Intervista allo scrittore sommerso Jury Livorati, che ci racconterà i retroscena e i segreti del primo capitolo della sua prima trilogia fantasy.
Oggi abbiamo con noi Jury Livorati, autore del primo capitolo delle avventure di Alethya, intitolato Il Ritorno di Beynul. Jury benvenuto sulle candide e spumeggianti spiagge di Illyon! Vuoi presentarti ai nostri lettori?
Ciao a tutti e grazie per l’accoglienza! È bello che un sito con un così ampio pubblico si dedichi con interesse agli autori emergenti. Io mi presento con poche parole: quasi 28 anni, sposato e padre di due figli (6 e 2 anni), sognatore con tante idee e qualche piccola soddisfazione ottenuta, ma con i piedi per terra e convinto sostenitore dell’umiltà in tutto quello che faccio. Il resto aggiungerebbe poco su chi sono.
Iniziamo con qualche domanda di rito, giusto per rompere il ghiaccio. Come ti sei avvicinato al mondo della letteratura e cosa ti ha spinto a diventare uno scrittore?
Premetto che non mi considero uno scrittore, anche se ti ringrazio per la definizione. Quando parlo di me, mi descrivo sempre come uno scrittore sommerso: mi aiuta a tenere bene in mente chi sono e a cosa posso ambire. A tenere i piedi per terra, come dicevo.
Per quanto riguarda la scrittura, ci sono arrivato come molti altri: appassionato lettore di fumetti dai 5 anni e di romanzi dagli 11 anni, intorno ai 14 ho cominciato a chiedermi come potesse essere provare a mettersi dall’altra parte della carta stampata. Qualche raccontino, una bozza di romanzo, numerose delusioni, fino all’inizio di un lavoro organizzato e motivato nel 2007 e ancor più dal 2011 a oggi. Fondamentalmente, a muovermi sono la sensazione meravigliosa che si prova nel creare e la speranza di trasmettere emozioni forti a chi mi legge.
Come ho già anticipato nella recensione, leggendo le trame di alcuni tuoi racconti come “L’eredità”, sinceramente mi sarei aspettato un racconto ambientato in un mondo realistico o moderno. Invece sono rimasto piacevolmente sorpreso quando ho notato che in realtà hai creato dal nulla un mondo dalle caratteristiche puramente fantasy. Cosa ti ha portato a questa scelta? È stato un processo “naturale” o è stata una scelta stilistica ben ponderata?
Quando scrivo, mi sento vittima della creatività, che spesso mi porta dove vuole e non dove vorrei io. È quando ho imparato ad accettare questa cosa che ho iniziato a scrivere testi meritevoli di pubblicazione. Perché prima mi ostinavo a ritenermi uno scrittore horror alla Stephen King e imbrigliavo l’immaginazione all’interno di determinati standard.
Alethya è stata una sorpresa anche per me, come e ancor più di quanto lo è stato “M@rcello”. La storia è iniziata da due o tre pagine buttate giù di fretta, quasi come un esperimento, senza pensare. Anni dopo le ho riprese e ho cominciato a pormi qualche domanda. Chi era quella gente? Dove viveva? Dove andava? E tutte le risposte conducevano verso un mondo fantasy, perciò, per quanto terrorizzato all’idea di esplorare un genere nuovo e ostico come questo, ho dovuto arrendermi. Oggi posso dire che è stata un’esperienza meravigliosa, la migliore finora nella mia vita da scrittore sommerso.
Anche se hai già presentato alcuni dei tuoi autori preferiti nella prefazione del tuo libro, quali sono gli autori fantasy, se ci sono, che ti hanno influenzato maggiormente e in che modo?
Non sono propriamente un lettore fantasy, motivo per cui avevo paura a entrare da scrittore in questo mondo. A Mourinho dicevano che un allenatore non può essere tale se non è mai stato calciatore, se non sbaglio. Ma ho letto e amato Tolkien (“Il Signore degli Anelli”, “Il Silmarillion”, alcuni racconti) e da lui ho imparato una cosa: non avrei mai scritto high fantasy. Non perché non mi piaccia, anzi, ma per rispetto: è un genere così “alto”, appunto, che non mi sentirei degno. Né ne sarei in grado. Dalla serie “La Torre Nera” di Stephen King ho poi imparato che il fantasy può avere altri sbocchi interessanti, mentre dalla saga di Harry Potter ho capito che anche trame complesse possono essere riportate con un linguaggio semplice.
Bene ora che abbiamo scaldato i motori entriamo nel vivo dell’intervista. Il Ritorno di Beynul. Avrei molte domande da porti sui singoli personaggi e sulle loro vicende, però devo trattenermi altrimenti rischio di fare qualche spoiler e rovinare il bello del racconto. Iniziamo quindi da una domanda di routine, cioè come è nata l’idea di quest’avventura?
Nel 2005, credo, mi sono seduto al computer e ho ripetuto un esperimento già provato in passato, iniziando a battere sulla tastiera come un disperato, senza un progetto. Sono uscite le prime due pagine del libro, che hanno subito poche modifiche in seguito. Poi ho mollato tutto, per anni, dedicandomi ad altro. Finché l’entusiasmo per i primi due romanzi mi ha fatto rispolverare quelle pagine: poche righe che aprivano, con nomi e luoghi, un universo. Si parlava di un “giorno della religione”, di un “Regno”, di una “cerimonia”, di un “Manderley”. Era Gennaio 2012 e dopo la rilettura cominciai a farmi domande, una per volta. Che religione è? Cosa insegna? Che ruolo ha nel Regno e soprattutto che cos’è questo Regno? (il nome Alethya è nato circa sei mesi più tardi) Chi è Kal e cosa fa al Convento? Il meccanismo si è messo in moto e dopo un mesetto avevo una bozza approssimativa della storia (sufficiente a farmi pensare alla trilogia), anche se la stesura vera e propria è sempre andata avanti tramite questo processo di domande-risposte.
I Tecnici. Uomini dotati di straordinarie capacità che combattono per liberare Alethya dalla dittatura dei Religiosi. Dicci la verità. Quanti poteri ti ha consigliato tuo figlio e quanti sei riuscito a trovare da solo?
(Sorride) La verità è che non avevo idea, all’inizio, che i Tecnici (anche il nome è uscito di getto, sebbene nel secondo libro lo giustifichi) fossero una sorta di supereroi. Nella bozza dicevo “xxx sono persone dotate di abilità particolari”, ma immaginavo dei santoni tipo monaci tibetani, con un potere più mentale che altro. Poi ho trovato più innovativo inserire dei poteri veri e propri, lo ammetto, alla Marvel, perché la loro fusione con elementi del fantasy classico avrebbe potuto creare un mix inedito. Da lì, dare sfogo alla fantasia è stato divertente, anche se mi ponevo dei limiti di “decenza”. E quando mio figlio lo ha saputo, nell’estate 2012, ha passato un weekend a snocciolare un potere dietro l’altro, con l’insistenza e la cantilena che solo i bambini sanno offrire. Uno, come ho ammesso, sarà incluso nei romanzi: avremo così anche il Tecnico che attrae magneticamente il metallo.
I Religiosi. Uomini assetati di potere che sfruttano il popolo e la loro fede. Ci sono religioni a cui ti sei ispirato o la religione di Mander è frutto della tua immaginazione? Te lo chiedo perché mi sembra di aver notato una sorta di fusione tra la rigida struttura gerarchica delle religioni più occidentali e gli ambienti e un modo di rapportarsi ai fedeli più prettamente di stampo orientale. È così o è un altro dei miei viaggi mentali?
Hai azzeccato il punto, ma un po’ ti ho aiutato, ammettilo. Quando ho ideato il nome “Religiosi” e tutti quelli annessi (anche se non nomino alcun dio) mi sono sentito poco originale, ma in fondo la scelta è stata funzionale a uno dei messaggi che sottendono le vicende di Alethya. Avrei potuto chiamarli “Governatori” o “Funzionari” e lasciare che la gente pensasse «Ehi, si comportano quasi come una struttura religiosa», ma alla fine ho eliminato quel passaggio intermedio. Comunque, ho preso molto dalla gerarchia del Cattolicesimo e dagli estremismi religiosi in genere, non solo orientali. E dalle contraddizioni delle religioni nel loro complesso, anche.
Lo ammetto, mi hai aiutato non poco. Due personaggi chiave di questa storia sono il Manderley Ansal e il capo dei Tecnici Gavren. Due mondi così diversi, accomunati dal desiderio di guidare Alethya verso la propria verità. Mi fai un raffronto tra questi due personaggi? Quali sono i punti in comune e quali sono i punti di distonia di queste guide?
Il Manderley, hai detto bene, è un capo assoluto. Ha lottato per diventarlo, pretende di guidare ogni aspetto del Regno, vuole essere ricordato nella storia per aver salvato e rilanciato l’Ordine dei Religiosi. Gavren non è un capo, perché i Tecnici non hanno gerarchie. Come si comprenderà in seguito, è stato tacitamente eletto a guida per la sua predisposizione, ma lui stesso sente il peso di questa responsabilità. Lo fa, ma non vorrebbe. Quello che desidera è destituire il Manderley e portare i Tecnici al potere, ma non è un desiderio solo suo, quanto un desiderio condiviso dalla sua comunità. Entrambi i personaggi condividono però una latente insicurezza, che emergerà piano piano, e una profonda solitudine. E come chiunque altro, hanno più di uno scheletro nell’armadio…
Ti chiedo questo perché ad un certo punto del racconto, sembra che questi personaggi, così distanti caratterialmente, poi in realtà non lo siano così tanto, soprattutto se si osserva come si rapportano a Beynul, tra mezze verità e segreti si e no accennati. È stata solo una mia impressione?
Estenderei il discorso. Ansal e Gavren ne sono l’emblema, è vero, ma in generale, come ho avuto modo di dire altrove, nella saga non esiste una chiara distinzione tra Bene e Male. Una scelta voluta e perseguita per fuggire dai cliché. Prendi me e te: immagino siamo bravi ragazzi entrambi, chiunque ci conosca lo testimonierebbe. Ma vuoi dirmi che non hai un lato oscuro, qualche insicurezza, qualche segreto? Io anche, stai tranquillo! Questo per dire che per creare personaggi veri mi sono ispirato alle persone vere, da cui deriva obbligatoriamente una società che non ha un Bene e un Male, un Giusto e uno Sbagliato: ognuno farà le proprie valutazioni. Come narratore, ho cercato di tenermi neutrale il più possibile e di trasmettere questi concetti cambiando spesso il punto di vista.
Assolutamente. Il mio armadio ormai è stracolmo di scheletri. Devo dire che a mio avviso uno dei punti di forza di questo capitolo è proprio questa tua volontà di non discernere troppo tra il Bene o il Male, ma fonderli in ogni personaggio. Questa scelta rende il tuo romanzo non solo più originale rispetto ad altri dello stesso genere, ma lo rende molto più attuale, creando un ponte molto più veritiero tra la nostra realtà di tutti i giorni e quella che racconti nel tuo libro. Ora passiamo a Beynul. Ragazzino “prescelto” o che semplicemente si trova in mezzo a delle vicende che sono molto più grandi di lui?
Prescelto non mi piace, perché torneremmo ancora nei cliché. I Tecnici credono, sospettano, che il destino abbia qualcosa in serbo per Beynul. In realtà, lui stesso cerca di spiegare loro come certe sue particolarità (e qui ometto) abbiano una spiegazione, ma è difficile fare breccia in certe radicate convinzioni. Mi piace vederla così, anche in funzione di quel che accadrà in seguito: Beynul è un bambino molto maturo costretto a realizzare un progetto scritto non dal destino, ma da chi nel destino crede.
Tra i temi presenti nel racconto un ruolo molto importante lo assume quello della religione e il modo in cui il popolo si rapporta ad essa. Qual è il tuo rapporto con la religione? Quanto c’è di tuo nelle considerazioni dei Tecnici riguardo alla religione e quanto c’è di tuo nelle considerazioni dei religiosi contro i tecnici?
Preferisco non rispondere, per non dare una chiave di lettura e lasciare che ognuno faccia le proprie riflessioni. Di certo, la saga di Alethya non è un racconto fine a se stesso, una storia narrata tanto per. Sono figlio di anni turbolenti, nel mondo reale, e come molti colleghi presenti e passati mi affido a metafore, più o meno chiare, per esprimere il mio disagio.
Dalla prefazione sembra che già hai un’idea per le vicende che avverranno in futuro. Stai già scrivendo il secondo libro o stai ancora sistemando alcuni particolari?
Non mi sarei mai permesso di inviare un romanzo a un editore, presentandolo come primo volume di una trilogia, se non avessi avuto la certezza di portare a termine la saga. Prima di farlo, dunque, ho scritto per intero anche il secondo volume e mi sono accertato di avere materiale per il terzo. Non potevo solo programmare, anziché scrivere, perché le idee si aprivano via via che procedevo nella storia, come dicevo. Oggi mi mancano una trentina di pagine per finire il terzo libro e posso assicurare che nel giro di due o tre anni l’intera saga sarà stata pubblicata, per un viaggio di circa 800 pagine che spero non deluda.
Qualche piccolissima anticipazione?
La prima parte del secondo libro sarà tra le migliori dell’intera saga. E le vicende del terzo libro non potete neanche lontanamente immaginarle, davvero. Ho scelto di innovare, per quanto riesco, perciò niente sarà mai come sembra. Pensa a Laynna, tu che hai letto il libro…
Eppure non me la racconti giusta. I cloy nascondono qualcosa…
Ho letto di recente che qualcuno (non ricordo il nome) ha detto che se in un racconto inserisci una pistola, prima o poi quella deve sparare. Altrimenti non avresti dovuto parlarne. Non sapevo chi fosse questo qualcuno, ma ho sempre, involontariamente applicato la sua teoria.
Ultima domanda importantissima! Le galline di Crestol e l’ironia di tua moglie… rivelaci in diretta come commentava quella scena!
Gennaio o febbraio 2012. Stampai la prima bozza della scena clou della prima parte e la feci leggere a mia moglie, per mostrarle la mia svolta fantasy e action. E quando arrivò a Crestol e al modo in cui usa le galline scoppiò a ridere e disse che era fuori luogo. Le ricordava Renzo che va da Azzeccagarbugli coi capponi. Non me la presi, ma mi fece riflettere un sacco. Alla fine non cambiai la scena, perché era coerente, ma l’aneddoto è simpatico.
Grazie mille Jury per la pazienza e la disponibilità. Vi ricordo che potrete seguire Jury Livorati e i suoi lavori direttamente sul suo blog, jurylivorati.blogspot.it, dove potrete trovare anche l’app ufficiale di Alethya, scaricabile da tutti i dispositivi con sistema operativo Android, mentre per chi non fosse in possesso di tali dispositivi, può sempre seguire Beynul e le sue avventure sulla pagina facebook di Alethya, che troverete cliccando su questo link.
Che altro aggiungere? Ringrazio ancora Jury e lo invito molto volentieri a tornare sulla nostra isola, in attesa del secondo capitolo di questa originale saga fantasy.
–Vincenzo Mirra–