16 febbraio, ore 10.00: il Museo Bagatti Valsecchi di Milano apre le porte all’ultimissima conferenza stampa prima del lancio di The Order: 1886. Si tratta di quel genere di eventi solitamente utili a istruire i ritardatari e le grosse testate giornalistiche che poco masticano le informazioni del mondo videoludico. Tutti gli altri presenziano quasi più per forma, mondanità o per recuperare i gadget che finiranno a far parte del loro abbigliamento quotidiano. A questo incontro, tuttavia, partecipa Andrea Pessino, co-fondatore di Ready at Dawn e responsabile tecnico del titolo stesso, un soggetto pensante e intimamente coinvolto che sostituisce il tradizionale responsabile delle relazioni pubbliche il cui compito è ripetere a pappagallo il comunicato stampa.
Veniamo condotti nella sala conferenze, viene proiettato il trailer del gioco, quindi fa il suo ingresso il personaggio che tutti aspettavamo; la sua possente muscolatura mal si sposa con l’immagine diffusa del nerd da scrivania, è costretto su un leggio che riesce a stento a contenerlo, si scusa per il suo italiano “zoppicante” che, in verità, risulta essere molto ricercato e forbito, quindi inizia a esporre. Introduce brevemente il retaggio dello staff, menziona informazioni di cui già vi avevamo parlato e le rinforza con nozioni secondarie ancora inedite; rivela che i nomi dei personaggi sono null’altro che gradi militari, riporta di sfuggita l’esistenza di fasi di infiltrazione, si dilunga sull’approfondire il processo creativo che li ha portati a convincere Sony a sponsorizzargli il progetto.
Questo omone si accende nel parlare degli sforzi del suo gruppo, i suoi occhi si illuminano nel descrivere come abbiano scandagliato tutta Londra per analizzare ambientazioni che spaziano dai bordelli alle metropolitane, la sua voce vibra di entusiasmo quando cita i personaggi storici (lo smargiasso marchese La Fayette e il geniale Tesla in primis) innestati fantasiosamente nella vicenda, per un attimo sembra tornare fanciullo quando dipana la situazione fantapolitica della sua Inghilterra alternativa. Non ho ancora il controller tra le mani, ma sono già certo che il team che si è occupato del videogame ama alla follia la sua creatura, fosse per loro continuerebbero a sviluppare sequel su sequel per raccontare una saga che per ora esiste solo in potenziale.
Andrea abbandona il videoproiettore (che ha cercato più volte di boicottarlo incasinandogli le slides) e passa a uno schermo ad alta definizione per mostrarci alcuni estratti di gioco. Il primo spezzone che ci propone, quasi in risposta a tutti i dubbi sollevati da diversi videogiocatori, si incentra su uno dei video interattivi tanto criticati dalla rete e dai giornalisti. Ci tiene a sottolineare come The Order fornisca un’alternativa più aperta del tradizionale quick time event, espediente ludico demonizzato enormemente dai videogiocatori contemporanei, ma ai miei occhi profani la scena sembra tutt’altro che rivoluzionaria: è vero, la (minima) possibilità di influire sull’evoluzione della scena si scosta dalla norma consolidata, ma il passo tra quello che vedo e i QTE è breve. Serve una prova migliore che confermi che The Order: 1886 non sia un mero lungometraggio dalla durata di dieci ore e lo sviluppatore, dando sfoggio di doti da telepate, passa a dimostrarci come siano strutturate le fasi di sparatutto in terza persona.
Granate, armi varie, muretti e un nutrito numero di nemici che continua a comparire e scomparire da dietro coperture improvvisate. La tanto decantata intelligenza artificiale, per quanto efficiente, poco viene valorizzata da una situazione così castrante; i personaggi guidati dal computer finiscono saggiamente per nascondersi e cercare di aggirare il nemico, ma questo traguardo della strategia bellica è stato raggiunto anni addietro dai programmatori, che probabilmente si sono resi conto che il kata della pistola è una panzanata inventata per il film Equilibrium. No, a ben pensarci ho avuto modo di vedere un nemico che ha optato per una condotta anticonformista e ha sfruttato al meglio i propri talenti. Si tratta del fuciliere, definito dallo stesso sviluppatore come “una rottura enorme” a causa del suo essere corazzato da testa a piedi e dalla sua tendenza a marciare inesorabilmente verso il giocatore, tartassandolo con un temibile fucile a pallettoni. A conti fatti, insomma, poco si nota la differenza coi droni e i granatieri visti anni addietro nel celebre Gears of War che ha reso popolare questa tipologia di giocabilità, ma s’ha anche da dire che il suddetto videogioco sia tutt’oggi piacevole da affrontare; The Order, quindi, non colpisce per originalità, ma ha di certo preso lezioni dai migliori.
Ho finalmente modo di provare la demo. Mi trovo catapultato sul ponte di Westminster, con la feccia ribelle che mi sommerge di colpi, muoio un paio di volte finché non prendo confidenza con la mappatura dei comandi, muoio nuovamente quando mi imbatto in un fuciliere, ricomincio da capo e lo finisco in una manciata di minuti. Sono impegnato a sparare a ogni singolo oggetto per vedere cosa sia possibile infrangere all’interno del paesaggio (praticamente nulla) quando la responsabile stampa mi notifica l’orario in cui Pessino avrebbe rilasciato le interviste, approfitto dell’attesa per fare le pulci al gioco. Scopro che il “sacrificare” il numero di frame per secondo – scelta che ha destato clamore – non ha causato alcuno dei fastidi che si temevano: le animazioni sono fluide e la grafica risulta piacevole al punto che mi mesmerizzo a guardare le onde sul Tamigi.
Tempo delle domande, Andrea si siede su una rachitica sedia trasparente e con sguardo intelligente, seppur stanco, si prepara all’ennesima smitragliata di quesiti. Qualche domanda di rito per rompere il ghiaccio, poi i più coraggiosi indagano cautamente su quanto l’avventura sia effettivamente lineare. Pessino, preso un po’ in contropiede, ammette che l’esperienza sia notevolmente guidata, ma ci tiene a sottolineare che Ready at Dawn si sia impegnata al massimo per preparare un percorso che non soffochi i giocatori, ma che si limiti ad accompagnarli. Di mio, ormai, mi sono fatto un’idea del gioco, ma in compenso ho imparato ad apprezzare l’intelligenza dell’uomo che ho di fronte e decido di chiedergli come abbia preso il via la sua vasta carriera nell’industria videoludica, sperando in consigli che siano utili a coloro che oggi, in Italia, stanno cercando di guadagnarsi un angolo in quel mondo crudele.
Coglie al volo dove voglio andare a parare, spende qualche parola sulla sua biografia e passa velocemente al dare la sua versione pragmatica del come potersi creare un’opportunità; essenziale, ovviamente, è la passione, ma sottolinea quanto sia importante aver ben chiaro il ruolo che si vuole ricoprire. Essendo responsabile tecnico, poco sorprende che si concentri sull’aspetto di programmazione, quello che stupisce è che scarti bruscamente gli studi informatici per sponsorizzare la matematica e la fisica. Suggerisce quindi di unire le energie con personaggi che sappiano coprire i buchi rimanenti e, non appena si riesce a farsi notare, cercare di farsi assorbire all’interno delle aziende più rinomate. Lo ringrazio per la sua opinione crudemente sincera e mi congedo augurandogli il successo che le sue fatiche meritano, ma temo tacitamente che il suo ottimo operato sia soffocato dall’aver cautamente adottato meccaniche usurate. Tutto dipende dalla storia, a questo punto. Gli ottimi Spec. Ops: The Line e The Last of Us sono prova tangibile che una trama ben congegnata è in grado di rendere memorabile anche le esperienze legate saldamente a binari: non resta che sperare che The Order rientri in queste eccellenze, e per scoprirlo vi diamo appuntamento alla nostra recensione, in arrivo su queste pagine nei prossimi giorni.
– Walter Ferri –