Fare lo scrittore è di certo uno dei mestieri più belli e affascinanti che ci siano. Fare lo scrittore di fantasy lo è ancora di più: l’universo intero e le sue leggi sono nelle tue mani, il creato ha forme e colori sempre nuovi, gli dèi stessi nascono assoggettati al tuo volere. Che gran cosa la mitopoiesi! Che grande uomo Tolkien! Come avremmo fatto senza la sua lezione su come funziona e come va utilizzata la fantasia? Lezione che evidentemente non tutti hanno compreso e fatto propria, motivo per cui troppo spesso, da quando il genere fantastico tout court è tornato di moda come la barba lunga e il risvoltino sopra la caviglia, siamo tempestati di opere che bramerebbero far parte della tradizione fantasy, horror o fantascientifica, ma che di fantasy, horror o fantascientifico hanno veramente poco. O meglio, rientrano formalmente in questi generi se limitiamo i criteri di bontà artistica al solo possedere un’etichetta, ma se soltanto proviamo a scavare un po’ più a fondo, il palco cade fragorosamente. Gli autori forse dimenticano che il motivo per cui il genere narrativo si chiama “fantastico” non è perché è “bellissimo”, ma perché è creato della “fantasia”. Quale arcano mistero svelato! E così, intanto, romanzi che millantano l’appartenenza a questo genere, cavalcandone il momento di gloria, si susseguono sugli scaffali delle librerie con tale velocità che è quasi difficile starci dietro.
Semeru – La Grande Battaglia, ahimè, non si astiene dal commettere diversi peccati. L’autore è il giovane Emanuele Petrilli, al suo esordio editoriale, e il libro è stato pubblicato da Mondadori nella collana Chrysalide, per il momento in formato digitale.
Siamo nel regno di Eupheria. Semeru è un giovane ragazzo di strada che, grazie alla sua abilità come ladruncolo, sopravvive di stenti nei bassifondi della città portuale di Unnon assieme al suo vecchio mentore Auro. I racconti e le leggende dicono sia trascorso un millennio da quando la sanguinosa lotta fratricida tra le due stirpi figlie degli dèi Lossyk e Scelus è terminata. Causa del conflitto fu l’invidia: gli Uru’q, figli del dio Lossyk, erano migliori degli Uomini discendenti di Scelsus e questi, roso dall’odio, scatenò una guerra stringendo un accordo con il suo prediletto, Muren: avrebbe avuto in dono una forza smisurata a patto che venisse usata per scacciare gli Uru’q da Eupheria. E così accadde. Ma a quanto pare la Grande Battaglia non è ancora terminata e Unnon si prepara a subire un inaspettato assedio da parte degli Uru’q, detti anche Primi Uomini, ritornati da chissà dove per cercare qualcosa o, meglio, qualcuno. È proprio Semeru, infatti, l’oggetto del desiderio degli assedianti, e solo l’intervento del vecchio Auro, che quindi si rivela essere molto di più di un semplice straccione, impedisce che il ragazzo venga preso. Anche Muren, diventato Re e reso oltremodo longevo da un misterioso potere celeste, è interessato al ragazzo, e quindi incarica i Sette, potenti guerrieri al suo servizio, di recuperarlo e portarlo nella capitale Nicomenia. Semeru viene ammesso con suo enorme stupore all’Accademia, dove i giovani prediletti vengono addestrati come guerrieri e iniziati all’uso delle arti magiche attraverso lo studio e la comprensione della forza che domina il creato, la Dras’terya. Tra amicizie e amori segreti, Semeru prenderà coscienza di avere un ruolo importante nel destino del mondo e capirà che la linea che divide il Bene dal Male è davvero sottile: forse non tutto ciò che gli è stato raccontato corrisponde alla realtà delle cose.
Anche solo leggendo questa trama, la maggior parte di voi avrà notato almeno due particolari capaci di far venire l’orticaria. Tra tutte le possibilità linguistiche che il nostro cervello ci consente di ideare, l’autore doveva per forza usare termini come “Uru’q” e “Primi Uomini”? Il primo suona troppo maledettamente uguale al tolkieniano “Uruk-hai”, spesso abbreviato in “Uruk”, e il secondo non posso fare a meno di pensare che sia stato ispirato – per non dire copiato – dal nome dell’antico popolo presente ne Le Cronache di George Martin. In secondo luogo, ho notato diversi errori di battitura: uso errato delle virgole (insopportabile), scelta del tipo di virgolette discutibile, maiuscole talvolta mancanti. Ma ciò che mi ha colpito maggiormente è una mancanza generale di fantasia, di originalità. Il libro si apre con la seguente frase: “In quella notte umida, la luna saliva alta nel cielo, posizionandosi fra le stelle”.
Al di là del fatto che ci sono altri centomila modi più fantasy per dire che la luna quella notte era luminosa in cielo, dove dovrebbe andare a posizionarsi se non tra le stelle? Ma soprattutto, a meno che in questo particolare mondo non vi siano leggi cosmologiche particolarmente importanti, come la presenza di due lune, c’era proprio bisogno di aprire il libro con un particolare tanto scontato? A proposito di mondo, non si capisce mai se Eupheria è un regno, un continente o il pianeta intero. Nei primi due casi, c’è la piccola incongruenza data dal fatto che non si capirebbe se tutta la storia dei figli degli dèi valga solo per un regno o continente (porzioni di territorio) e per gli altri no. È come se i Valar avessero a che fare solo con Gondor, invece che con l’intero pianeta Arda. Questo tipo di controsensi narrativi sono fastidiosi, come quando in una non ben precisata ora del giorno troviamo assieme cicale (diurne) e gufi (notturni). Se in Eupheria cicale e gufi fanno salotto assieme, non è un problema, ma bisogna chiarirlo subito e giustificarlo! Martin spiega che le stagioni nel mondo de Le Cronache durano anni: se cose di questo tipo sono dette chiaramente, a nessun lettore verrà mai in mente di dire “ma che razza di mondo è mai questo?!”. Per quanto riguarda l’ambientazione – per noi lettori di fantasy un elemento fondamentale, per non dire il più importante –, siamo di fronte ad un coacervo incredibile di cose già viste centinaia di volte. Inutile che vi dica quale scuola per giovani talenti ricorda l’Accademia descritta nel romanzo (unico indizio: non quella per gli X-Men…); la capitale poi, con quella sua cittadella fluttuante al centro, ricorda le atmosfere di Eberron e della città di Sharn, anch’essa dotata di “acropoli” galleggiante; i combattimenti sembrano un misto tra Final Fantasy e I Cavalieri dello Zodiaco, senza contare che i Sette e le loro armature dotate di spirito ricordano fin troppo i Cavalieri d’oro del manga di Kurumada – unica differenza è che questi erano dodici.
I dialoghi risultano spesso scontati, troppi dettagli non sono approfonditi o spiegati, alcune scene sembrano buttate lì come riempitivo e si assiste ad alcuni cambi di punto di vista troppo repentini e non armoniosi. Se nell’economia del romanzo è importante conoscere aspetti che gli occhi del protagonista non ci permettono di vedere, allora sarebbe stato meglio optare per un narratore onnisciente. Inoltre, si alternano capitoli molto brevi ad alcuni molto lunghi e la gestione totale del tempo appare non equilibrata. Perché occupare una pagina intera a descrivere quale tipo di salsicce Semeru decide di rubare, se poi è necessario fare un’ellissi di tre anni dopo la quale lo ritroviamo mentre lancia incantesimi potentissimi e l’avevamo lasciato che era un emarginato sociale? Sarebbe stato molto più interessante seguire l’intero addestramento, a mio avviso. Ma soprattutto, visto che La Grande Battaglia è il primo di una serie, si potevano fare scelte diverse sulla suddivisione della vicenda, invece che partire lenti e poi correre precipitosamente verso il finale.
Vi starete chiedendo se ho trovato qualcosa di positivo in questo libro, e non nascondo che faccio fatica a rispondervi. Di sicuro, nonostante la mancanza di originalità nell’ambientazione e la presenza di errori stilistici che pesano non poco, la trama non è male, lasciando spazio a numerosi colpi di scena. Ritengo comunque che, vuoi per il tipo di linguaggio, vuoi per la non complessità della vicenda, questo romanzo sia più adatto ad un pubblico di adolescenti anziché di adulti. Ora sta a Petrilli riprendere in mano le fila della storia e farci vedere che anche la sua fantasia è capace di volare alto e lasciare senza fiato.
– Michele Martinelli –
Semeru: La Grande Battaglia – Recensione
Michele Martinelli
- Apprezzabile l'idea generale della trama
- Mancanza di originalità
- Ambientazione scontata
- Incoerenze narrative e stilistiche