Quando uno scrittore comincia a costruire una storia fantasy deve, prima ancora di dare vita a personaggi e luoghi, pensare a quale rapporto avranno questi elementi con la realtà. L’occhio dei lettori è infatti un potente scanner in grado di decifrare qualsiasi immagine, somiglianza, metafora o allegoria che lo scrittore abbia inserito nella sua storia.
I personaggi devono quindi comunicare qualcosa al lettore, devono essere in grado di solleticare la sua curiosità e il suo interesse, o portarlo persino a commuoversi.
Ma come può uno stregone, che con il nostro mondo non ha praticamente nulla a che fare, riuscire a commuoverci? È semplice: si comporta come una persona, come un essere umano, come un personaggio reale. Infatti, per quanto lo scrittore sprema la propria fantasia, crei mondi fantastici, personaggi improbabili e magie complicatissime, le emozioni, le azioni, le riflessioni saranno sempre reali.
È impossibile che un nano pianga per la distruzione del suo regno sotterraneo causata da un drago, ma è assolutamente possibile – e, anzi, accade molto spesso –, che una persona sia costretta ad abbandonare la propria casa e il proprio Paese perché è stato conquistato o addirittura distrutto da forze malvagie più grandi di lui. Questa è la dimostrazione che nel fantasy è tutto finto, ma vero.
Con il fantasy lo scrittore apre di fronte a sé un enorme ventaglio di possibilità, e racconta infinite storie lasciando sempre messaggi nascosti, insegnamenti, riferimenti al nostro tempo e al nostro mondo reale.
Possiamo trovare questo “trucco” già nei miti e nei racconti antichi, dove dèi e creature fantastiche compivano azioni incredibili come scagliare fulmini o trasformare persone in animali, ma sincere e umane come innamorarsi, odiare, aiutare. È ovvio che un lettore non possa costruirsi delle ali di cera e volare verso il sole, ma può imparare da Icaro che agire in modo impulsivo e pieni di sé può portare a compiere gravi errori. Scrivere in questo modo, infatti, permette di comunicare cose importanti o difficili in modo assolutamente accessibile e chiaro. Se per esempio raccontassimo la storia di una giubba rossa nel Nuovo Mondo del XVIII secolo, dovremmo fornire molti dati, e al lettore sarebbero richieste varie conoscenze storiche. Invece, usare l’immaginazione, i “sogni” e le figure del fantasy permette di parlare un linguaggio universale, più diretto, più chiaro per tutti, dove siamo noi stessi a fornire le indicazioni e le chiavi di lettura del mondo fantastico che abbiamo creato. Questo però non comporta solo vantaggi: anche lo scrittore più disinvolto dovrà fare molta fatica per rendere credibili e coerenti le sue fantasie.
Tolkien è uno degli scrittori che, più di altri, è riuscito a creare un vero e proprio “mondo parallelo” dove luoghi, personaggi ed eventi sono talmente articolati da diventare persino oggetto di analisi storiche, filosofiche e religiose. Tuttavia, nonostante questa grande complessità, chiunque può entrare nella Terra di Mezzo e sentirsi come a casa, grazie alla semplicità del linguaggio e alla vicinanza che i personaggi hanno con il nostro mondo. Gli Hobbit sono costretti a lasciare la verdissima Contea per affrontare innumerevoli pericoli creati dall’avidità e dalla follia della “Gente Alta”. Se ci pensiamo, loro sono esattamente come quei contadini che dovettero abbandonare la loro casa (la verde Inghilterra, per restare nelle terre di Tolkien) per andare a combattere una Guerra che non avrebbero mai compreso veramente, scatenata da persone lontane con convinzioni assurde. Gli Hobbit, anche se provenienti da un mondo fantastico e inesistente, sono molto simili a quei personaggi piccoli e indifesi tipici della Londra industriale, come Oliver Twist, che devono fronteggiare un mondo terribilmente più grande, dove le fabbriche divorano la natura. Dove, per intenderci, le macchine di Isengard bruciano Fangorn per generare eserciti.
Dunque nel fantasy c’è più realtà o più fantasia?
Nel mio piccolo, anch’io sto cercando di rispondere a questa domanda, esplorando il mondo fantasy in prima persona e costruendo una storia.
La sfida è proprio questa: rendere sempre più credibile e reale una costruzione fantastica che al momento è solo nella mia testa. Gli espedienti a cui ho pensato sono molti: posso svelarne alcuni, che vi invito a cercare anche in altre storie.
Il primo è sicuramente quello di creare dei personaggi in cui i lettori si riconoscano e per i quali possano “fare il tifo”. Questo compito faticoso spetta naturalmente al protagonista, ma non solo.
Il secondo tentativo è nei luoghi, che dovrebbero essere in grado di trasmettere emozioni vere e familiari. Chi non ha riconosciuto la propria classe e la propria vita a scuola in Hogwarts? Certo, da noi non si parla con i serpenti e non si lanciano incantesimi, ma tutti abbiamo avuto un professore acido e scostante come Piton e una professoressa severa ma buona come la McGranitt.
Il terzo, ma non ultimo, è di creare una situazione in cui i personaggi si trovino ad affrontare un pericolo unendo le loro forze fino a coinvolgere lo stesso lettore, cercando di catapultarlo nel mezzo di una battaglia o di uno scontro finale.
Un giorno, navigando nelle acque di YouTube, trovo questo video in cui Gigi Proietti spiega che il vero contrario della parola “finto” non è “vero”, ma “falso”. Perché la finzione, pur rimanendo solo una simulazione della realtà e un’imitazione del vero, non viene mai scambiata per falsa. È onesta, è dichiarata, è sincera. L’attore finge costantemente, ma gli spettatori sono tutti complici e consapevoli di assistere a una rappresentazione. Proietti in questa occasione parlava di teatro, ma la stessa cosa, se ci pensiamo, accade anche tra le storie fantasy e quelle realistiche.
Per capire meglio questa riflessione, torno a Hogwarts e prendo in prestito un’altra citazione, questa volta di J. K. Rowling: quando Harry viene colpito da Voldemort, non muore, ma si ritrova sospeso in un immenso vuoto, dove incontra Albus Silente. Il buon vecchio preside di Hogwarts, come sempre, gli spiega dove si trova e quale sia la mossa migliore da fare; ma quando Harry gli domanda: “Professore, tutto questo è reale o sta accadendo solo nella mia testa?”, Silente risponde con la sua solita severa bontà e la sua impeccabilità molto inglese: “Certo Harry, sta accadendo tutto nella tua testa. Ma… dovrebbe voler dire che non è reale?”.
Ecco, è proprio così che si muove il fantasy. È una relazione costante tra reale e fantastico.
Mentre i romanzi realistici (così come film e videogiochi) tendono a evadere dalla realtà, quelli fantasy si avvicinano al nostro mondo per catturarci. Se uno scrittore di romanzi realistici dovesse descrivere la realtà senza un pizzico di fantasia, senza un po’ di sogni e di immaginazione, senza sollevare i piedi del lettore da terra e gli occhi verso il cielo, sarebbe un giornalista. Descriverebbe la realtà così com’è, nuda e cruda, senza innescare nessuna curiosità nel lettore, che si troverebbe così a leggere una noiosissima cronaca. Per intenderci, se sir Arthur Conan Doyle non avesse reso il suo investigatore una sorta di supereroe, dotato di una memoria incredibile e di un cervello calcolatore impeccabile, i suoi casi li avrebbe risolti tutti Scotland Yard, e per il povero, normalissimo, banalissimo Sherlock Holmes non ci sarebbe mai stata nessuna possibilità di carriera.
Al contrario (e direi paradossalmente), lo scrittore di fantasy non deve fare una particolare fatica a scegliere tra mostri terribili, fate incantevoli e cavalieri infallibili, soprattutto se dotato di una buona fantasia. La vera difficoltà sta nel tenere insieme questi elementi, nel trovare un legame saldo e coerente tra un mondo inesistente e il nostro. Bisogna tenere per mano il lettore e accompagnarlo per evitare che si smarrisca, proprio come Virgilio conduce Dante nel suo viaggio (in uno dei migliori fantasy di sempre).
Ma se il poeta scrive che un uomo incapace di prendere decisioni non merita nemmeno l’Inferno, il lettore capisce che Celestino V è un uomo indegno. E poco importa se a salvare i bambini è il nonno partigiano o un anziano stregone. La chiave dell’armadio di Narnia è in un altro mondo, finto e lontano, ma quella di lettura è nelle nostre mani.
Chi scrive fantasy deve avvicinarsi alla realtà, chi descrive la realtà deve allontanarsi da essa.
– Gabriele Cinquetti –