Confesso di essermi seduto sulla poltroncina del grande schermo con un buon bagaglio di perplessità nell’affrontare questo Predestination. In effetti il tema della polizia temporale, organizzazione governativa più o meno segreta preposta al mantenimento della continuità spazio-temporale ed al perseguimento dei crimini prima che essi avvengano, è un classico della fantascienza. Narrativa a parte, è appena il caso di ricordare in questa sede Timecop, protagonista Van Damme, e Minority Report, variazione sul tema di una dozzina di anni or sono con Tom Cruise (l’omonima serie tv, prevista per questo autunno su Fox Usa, è quasi ai nastri di partenza). A memoria, mi pare addirittura di ricordare una simpatica parodia del genere su Topolino a metà degli anni ottanta o giù di lì, nella quale Archimede trasformava involontariamente la lavatrice di Paperino in macchina del tempo, salvo venire bloccato dall’intervento di una pattuglia spazio-temporale. Insomma, era evidente da subito che il film non puntasse sull’originalità del tema per fare colpo. Però il fatto che fosse tratto da un racconto di R. Heinlein del 1959, All you Zombies (edito in Italia da Mondadori e tradotto maldestramente in Tutti i Miei Fantasmi), che si presentasse con un parterre di attori di spessore (Ethan Hawke e Noah Taylor su tutti) e che i registi, i fratelli Spierig, non fossero nuovi alla fantascienza, mi hanno quantomeno fatto sperare che si potesse trattare di una solida e godibile sci-fi girata con tutti i crismi del genere. Vediamo se è stato così: al limite, potete sempre fare un viaggetto indietro nel tempo di un paio di giorni e venirmi a gambizzare prima che io entri al cinema.
SINOSSI
Un misterioso agente della polizia temporale indaga sull’unico caso che, in tanti anni di carriera, non è ancora riuscito a risolvere: un funesto attentato che, in una linea temporale alternativa, ha causato migliaia di morti. Il viaggio nel tempo, limitato a poche decine di anni, è realtà. Nel suo continuo saltare lungo una linea temporale che va dall’immediato secondo dopoguerra alla metà degli anni ottanta, il veterano vedrà stranamente frustrati tutti i tentativi di impedire la catastrofe. Numerosi personaggi intrecceranno le loro vicende a quelle dell’agente lungo tutto l’arco temporale e, come se non bastasse, la natura caotica e stressante del viaggio comincerà ad avere i suoi effetti sulla psiche stessa del poliziotto, sempre più confuso ed incerto sulla percezione della realtà paradossale che sta vivendo.
SALTA TU CHE SALTO ANCH’IO
Predestination è un gioco d’incastri, uno di quei film, complice anche la trama, in cui la fabula è completamente destrutturata, l’ordine logico e cronologico non ha più nessun senso lineare, e dobbiamo disporci ad accettare come verosimili i paradossi di cui è piena la letteratura di genere, tra i quali eventi non ancora accaduti causati dagli effetti degli eventi stessi, incontri tra versioni di se stessi di epoche differenti, paradossi temporali (vissuti anche in redazione qui sull’Isola, quando è necessario consegnare l’articolo “per ieri”) e chi più ne ha più ne metta. Insomma, una sceneggiatura costruita a tavolino come fosse un’architettura cinematografica, consapevolmente e coscientemente dosata per centellinare le informazioni allo spettatore, in modo che questi tiri le fila solo alla conclusione del film. Operazione rischiosa, ambiziosa e costellata di fallimenti più che di successi nel corso della storia del cinema: perché il rischio concreto è quello di dar vita ad un’operazione fredda, manieristica, autocompiacente, ma fatalmente vuota.
Per una volta, invece, operazione (quasi) riuscita. Tanto per cominciare, i fratelli Spierig hanno avuto come solidissima base uno dei racconti più folgoranti del maestro della fantascienza Heinlein, che invito assolutamente ad andare a riprendere. La cinematografia è piena di adattamenti boiata a capolavori letterari, è vero, ma in questo caso evidentemente il racconto è servito quanto meno a mantenere la rotta all’interno di una narrazione obiettivamente piena di insidie.
Grande merito poi al cast: pochi (ma buoni) attori che si sono messi al servizio della pellicola senza cadere nella tentazione di strafare. Un misurato e sicuro Ethan Hawke nei panni dell’agente temporale riesce a trasmettere tutta la confusione e lo straniamento richiesto dal ruolo, consentendo l’immedesimazione allo spettatore che come lui, prima del finale, sta cercando disperatamente di capirci qualcosa. Una vera e propria rivelazione l’incantevole australiana Sarah Snook (è stata una delle tre selezionate finali per il ruolo di Lisbeth Salander in Millennium – Uomini che Odiano le Donne di David Fincher), la cui interpretazione in questo film è valsa l’Australian Film Institute Award, che passa con nonchalance tra interpretazioni radicalmente diverse nell’arco della narrazione, compreso un triplo carpiato recitativo da far tremare i polsi: segnatevi questo nome, ne sentiremo parlare ancora. Ed infine il sulfureo Noah Taylor (Locke di Game of Thrones) gigioneggiante come non mai, ma senza un singolo gesto o una battuta di repertorio. Gran merito poi al superbo lavoro tecnico di ricostruzione delle varie epoche: dai costumi alle scenografie (acconciature da pin-up, borsalini, tailleur e automobili anni ’40; minigonne, forme arrotondate, caschetti e stivali anni ’60; camicie coi collettoni, pantaloni a zampa, capellate incolte anni ’70), alla superba colonna sonora jazz, beat o rock a seconda degli anni di riferimento, tutto consente allo spettatore di capire a colpo d’occhio in che anno si stia svolgendo la scena, mettendo un po’ d’ordine ed eliminando spiegazioni che avrebbero appesantito ancora di più la sceneggiatura.
Dove il film purtroppo pecca non poco, a mio avviso, è nella distribuzione del ritmo. Ad una prima metà abbondante del film decisamente troppo lenta, incentrata sul racconto di uno dei protagonisti ed appesantita da una certa verbosità delle spiegazioni, fa da contraltare un ultimo terzo vertiginoso, dove si affastellano gli eventi e si fatica a dipanare la quantità di informazioni che vengono riversate sullo spettatore: un po’ più di equilibrio non avrebbe guastato. Si ha l’impressione che i registi abbiano ceduto all’accidia nella prima parte del film, affidando alle spiegazioni quello che avrebbe dovuto essere messo in scena.
Questo, in ogni caso, non incide troppo sulla qualità generale della pellicola. La narrazione si mantiene avvincente e l’interesse dello spettatore non scema fino alla fine, all’inquietante e sconvolgente finale che induce senza forzature il pubblico a riconsiderare la natura filosofica del tempo: come dice il Dalai Lama, “Lo scorrere del tempo è il nome che diamo alla nostra incapacità di comprendere l’Eterno Presente”.
– Luca Tersigni –
Predestination – Recensione
Luca Tersigni
- La prova convincente del cast;
- L’intreccio non banale, anche se non del tutto imprevedibile;
- La riflessione sulla natura del tempo, funzionale alla trama e mai accademica ;
- Il malgestito squilibrio nel ritmo generale del film, con alcune scelte narrative non propriamente azzeccate;
- Qualche piccola incongruenza nella sceneggiatura;