Nella tradizione popolare, a chi pratica la magia o l’alchimia è spesso associato l’essere accompagnati da una creatura nota come “familiare” o “famiglio“: nei giochi di ruolo, ovviamente, questa componente non poteva venire trascurata, così come nei giochi di carte e nei videogiochi a tema fantasy: largo dunque ad esseri fatati, il cui legame con il loro padrone poteva concedere determinate utilità e benefici. Il familiare era, solitamente, un animale, una pianta, un demone minore, una “divinità domestica” assimilabile ai Lari romani, ma anche (specie per gli alchimisti) un homunculus, ossia un essere creato artificialmente a cui s’era concesso il dono della coscienza e del movimento, un po’ come un golem, ma molto più in piccolo (il cui procedimento di creazione era, com’è stato rivelato da Paracelso, la conservazione del seme maschile all’interno delle viscere di un cavallo, finché non fosse nato una sorta di feto da nutrire con sangue umano ed altre sostanze). Non mancavano nemmeno le accezioni elementali, spiriti associati agli elementi fondamentali (fuoco, aria, terra e acqua), che assumevano parvenza di pseudo folletti in grado di dispensare consigli o compiere piccoli incarichi per conto del loro padrone, come recapitare messaggi o dare dolorosi avvertimenti a qualche avversario.
Ma è solo questo ciò che si può raccontare sui famigli? Oppure c’è altro che accompagna gli amici, spesso unici, dei maghi o delle streghe?
IL FAMIGLIO: ORIGINE DEL NOME
Si parla di “familiare” o “famiglio” fin da quando, secondo una tradizione prettamente medievale (Basso Medioevo, per lo più), era uso del signore feudale estendere nella propria corte e nel novero della propria “famiglia”, persone terze, che venivano così adottate – termine improprio, ma che rende l’idea – e ne guadagnavano un bel po’ in termini di status sociale, divenendo parte della cerchia più vicina al loro signore. Quella del “famiglio” (dal latino “famulus“: obbediente, sottomesso) era una pratica non troppo diffusa, ma comunque non certo sconosciuta, che poteva finanche premiare cavalieri del signore feudale particolarmente degni di stima e fiducia, e che si erano coperti di gloria e fama. Successivamente, si arrivò ad identificare il “famiglio” secondo l’accezione più classica, quella che più o meno tutti conosciamo: un animale, un demone minore, una entità comunque alle dipendenze del mago o della strega di turno.
Ma cosa erano, nello specifico, i famigli?
Certo, nella tradizione erano solitamente creature associate con il male e l’oscurità (quella religiosa identificava esseri striscianti, o comunque “terreni”) quali i topi – considerando anche le malattie che potevano trasmettere e l’idea di sporcizia che li seguiva –, i gatti – perché predatori silenti e notturni oltre che misteriosi, con particolare riguardo ai gatti neri –, i rospi e le donnole, le lucertole – in misura minore, essendo spesso impiegate come componente per qualche rituale – e i serpenti – ricordiamo nella tradizione cristiana anche il Serpente Tentatore a cui si deve la caduta dell’Uomo dal Giardino dell’Eden –, ma anche i pipistrelli e corvi, che pur volando offrivano una immagine negativa nell’immaginario collettivo – senza dimenticare che i corvi erano associati alla morte perché si nutrivano di resti dei corpi dei caduti su un campo di battaglia o dopo le esecuzioni di piazza, mentre i pipistrelli erano anch’essi veicolo di malattie.
Ma, nella visione del popolo, i famigli erano occhi ed orecchie per i maghi e le streghe che se ne servivano, lo strumento con cui essi potevano entrare in contatto con il mondo soprannaturale e degli spiriti (il “mondo di sotto”) o apprendere, spiando, i segreti della gente, tanto degli umili che dei potenti, visto che questi animali riuscivano facilmente a sgattaiolare in ogni dove; va da sé che allorché si reputasse che il famiglio fosse un demone minore o una creatura elementale, la percezione del “potere” del padrone cresceva esponenzialmente agli occhi della gente comune… e, probabilmente, ne aumentava il rischio di linciaggio.
Correva inoltre la convinzione che il famiglio si nutrisse del sangue del proprio padrone, e questo era spesso un mezzo di sedicenti cacciatori di streghe per colpevolizzare senza appello presunti praticanti di magia e rapporti col Demonio, allorché apparisse un gatto, un topo, un corvo che fossero anche solo un po’ in confidenza con l’accusato. Ci fu un celebre e famigerato cacciatore di streghe che si avvaleva, tra gli altri, proprio di questo mezzo per avere “la certezza” di colpevolezza dei suoi accusati e la giustificazione per mandarli al patibolo: magari ce ne occuperemo la prossima volta.
In un celebre romanzo (che all’epoca veniva venduto nel nostalgico, compianto formato “100 pagine 1000 lire”) di Warner Munn, “Stirpe di Lupo”, uno dei personaggi era appunto un mago che aveva asservito diverse creature che impiegava principalmente come difesa, compreso un basilisco, uno spirito del fuoco, un elementale dell’acqua, un homuncolo, una mandragola e tante altre.
Ma, al di là di queste accezioni, il famiglio era, storicamente parlando, una creatura con cui il “mago”, la “strega” o più in generale il curatore, l’erborista o lo strambo di turno, semplicemente, aveva un po’ di familiarità: per quanto la cosa possa all’inizio stupire, non dimentichiamoci che anche oggi ci sono appassionati di erpetologia che allevano con amore serpenti anche di dimensioni ragguardevoli, senza considerare coloro che serbano ragni come tarantole o iguane od altre creature decisamente differenti dal classico cane o gatto di casa. Anche nella logica dei giochi di ruolo, sovente, il famiglio rappresenta l’unico amico, il solo contatto con “la realtà” per persone introverse, dedite magari allo studio, alla ricerca di approfondimenti di nozioni sulla Natura circostante, che usano queste creature anche per avere una maggiore comprensione della loro anatomia, oppure ne leggono le movenze, ne interpretano l’agire e l’umore, cercando di trarne consigli o addirittura vaticini.
Ma, in tutto questo, proviamo a dedicare attenzione proprio alla creatura nota come famiglio dal SUO punto di vista. Non avrà delle esigenze, poveraccio? Ed il suo padrone riuscirà a tenerselo sempre buono e prendersi cura di lui? Sì, come avrete intuito, stiamo per arrivare alla parte davvero importante dell’articolo, ovvero…
I SETTE GRANDI PROBLEMI DI GESTIONE FAMI(G)LIARE
1 – Pulizia: per quanto possa sembrare una cosa scontata, un famiglio è, abbiamo visto, un animale (gatto, topo, corvo, lucertola, ragno, serpente e tanti altri), un omuncolo oppure una entità quale un demone o spiritello: dunque, per quanto di solito chi pratica la “magia” abbia altri problemi (tipo, il non farsi linciare dal popolo) e viva spesso in condizioni frugali, avere un essere del genere che sporca in giro o che SI sporca, comporta il dover badare almeno un po’ alla sua pulizia e dell’ambiente in cui vive.
2 – Occultabilità: alcuni tendono a dimenticarsene, e ciò appartiene specie alla dimensione del gioco di ruolo, ma un famiglio, salvo sia uno spiritello etereo, non è certo invisibile; diciamo che curare relazioni personali col prossimo mentre un topo ti cammina sulle spalle o un serpente striscia avvolgendosi lungo la mano che è appena stata tesa per stringerla ad un altro a mo’ di saluto, non è proprio il massimo… peggio ancora se queste creature lasciano resti di cibo o di escrementi sul proprio pastrano o sull’indumento indossato.
3 – Conflittualità col padrone: come visto anche nel celebre “La Spada nella Roccia”, Anacleto, il gufo di Mago Merlino, rompeva parecchio gli schemi (e non solo) entrando in conflitto spesso e volentieri con il proprio padrone. La cosa che va, difatti, considerata e che al contrario, spesso, viene dimenticata, è che il famiglio, quale che sia la sua natura, è e resta una creatura senziente autonoma, il che implica che può sì tenere conto dei desideri del padrone a cui è legata, però ha anche proprie pulsioni e scopi, dai più semplici (nutrirsi, procreare, cacciare) fino a quelli presumibilmente più complessi (potere e/o irretire il padrone, se un demone minore od altra entità).
4 – Empatia: anche questo può sembrare un aspetto di poco conto, ma non va affatto sottovalutato. Di solito si suppone che il padrone e la creatura/essere che funge da famiglio condividano le emozioni; sebbene non sia certo che il famiglio trasmetta le proprie al padrone, salvo quelle basilari (fame, sete, paura, sonno), è invece altamente probabile che esso, in quanto creatura “più semplice”, faccia proprie quelle del padrone; e se puta caso la strega o il mago di turno ha i calderoni girati in un dato giorno, è anche possibile che ne vengano fuori un sacco di guai: provate voi a infilare emozioni come lo stress o il nervosismo che sfoci in isteria in una creatura dalla coscienza elementare. Risultato? Non lamentatevi se il demonietto di turno se ne va ad appiccare fuoco alle case o se il gatto nero aggredisce i passanti quando li trova per strada.
5 – Asfissia: quando si va di fretta, nascondere e custodire il proprio famiglio nella propria borsa, nel proprio zaino, nelle pieghe del proprio abito o nelle tasche del vestito è sovente il mezzo più veloce con cui un mago o una strega possono farlo crepare.
6 – Nutrimento: anche qui, per quanto faccia impressione sul prossimo presentarsi come mago o strega che spaventa con una tarantola grossa quanto un pugno o con un demone minore al proprio servizio, queste creature hanno bisogno di essere nutrite, e non sempre ciò che esse amano o considerano piacevole spuntino è facile da trovare… senza contare che i gusti stessi possono farsi via via più complessi col passare del tempo e della vicinanza empatica al proprio padrone.
7 – Mortalità: problema mica da ridere. Anche se la tradizione popolare sosteneva che un famiglio fosse più spirito che essenza carnale, e perciò immortale, in grado di trasmigrare in altre creature conservando il proprio bagaglio conoscitivo, a fronte di un colpo di scopa sulla testolina (o una palla di fuoco in un gioco di ruolo) dato dal contadino incacchiato o dal sedicente “cacciatore di streghe” di turno, pure queste creature muoiono con una certa facilità. Ecco perché preservare la salute del proprio famiglio diventa ben presto qualcosa di più di un semplice modo per assicurarsi l’esistenza di un “amico” o “consigliere sugli affari della Natura”, ma un mezzo per evitare un autentico shock fisico alla morte della creatura cui si è legati.
E voi, cosa ne pensate dei famigli?
– Leo d’Amato-