Sì, lo so, già immagino l’obiezione: “la politica non è fantasy!”…. stop, fermi tutti! Se la intendiamo all’italiana, ovvero il teatrino della politica nel quale le solite facce da cu, insomma i soliti noti rilasciano dichiarazioni ai telegiornali parlando del nulla, ed esibendo una contrapposizione di facciata, salvo poi accordarsi dietro le quinte per tartassare il più possibile il popolo bue, avete assolutamente ragione. Non esiste nulla di più miserabilmente lontano dal Fantasy. Ma se intendiamo la politica nel senso più elevato del termine, ovvero come scontro, contrapposizione, confronto e anche mediazione tra grandi idelogie, anzi ancora meglio tra grandi ideali, anzi ancora di più tra grandi idee… beh, questo sì che è fantasy. Anche qui, nella sua accezione più alta: il bene e il male, l’interesse di pochi contro quello di molti, la tirannia, la resistenza all’oppressione, i Popoli Liberi, la ribellione, il fronte unito contro il comune nemico, ecc..
Chi ha raccontato meglio queste grandi tematiche se non lui, il Professore, J.R.R. Tolkien, ne Il Signore degli Anelli? In fondo il SdA è un romanzo storico che interpreta in chiave allegorica il nostro tempo. E, infatti, non a caso, il Professore è stato tirato per la giacca di tweed innumerevoli volte da destra e da sinistra: “È fascista!”, “No, è democratico!”, “È reazionario!”, “No, è rivoluzionario!” e via di questo passo. Questo è accaduto, ovviamente, in Italia. Dove storicamente ci siamo sempre risparmiati tensioni e divisioni etniche (grazie a Dio), ma non ci siamo mai fatti mancare quelle politiche e sociali, fin dai tempi dei Guelfi e dei Ghibellini. Fino a poco tempo fa, per esempio, dovevamo per forza classificare tutto con la categoria “destra” e “sinistra”. Il cane è di destra e il gatto di sinistra, la vellutata di destra e il minestrone di sinistra, il mago di destra e lo stregone di sinistra (sentito con le mie orecchie masterizzando una sessione di D&D), e via delirando. Ovviamente, Tolkien e il SdA non potevano fare eccezione. Tutto ciò, altrettanto ovviamente, non è accaduto nel mondo anglosassone: che avrà sì molti difetti, ma che tende a discutere nel merito delle idee e non delle categorie preconcette. E infatti, che ci crediate o meno, il SdA era una lettura obbligata nei campus universitari nel ‘68 della contestazione, da Berkley a Parigi, accanto a Kerouac, agli scrittori beat e ai classici della filosofia politica: perché leggerlo “era come partire per un trip.”. Letteralmente.
In Italia invece, quando fece la sua comparsa, il SdA fu sostanzialmente ignorato dalla cultura “ufficiale”, e così divenne vittima di un gigantesco equivoco: fu letteralmente preso in ostaggio da ambienti e gruppuscoli di estrema destra, che organizzarono dei surreali “Campi Hobbit” e presero a parlare di improbabili “Camerata Frodo e Sam”, dimostrando così di avere letto il SdA molto, molto superficialmente, o di non averlo letto affatto. Ovviamente la parte avversa, comunista all’epoca, con altrettanta colpevole miopia non si prese la briga di leggerlo, rifiutandolo aprioristicamente perché “piace a quelli là”; alimentando l’equivoco e di fatto avallando “Tolkien di destra”. Addirittura, si arriverà alla balla colossale di attribuire al Professore una fantomatica partecipazione, se non addirittura un ruolo fondativo, allo sconclusionato e minuscolo Partito Fascista Inglese: un falso storico ed ideologico dimostrato dai suoi biografi ufficiali ed alimentato ad arte ai danni di un autore che fornì (parole di Elemire Zolla nell’introduzione al SdA della Rusconi) “una delle più belle metafore letterarie dei regimi totalitari che hanno funestato il secolo” (riferendosi alla Contea di Sharkey, al ritorno degli Hobbit a casa). In Italia, la nomea di “Tolkien di destra” ha resistito fino all’avvento dei film di Jackson, e lo sdoganamento del Professore in Italia ha rimesso in discussione tutto: la maggior parte delle analisi sono state sì di parte (come tutte le opinioni, del resto, e non può essere altrimenti), ma un pelo più equilibrate; e chi le ha emesse, perlomeno, Tolkien se l’è letto. Scoprendo così che i propri pregiudizi erano, per l’appunto, nient’altro che pregiudizi. Ora, visto che ne hanno parlato tutti, dal collettivo Wu Ming a De Turris, poteva la vostra Isola preferita (nella quale dall’esterno può sembrare che viga una simpatica dittatura, mentre in realtà la nostra è una efficiente anarchia fantasy-parlamentare) lasciarvi senza la sua propria analisi fantasypolitica, affidata al sottoscritto? (Sì? Qualunquisti).
Siam pronti alla morte, la Contea chiamò
E allora, andiamo davvero ad analizzare le idee del Professore, sia quelle espressamente riportate, sia ciò che traspare dai suoi scritti. Molti commentatori fanno risalire l’idea di Tolkien reazionario alle simpatie che avrebbe espresso in vita per i dittatori di mezza Europa. Sicuramente odiava Stalin, come ebbe a scrivere più volte nelle sue lettere, e sicuramente si espresse in favore della dittatura franchista. Non aveva però in simpatia gli altri totalitarismi di destra, e Hitler addirittura lo indignava: “Quel farabutto piccolo ignorante […] sta pervertendo, distruggendo e rendendo odioso al mondo intero il nobile spirito nordico”, scriveva nella sua corrispondenza privata al figlio Michael, al fronte (Antologia di J.R.R. Tolkien – Rusconi), e continuava: “verso di lui ho un risentimento personale bruciante, che mi renderebbe a quarantanove anni un soldato molto migliore di quello che sono mai stato”. In un’altra lettera, scrisse riguardo “[…] a quei poveri italiani ingannati da quel furfante di Mussolini”. Questo per rimbeccare chi si ostina a parlare di un Tolkien fascista oppure nazista.
E’ vero, nel SdA sono presenti gli ideali del cameratismo e del valore militare, da sempre cavalli di battaglia dell’estrema destra. C’è però da dire che Tolkien mai, a partire dal Silmarillion (concepito tra gli orrori della trincea mentre combatteva sul fronte francese coi Lancashire Fusiliers), fa un’agiografia della guerra, nemmeno della più giusta contro Sauron: la guerra è sempre un orrore, una maledizione e una sofferenza e nella descrizione di essa non vi è alcun compiacimento. L’orrendo realismo che traspare da certi passaggi sui campi di battaglia del SdA potrebbe essere benissimo quello di un Remarque, e, ahilui, Tolkien lo aveva sperimentato personalmente durante la Prima Guerra Mondiale. Di più, cameratismo e valore guerresco sono temi che non possono prescindere da qualunque mitologia, poema cavalleresco o poema epico che dir si voglia: alla stessa stregua dovremmo quindi tacciare Omero e Chretien de Troyes di fascismo.
Al contrario, Tolkien dipinge più volte nel SdA allegorie fantastiche di regimi totalitari: Mordor può ben figurare l’oppressione del socialismo reale e del fascismo, così come le folle inneggianti di Isengard ricordano le adunate oceaniche di Norimberga e gli Uruk-Hai, i superorchi, sembrano una versione fantasy della follia del Superuomo nazista. Di più: la Contea di Sharkey (Saruman), con il clima di sospetto e delazione reciproca, con Sabbioso ed altri hobbit collaborazionisti, con la cupa ripetitività di ogni atto, con l’assurdità delle regole e le squadracce dello stregone armate di randelli (emuli delle squadre di picchiatori fascisti), costituisce una delle più belle descrizioni letterarie dell’instaurarsi del totalitarismo e testimonia, più di mille lettere, quanta poca simpatia avesse Tolkien per questi regimi.
Verdi verdi, o Verdi con convergenza a sinistra?
Piuttosto, è stupefacente fermarsi a pensare come certi temi particolarmente cari a Tolkien, e che assumono un ruolo centrale nel SdA, siano attualmente le bandiere dei movimenti rivoluzionari ed antagonisti di tutto il mondo. Il Signore degli Anelli gronda letteralmente da ogni pagina odio e disprezzo verso la società industriale che tutto divora e verso chi la propaga: Isengard non è nient’altro che il potere industriale e finanziario più deteriorante, che va soppiantando la cultura rurale della campagna inglese, così amata dal Professore (e che viene idealizzata nella Contea, mentre gli Hobbit sono gli ideali avventori di un qualsiasi pub inglese di campagna). Saruman, il capitalista, colui che impugna il potere delle macchine, “ha una mente di metallo e ingranaggi” (SdA, Le due Torri) , mentre l’alfiere del bene, Gandalf, è l’unico Stregone che “ami davvero gli alberi” (idem). È così logico che Isengard venga travolta, in una catarsi purificatrice, dalla furia degli Ent: l’allegoria della società occidentale ed industriale che scherza e gioca col fuoco, sfrutta, inquina, consuma, venendo poi travolta dalla furia degli elementi e della natura (e per di più stupendosene come fa Saruman, che crede sul serio di stare ricevendo un torto) è chiarissima. Tolkien, si noti, rifiutò sempre furiosamente le interpretazioni sulle allegorie politiche eventualmente presenti nel suo romanzo, tranne quella “ecologista”, sulla quale ammise apertamente come lo stesso Saruman non fosse paragonabile ad un dittatore fascista o nazista, quanto più a un leader statale o d’industria che anteponesse la macchina alla natura. Rilanciamo: “Lui e i suoi miserabili servi stanno devastando tutto […] Giù ai confini tagliano alberi, alberi buoni […] Vi sono deserti pieni di ceppi e di rovi, dove un tempo si udiva il bosco cantare. Io sono rimasto inattivo. Ho permesso che continuassero. Ma ora deve finire!”. No, non è un attivista di Greenpeace che parla, come sapete: è Barbalbero. Insomma, non solo su molti temi centrali del SdA è impossibile dare un’interpretazione “di destra”, ma addirittura dico senza paura che Tolkien oggi sosterrebbe (se non nei metodi sicuramente nel merito) le tesi dei teorici della Decrescita Felice e i No Tav.
Ma la questione che mette a mio parere definitivamente fine alla diatriba, e che è sconvolgente afferrare nella sua portata, è quella centrale del libro: l’Anello. Esso, come sappiamo, rappresenta il Potere con la P maiuscola, quello sulle cose e su tutti gli esseri viventi. Ebbene, il SdA è l’unica epica sulla faccia della terra nella quale la Salvezza arriva esclusivamente tramite la distruzione dell’Anello, ovvero tramite la rinuncia completa, totale e irreversibile al Potere. E questa, scusate, è la morale meno fascista, di “destra” e totalitaria che possa esistere.
In definitiva, Tolkien non era di sicuro un progressista: era un tradizionalista cattolico, antimodernista ed ecologista ante litteram. Ma, altrettanto, la tradizione che lo vuole destroide o addirittura fascista, come vediamo, è solo una delle tante mistificazioni culturali perpetrate in Italia. La cosa davvero importante è che, comunque la pensasse, Tolkien ci ha lasciato un capolavoro eterno, capace ancora oggi di farci riflettere non sulle ideologie, bensì, in modo infinitamente più nobile, sulle “grandi Storie, quelle che contano davvero”.
– Luca Tersigni –