Cari Isolani, benvenuti al primo appuntamento con le recensioni di Isola Illyon dedicate ai singoli episodi della quinta stagione di ‘Game of Thrones’, con le quali seguiremo passo dopo passo la messa in onda italiana, curata di Sky Atlantic, in lingua originale sottotitolata alle 03:00 e alle 22:10 di ogni lunedì (ignorando il brutto caso di diffusione illecita delle prime quattro puntate, del quale vi abbiamo a suo tempo già dato notizia).
DISCLAIMER: Quantunque tenti di evitare SPOILER, la presente recensione contiene inevitabilmente quelli indispensabili a comprendere l’argomento trattato. In modo da consentirne la fruizione anche a chi ancora non avesse visto la puntata, eventuali anticipazioni più approfondite saranno coperte con l’apposito tasto SPOILER e saranno visibili semplicemente evidenziando il testo oscurato. Gli spoiler riguardanti stagioni precedenti NON saranno coperti.
La quinta stagione inizia proprio dove ci eravamo fermati con l’ultima, scioccante puntata della quarta. Come per tutte le prime stagioni successive alla prima, questa puntata ha lo scopo di riannodare i fili ed è, per forza di cose, una puntata di transizione, ma a differenza di altre viste in passato non disdegna momenti altamente drammatici. Lo stesso titolo, ‘The wars to come’ (‘Le guerre in arrivo’, una frase che torna per ben due volte nel corso della puntata, pronunciata da diversi personaggi in location radicalmente differenti), indica in maniera patente come l’episodio funga da preparazione per gli eventi futuri; e d’altronde, c’è veramente da tirare un po’ il fiato dopo i massacri dello scorso finale di stagione.
Jaime e Cersei, ad approdo del Re, fanno i conti con la prematura dipartita del padre-padrone Tywin Lannister, il cui corpo ritroviamo ricomposto (con le classiche pietruzze dipinte posate sugli occhi, a simularne l’apertura anche dopo la morte) e posato su un catafalco, in attesa della sepoltura. Pod e Brienne continuano le loro peregrinazioni, riprendendosi dopo il duro confronto con il Mastino, che ha visto la Vergine di Tarth uscire vincitrice di misura: qualcosa sembra essersi rotto in lei, dopo l’apparente fallimento della missione volta al salvataggio delle pupille Stark. Tyrion, nel frattempo, esce finalmente dalla cassa in cui lo avevamo lasciato chiuso a giugno dell’anno scorso e si ritrova a Pentos, nella casa di Illyrio Mopatis, il magister-mercante-orditore di complotti che avevamo conosciuto nella prima stagione, ma che qui non si presenta. A fare le veci del padrone di casa c’è l’intrigante Varys (assente da questo proscenio nei romanzi), che svela al Folletto i propri piani, dimostrando e approfondendo uno spirito patriottico che già in passato aveva accennato di possedere. Per restare ad Essos, il Continente Orientale, abbiamo anche Daenerys, che abbatte le statue simbolo della vecchia classe dirigente ghiscariana, solo per scoprire che una serpeggiante forma di resistenza nei suoi confronti sta prendendo piede a Meereen. Jon Snow, infine, conferma la sua leadership carismatica sui Guardiani della Notte e si confronta con Stannis Baratheon e Melisandre, che sembrano avere dei piani alquanto ambiziosi sia per i Bruti che per il Nord.
La puntata, complessivamente, scorre piuttosto bene (fin troppo veloce, dopo quasi un anno di astinenza!), senza particolari pecche a livello registico o di sceneggiatura. La maggior parte degli attori è ormai calata nella parte da talmente tante stagioni che sembra quasi indossare una seconda pelle (N.B.: da questo punto di vista Emilia Clarke/Daenerys non è migliorata, purtroppo). Tra le cose più significative c’è certamente l’introduzione del primo vero e proprio flashback dell’intera serie, non a caso enfatizzato dalla collocazione all’inizio della puntata. Nel flashback vediamo una giovane Cersei Lannister che raggiunge l’isolato capanno di una maga (i lettori ne conoscono il nome: Maggy la Rana) e, all’esito di un rituale giusto lievemente perverso, si sente profetizzare un futuro che, in parte, sappiamo essersi già realizzato. Il punto focale è comprendere chi sia davvero la regina della profezia, più giovane e più bella, che scalzerà dal potere Cersei: il pensiero, inevitabilmente, corre subito a Margaery Tyrell. Ma un lavoro di identificazione non meno interessante dovrebbe riguardare proprio la maga: partendo dal nome Maggy e dal fatto che praticasse quella che è palesemente magia del sangue, in passato molti fan hanno teorizzato che Maggy la Rana fosse la versione giovane della maegi Mirri Maz Duur, incontrata da Daenerys nelle Terre degli Uomini-agnello, autrice dell’avvelenamento di Khal Drogo, del suo stato comatoso perpetuo, della perdita del feto portato in grembo dalla khaleesi e condannata, per tutte queste ragioni, a bruciare sulla pira che ha ridato vita ai draghi. La serie sembra velatamente confermare quest’illazione, perché l’attrice prescelta per il ruolo di Maggy potrebbe davvero incarnare una giovane Mirri Maz Duur: la carnagione, i tratti somatici, i capelli ricci e corvini, lo stesso vestiario sembrano coincidere in maniera impressionante. Coincidenze? Noi non crediamo.
Molto impressionante, oltre che enormemente significativa, la scena in cui Daenerys scende nella catacomba in cui ha imprigionato due dei suoi tre draghi, come se avesse un ripensamento sulla loro condizione, solo per vedersi aggredita e minacciata da torrenti di fuoco sputati dalle fauci dei suoi figlioletti. Come si domanda Daario Naharis, che ritroviamo tra le lenzuola della khaleesi dopo il suo ritorno non proprio trionfale da Yunkai, che cosa rimane della Regina dei Draghi, se questa rinuncia ai propri draghi? La risposta è evidente. Il rapporto tra Daenerys e i suoi draghi ha un profondo significato a livello psicologico, significato che la serie riesce tutto sommato a rendere, sebbene in forma semplificata e giocoforza più “urlata” rispetto ai libri. I draghi rappresentano la parte più oscura e animalesca di Daenerys (e dell’animo umano più in generale): simboleggiano la violenza, l’abbandono delle regole, la follia, la rinuncia al controllo e alla diplomazia. È l’altra faccia della moneta che gli dèi lanciano alla nascita di ogni Targaryen, moneta che per adesso, nel caso della Madre dei Draghi, sembra essere rimasta in bilico. Ma presto a tardi una faccia dovrà venire fuori. Non ci vuole Sigmund Freud per capire cosa significhi, a livello subconscio, imprigionare i draghi, rinchiuderli in un sotterraneo buio, incatenarli tra pilastri e pareti: significa reprimere quei pensieri, quelle tendenze, quelle tentazioni, quel lato di sé, schiacciando il tutto sul fondo della propria coscienza. Quest’anima belluina, però, caratterizza la regina di Meereen e forse è proprio la parte che potrebbe aiutarla ad uscire dal pantano in cui si è cacciata nella Baia degli Schiavisti. Daario, che esorta Daenerys a liberare i draghi e che la incentiva a riaprire i Pozzi dei combattimenti (teneteli a mente, perché hanno l’aria di essere importanti anche in futuro), si fa portavoce della parte più oscura e animalesca di Daenerys, che per adesso, però, non sembra intenzionata ad ascoltarlo.
Prima di chiudere, soffermiamoci un istante sulla Barriera, dove vediamo le prime interazioni fra personaggi che finora non sono mai stati a confronto. Tralasciando le evidenti molestie sessuali della melliflua Melisandre nei confronti di un imbarazzatissimo Jon (suggerimento della settimana: non fate domande sulla verginità altrui agli sconosciuti che incontrate in ascensore!), può sorprenderci vedere il Bastardo di Grande Inverno inginocchiarsi davanti a Stannis Baratheon, dopo che, alla fine dell’ultima puntata della scorsa stagione, Tormund Veleno dei Giganti gli aveva detto che non sarebbe stato più capace di simili atti, proprio perché aveva passato troppo tempo con il Popolo Libero. In effetti, complice un apparente lieve miglioramento delle prestazioni attoriali di Kit Harington, in tutti i gesti di Jon Snow si avverte una tensione implicita, una sofferenza quasi fisica a piegarsi all’autorità. Anche questo ci dà l’impressione di essere uno dei temi portanti della stagione appena iniziata. Proprio alla Barriera sono ambientati due dei momenti più forti dell’intera puntata: l’annuncio di Stannis dei suoi piani per sottrarre il Nord ai Bolton, impiegando i Bruti (cosa che esalterà i tifosi superstiti della Casa Stark) e la condanna a morte del Re-oltre-la-Barriera Mance Rayder, eseguita in un finale palpitante di soffusa magia e di truce violenza. In quest’ultimo caso, la decisione di Jon di porre fine alla vita del condannato con una freccia misericordiosa è un ulteriore sintomo della scarsa simpatia per i re del Sud che ormai affligge il personaggio.
Insomma, Illyoners, per oggi è tutto! Avete già visto la puntata? Vi è piaciuta? Vi diamo appuntamento alla settimana prossima, con la recensione della seconda puntata, ‘The House of Black and White’ – trovate il promo qui sotto!
– Stefano Marras –
Game of Thrones 5×01, ‘The wars to come’: recensione!
Isola Illyon
+ Nonostante sia una puntata di transizione, non mancano momenti drammatici;
+ I draghi incazzati sono spettacolari;
+ Il flashback iniziale e il mistero intorno a Maggy la Rana;
+ Il ritorno di personaggi scomparsi da diverse stagioni;
- Tranne che per un paio di momenti, il ritmo è piuttosto blando;
- Tristezza per l'Immacolato nel bordello: perché?
- Sedate Melisandre!
- La recitazione di Emilia Clarke;