In generale, il valore di un eroe dipende da quello del suo antagonista. Nessuno si vanterà mai per aver sventrato un minion in League of Legends: si corre un po’ troppo il rischio, in questi casi, di adagiarsi su degli immeritati allori. Hai fatto saltare la testa ad Amintore l’adoratore dei Grandi Antichi con un colpo di doppietta a canne mozze? Guarda, mi pare che Cthulhu si sia svegliato: vai a R’lyeh e vedi se il trucchetto funziona anche con lui, poi torna e dimmi com’è andata…
Similmente, il successo relativo di un sistema di gioco dipende anche dalla qualità dei suoi diretti competitors: quando questi ultimi sono intenti a zapparsi i piedi da soli, è sufficiente un prodotto anche poco innovativo, ma curato e piacevole, per crearsi una lucrativa nicchia di mercato. Pensiamo al caso di Pathfinder RPG: nato da un’idea di Jason Bulmahn e prodotto dalla Paizo Publishing (che fino a quel momento creava supplementi per l’edizione 3.5 di Dungeons & Dragons), si sviluppa su un sistema ben rodato e molto apprezzato (appunto, la 3.5), per arrivare nel giro di quattro anni in cima alla classifica dei giochi di ruolo più venduti. Una delle ragioni del suo successo è il fallimento commerciale di Dungeons & Dragons 4.0: l’edizione, rilasciata dalla Wizards of the Coast nel 2008 e portatrice di numerose innovazioni, si scontra presto con la diffidenza e la disapprovazione dei fan, molti dei quali disertano, restano fedeli alla 3.5, o adottando appunto Pathfinder.
Quest’ultimo offre un impianto regolistico conosciuto e dalla comprovata solidità, al quale nel corso degli anni ha aggiunto diverse espansioni e dozzine di manuali, moduli d’avventura, e approfondimenti sull’ambientazione ufficiale (il mondo di Golarion), il tutto sostenuto da un comparto grafico di pregevole fattura: materiale di indubbia qualità, e che ha vita facile, poiché non si trova di fronte alcuna valida alternativa. Fino ad ora.
Con l’uscita di Dungeons & Dragons 5.0 (edizione per la quale le critiche vanno dal “molto buono” al “questo è il GDR degli dèi stessi”), infatti, la situazione è mutata: la Wizards of the Coast riguadagna terreno a vista d’occhio, sfornando manuali su manuali e richiamando a sé sempre più appassionati.
La Paizo non è rimasta a guardare: la sua tabella di marcia delle pubblicazioni mensili (avventure e materiali aggiuntivi) prosegue imperterrita, con alcune espansioni particolarmente degne di nota. A febbraio ha rilanciato in anticipo la Strategy Guide (Guida Strategica), pensata appositamente per avvicinare i neofiti al sistema di gioco, mentre lo scorso 29 aprile è stato il turno di Pathfinder: Unchained (letteralmente, “liberato, sciolto dalle catene”), espansione del regolamento base che alcuni fan teorizzavano essere la base per Pathfinder 2.0.
Il sistema inizia infatti a sentire il peso degli anni: D&D 3.5 e 3.0 risalgono rispettivamente al 2003 e al 2000. Inoltre, la Paizo ha lavorato duramente per mantenere quanto c’era di buono e tralasciare aspetti meno gradevoli (innalzando il livello di potere e il grado di personalizzazione dei personaggi, semplificando alcune meccaniche), ma non si è liberata di alcuni difetti strutturali di base. Le criticità ci sono, è tempo di una boccata d’aria fresca.
Seguendo un approccio bottom-up (partendo dalle segnalazioni della comunità di giocatori e playtester verso il quale ha sempre mostrato una certa attenzione), la Paizo si è lanciata in un rinnovamento all’insegna della retro-compatibilità con la vera e propria enciclopedia regolistica reperibile.
Tanto per cominciare, ha ripreso in mano classi base, alcune delle quali apparivano radicalmente sbilanciate. Un esempio potrebbe essere il Monaco, combattente mistico a colpi di kung-fu considerato debole e non abbastanza personalizzabile, al punto da non garantire una valida esperienza di gioco se non modificandolo con particolari archetipi (variazioni radicali nell’assetto di una classe base, introdotte nella Guida del Giocatore). C’era poi il problema del Ladro, classe che sulla carta avrebbe dovuto eccellere negli assassinii e nelle prove di abilità, e che si vedeva regolarmente scavalcata sia in un campo e che nell’altro. Nel manuale trovano posto anche Barbari e Convocatori. Questi ultimi, incantatori arcani basati sull’evocazione di un particolare servitore mistico/Pokémon personalizzabile nella forma e nelle abilità, devono aspettarsi un nerf generalizzato: pagano con un depotenziamento la loro versatilità, nata dall’unione di un roster di incantesimi di tutto rispetto e il potere fisico di una classe marziale (grazie alla collaborazione del Pokémon di cui sopra).
Si è proseguito cercando di sistemare l’annosa vicenda del confronto tra incantatori e non-incantatori: è ormai classico il dibattito all’interno della comunità sulla disparità, soprattutto agli ultimi livelli, tra il potere a disposizione di Maghi e affini (che plasmano l’essenza stessa della realtà a piacimento) e classi da combattimento senza incantesimi come i Guerrieri (che… agitano un pezzo di metallo molto, ma molto bene). La soluzione in questo caso è stata la meccanica della Stamina (“resistenza, vigore”), una riserva di energia non-magica della quale beneficeranno in particolar modo le classi marziali. Sempre in campo arcano, nel manuale si sono considerati sistemi alternativi di approccio alla magia e agli oggetti magici: bonus statici guadagnati dai personaggi col progredire dei livelli (anziché renderli dei dopati oggetti-dipendenti) e un sistema di magia “attivo” contro uno “passivo” (quello attuale, dove un giocatore spesso dichiara l’incantesimo ed è il master a tirare i dadi per valutare gli effetti sui malaugurati bersagli) sono solamente alcune delle opzioni presenti.
Ancora, è stata modificata la meccanica del multiclassing, verso la quale Pathfinder ha sempre mostrato un rapporto di amore-odio, premiando da un lato quei giocatori fedeli a un’unica classe con abilità e poteri veramente accattivanti agli ultimi livelli, e fornendo dall’altro una legione di archetipi e classi ibride che permettono di integrare meccaniche tipiche di due classi differenti. Da una parte si sono introdotti i concetti di classe primaria e secondaria (dove il personaggio progredisce nella prima, ma ha l’opzione di acquisire privilegi specifici della seconda), dall’altra si sono risolti problemi numerici legati allo scaling di statistiche come bonus d’attacco base e tiri salvezza derivanti dall’avere livelli in più di una classe.
L’elenco, naturalmente, non finisce qui: si parla di opzioni alternative relativamente alle abilità (ad esempio, un doppio pool di punti per abilità “di gioco” e abilità “di background), la gestione dei turni e degli attacchi iterativi, quella degli allineamenti (gestione di dilemmi morali e campagne senza allineamenti). Parola chiave è sempre “opzione”: tutto ciò che viene introdotto in Pathfinder: Unchained è infatti applicabile a discrezione dei giocatori, oltre a poter coesistere senza problemi con sue incarnazioni precedenti (per esempio, la co-presenza di Barbari classici e Barbari Unchained nella stessa campagna).
E i giocatori che ne pensano? I primi riscontri dal web paiono positivi, ma non entusiasti: il manuale è un prodotto buono, con alcuni contenuti accattivanti e altri dei quali non si sentiva il bisogno, che aprono la porta a combinazioni e approcci inediti per Master e giocatori. Tuttavia, è ben lungi dall’essere la rivoluzione radicale che alcuni si aspettavano (per i consumatori più appassionati, il paragone è con Unearthed Arcana per D&D 3.5).
Non sappiamo ancora quando in Italia approderà un’edizione tradotta (sul catalogo della Wyrd, editore italiano, non figura ancora), ma non disperiamo di riuscire prima o poi a mettere le mani su una copia e offrirvi una vera e propria recensione tra le pagine di Isola Illyon: restate collegati.
– Federico Brajda –