Arcangeli e agli umani stessi, che intrigano come non ci fosse un domani… in effetti non per tutti ci sarà, il domani dico.
Nella prima stagione, oltre ai canonici Michele e Gabriele, viene introdotto anche Uriel, nei panni di una biondona strafiga e stronza. Sa di cliché, ma ci piace, perché è uno di quelli intramontabili. Il quarto arcangelo ancora non è stato svelato, ma ci aspettiamo la sua entrata in scena nella seconda stagione, magari per far fuori uno degli altri e iniziare a sfoltire le fazioni. Oppure sarà solo un’altra voce nel marasma di gente che pretende il potere per sé.
Fra gli esseri umani, la situazione non è tanto migliore. Innanzitutto, c’è Vega (la vecchia Las Vegas) e ci sono degli strani rapporti commerciali con un’altra città di sopravvissuti, Helena. Tuttavia, in questa Vega distopica e dal sapore di Hunger Games (per il classismo imperante che divide la società in caste), ognuno vuole il potere. La città è una sorta di parodia di Roma, con un Signore della Città che funge da imperatore e un senato di Consoli che delibera con lui. Proprio come a Roma, una forte accezione viene data alla militarizzazione e all’efficienza, essenziali per sopravvivere in un mondo post-apocalittico. Nel primo episodio ci viene addirittura presentato un giubileo che culmina in giochi gladiatori. Anche stilisticamente è chiara la volontà dei creatori della serie di avvicinarsi alla Roma classica, sfruttando in modo sapiente i palazzi di Las Vegas ispirati al classicismo, mettendo al fianco dei soldati un sempre inutile gladio e addosso ad alcune ragazze degli abiti ispirati ai pepli. Il tutto è davvero apprezzabile, ma lo sarebbe stato ancora di più se quei dettagli fossero stati sfruttati e non solo resi un abbellimento.
A Vega si contrappongono innanzitutto due famiglie: i Riesen, cui appartiene il Signore della Città, e i Whele, il cui capofamiglia è il braccio destro del Generale Riesen, il suo aiutante, quello che risolve le situazioni scomode con abile dialettica (e ricorrendo all’omicidio)… e anche il principale antagonista del potere della casata regnante. E no, il rimando non è assolutamente a Game of Thrones, bensì a Dune e alle sue casate, dove Casa Harkonnen si vede costantemente contrapposta a Casa Atreides. Sempre mutuate da Dune sono anche le donne della Sorellanza, abili manipolatrici che ricordano molto le Bene Gesserit di Frank Herbert.
Oltre all’opposizione di Riesen e Whele, ci sono molti altri intrighi, tutti da scoprire (tipo: “collezionali tutti!”), perché sembra che nessun personaggio sia esente dal nascondere qualcosa. Nel caso di alcuni, il “cosa” viene svelato quasi subito. Nel caso di altri, viene tirato per le lunghe, a volte del tutto taciuto.
La prima stagione si conclude con il sempre verde cliffhanger che coinvolge il Prescelto e la sua amata, uniti da qualcosa (sì, avete pensato giusto) che tutti cercheranno di strumentalizzare. Questo, però, lo vedremo nella seconda stagione, che inizierà negli USA il 9 luglio di quest’anno.
La speranza è che, con una sicurezza di ascolti non indifferente, la smettano di correre così tanto e rallentino i ritmi interni agli episodi, rendendo il tutto più godibile.
– Lucrezia S. Franzon –