Come Homer ci insegna nell’episodio 19 della quattordicesima stagione de I Simpson, se si vuole costruire qualcosa, quel qualcosa dovrebbe essere un affronto a Dio stesso. Forse è anche da questo che dipendono la nostra fissazione per sviluppare strutture in senso verticale (senza scomodare Freud e le sue interpretazioni fallocentriche). Fin dai tempi della Torre di Babele, in effetti, la storia umana è costellata di popoli che, dopo aver imparato a mettere una pietra sopra l’altra per costruire qualcosa, si sono messi in testa di costruire le mura più grandi, le torri più alte, i templi più impressionanti.
Tale tendenza, del resto, è quasi certamente riscontrabile anche nel piccolo delle camerette d’infanzia di un buon numero di lettori: ossia, quelli che da piccoli coltivavano la passione per quegli adorabili strumenti di tortura (calpestare per credere) danesi in plastica ABS altrimenti noti come Lego.
È quasi un automatismo per chi abbia ricevuto più di un set di mattoncini: nel momento stesso in cui si realizza l’interscambiabilità dei pezzi, sorge il desiderio di recuperarne di più, sempre di più, per assemblare la Lego-creazione definitiva. Anzi, spesso si attraversa un vero e proprio periodo semi-compulsivo in cui si chiede in prestito, estorce, o saccheggia da amici e conoscenti del materiale ludico-edile aggiuntivo, per alimentare l’edificazione della torre/palazzo/castello/quel-che-è Lego più colossale della storia del mondo.
Se la notoriamente poco longeva attenzione infantile non ci arresta prima, tuttavia, ben presto realizziamo che difficilmente la nostra piccola cameretta e la limitata (da finanze e pazienza genitoriali) collezione di Lego potranno sostenere qualcosa che passerà alla Storia. Per molti di noi il sogno di ricreare una copia del Millennium Falcon o dell’Empire State Building a grandezza naturale è destinato a rimanere tale, e tuttavia ci sono circostanze in cui è veramente possibile prendere parte a un progetto di taglia extra-large: come è stato possibile tra il 17 e il 21 giugno di quest’anno, quando decine di bambini (e bambini piuttosto cresciuti come il sottoscritto) di Milano e dintorni hanno avuto l’occasione di contribuire, in piccola misura, a una torre Lego veramente da record.
Sponsorizzata dall’EXPO, patrocinata dal WWF, e potendo contare sul contributo economico (e materiale) del Lego Group, nello spiazzo della Fabbrica del Vapore, a due passi da Garibaldi FS e il Cimitero Monumentale di Milano, la Torre Lego inizia a sollevarsi (quando l’abbiamo vista noi di Illyon, superava di poco i cinque metri) e punta direttamente alla vetta: nientemeno che ad apparire nel Guinness dei Primati, nello specifico nella sessantunesima edizione del libro dei record. L’obiettivo? Battere quei trentaquattro metri e settantasei (poco più delle mura di Minas Tirith, per intenderci) stabiliti nel giugno 2014 dalla torre di Budapest, attuale detentrice del record.
Incuriosito (e anche un po’ ansioso di compiacere il mio bimbo interiore) mi sono quindi spinto in ricognizione all’evento nella giornata di giovedì 18 (a lavori appena iniziati), cercando di carpire i segreti dei Mastri Costruttori (e facendomi distrarre solo in minima parte dall’area di “costruzione libera”, con le decine di set a disposizione di chiunque volesse giocarci). Grazie alla collaborazione della cortese Chiara (che qui ringrazio), posso ora fornirvi le risposte alla domanda che apparentemente chiunque si farebbe leggendo “Lego” e “trenta metri di altezza” nella stessa frase: c’è veramente qualcuno che ha lo sbatti di farsi cinque piani di scale per posizionare un mattoncino di plastica?
Nell’avvicinarmi, non posso fare a meno di notare che la location pare suggestiva, ma leggermente desolata: forse complici le dimensioni ancora contenute della Torre al giorno del nostro sopralluogo, l’area recintata, la gru, e i gazebi stretti ad essa semplicemente scompaiono nella vastità della corte della Fabbrica del Vapore. Il fatto che parte degli stessi fosse completamente deserta e allestita solo per metà non contribuiva di certo a trasmettere un’idea della magnitudine dell’impresa: insomma, qui si parla di soddisfare il sogno di intere generazioni di consumatori Lego, di iscrivere il nome di Milano nel Guinness dei Primati, e di raggiungere il cielo con una struttura tenuta assieme unicamente da meccanismi a incastro e qualche martellata. Il solo modo per rendere l’impresa più epica sarebbe chiedere la collaborazione di un certo Brandon Stark e qualche gigante di passaggio (i quali, come i lettori milanesi probabilmente confermeranno, sono difficili da reperire in zona Isola e dintorni).
La procedura di assemblaggio in sé è abbastanza lineare: le orde brulicanti di aspiranti costruttori, una volta giunti all’ingresso, sono rapidamente suddivise in coraggiosi manipoli di dieci-quindici individui, ciascuno dei quali con il compito di assemblare un macro-blocco di una settantina di mattoncini di altezza. Gli stessi sono diligentemente raggruppati da un paio di simpatici dipendenti che provvedono a martellarli in una matrice prima di issarli (con l’ausilio di un braccio meccanico) sulla cima della torre. Malauguratamente, nel tempo da me trascorso a girovagare tra gli stand dell’evento, non ci sono state sessioni di assemblaggio acrobatico a mezz’aria, ma sono assolutamente certo che le stesse abbiano fatto la gioia di qualsiasi infra-dodicenne che abbia avuto la fortuna di assistervi. Ci sono milioni di mattoncini Lego, una gru, e una gru con cui montare mattoncini Lego in una torre più lunga di due tirannosauri uno dietro l’altro: l’intera vicenda sembra uscita direttamente dal sogno ad occhi aperti di un annoiato scolaro elementare (per lo meno, di uno di un’epoca in cui non esistevano gli smartphone con cui giocare durante le lezioni).
Non può che stupirci, dunque, il fatto che la manifestazione fosse praticamente vuota: per essere il primo pomeriggio, ho contato forse quattro gruppi di lavoro e una manciata di bambini in attesa. Siamo ben lontani, quindi, dal coinvolgimento di massa che un simile evento avrebbe potuto richiamare: tuttavia, il personale e gli addetti hanno definito l’affluenza dei primi due giorni sostenuta. Le previsioni iniziali, cautamente ottimiste, sono infine state confermate: con 580.000 mattoncini (circa) e 35,05 metri di altezza, Milano è riuscita a strappare il primato a Budapest nella giornata di domenica 21. Vincitore aggiuntivo sarà il World Wide Found for Nature, al quale la Lego devolverà sette euro per ogni centimetro di Torre.
Poco altro c’è da aggiungere sull’impresa, che più che altro testimonia l’incrollabilità del marchio numero uno al mondo, vero miracolo dell’ergonomia che da oltre sessantacinque anni sforna pressoché ininterrottamente i suoi blocchetti da costruzione, con all’attivo più videogiochi di quanto sia umanamente possibile contare e almeno altri quattro film in arrivo nei prossimi anni (dopo il successo di The LEGO Movie). Al di là di tutto, si è trattata di un’esperienza alternativa e sorprendentemente divertente, per i piccoli come per quei grandi che non hanno mai superato l’amore per le costruzioni, magari evolvendolo verso sue incarnazioni più adulte come il modellismo e i wargame da tavolo. L’occasione per un sano ritorno alle origini, che sono stato più che felice di cogliere, e che spero anche qualcuno tra i lettori abbia potuto sfruttare.
– Federico Brajda –