In questo appuntamento, iniziamo a tratteggiare le complessità insite nell’interpretare un Paladino nel D&D.
Un cavaliere è votato al coraggio, il suo cuore conosce solo la virtù, la sua spada difende gli inermi, la sua forza sostiene i deboli, la sue parole dicono solo la verità, la sua ira abbatte i malvagi. [Bowen]
Est Sularus Oth Mithas: Il mio onore è la mia Vita [Sturm Brightblade]
Le frasi in apertura appartengono, rispettivamente, al giuramento dei cavalieri del film Dragonheart e al giuramento de Il Codice e La Misura appartenente ai cavalieri di Solamnia di Dragonlance.
È solo un caso che in entrambe le circostanze ci sia un “Dragon” di mezzo? Chi lo sa?
Vabbè, mentre lui si dedica a questo Mistero, noi ne affrontiamo un altro: il corretto modo di interpretare un Paladino, sempre in bilico tra Bene da una parte e Legge dall’altra.
Esordiamo dicendo che il Paladino, così come il Bardo, è una di quelle classi di D&D che più si presta all’interpretazione e a molteplici spunti di roleplay (oltre che di gioco da parte del DM che deve dare occasioni per mettere alla prova i giocatori che li interpretano), al di là di ogni preferenza personale: sono classi che richiedono uno sforzo notevole per giocarle degnamente, non limitarsi al mero uso dei dadi nell’impiego delle loro abilità, privilegi di classe e in genere necessitano anche di ottime doti dialettiche da parte dei giocatori che raramente useranno una di queste classi senza svilupparne anche la Diplomazia (o l’Intrattenere).
È anche vero che il Paladino in D&D 3.5 sovente finisce per essere selezionato quale classe solo per una serie di combinazioni come i privilegi, i talenti, le classi di prestigio, e in parte per la forza marziale espressa, ma meno per gli spunti di roleplay che può offrire, dato essi, al contrario possono essere semmai un elemento di ostacolo od una zavorra per il gioco meno ragionato e più sbarazzino: avere in un gruppo un personaggio che non può mentire e deve comportarsi sempre e comunque rettamente, anche quando “il fine giustifica i mezzi”, è una bella seccatura già per i membri del party, figurarsi per colui che lo interpreta che potrebbe talvolta (almeno) pentirsi della sua scelta o comunque sentirne il peso.
Intendiamoci, se si gioca un personaggio lo si fa perché esso piace, con esso ci si diverte e perché coincide col proprio gusto e, “dove c’è gusto, non c’è perdenza”, si dice dalle mie parti: quindi, se ci si diverte a giocare un paladino (come il sottoscritto), non c’è da discuterne. Semplicemente, si mette in evidenza come la scelta di interpretare un Paladino sia forse quella più spesso messa in discussione da quel giocatore che non aveva esattamente le idee chiare su ciò che significava acquisire questa classe: una classe che, tra l’altro, nel caso in cui si infrangano i limiti imposti dal codice di condotta e dallo stesso allineamento, comporta pesanti ripercussioni sul gioco effettivo a livello di meccaniche e dall’altro non consente deviazioni, “scivolando” in altre classi (per quanto diverse ambientazioni e taluni talenti consentano di ignorare questo limite come ad esempio, rispettivamente, Grayhawk e Forgotten Realms da una parte, e Intrattenitore Devoto, Cavaliere Ascetico, Inquisitore Devoto e così via, dall’altro).
Non vanno nemmeno sottovalutati, come da immagine e commento di cui sopra, i possibili conflitti con altri personaggi Buoni del gruppo, i quali potrebbero tuttavia avere un’idea del tutto diversa di ciò che sia corretto o “giusto” fare in una data occasione: oltre all’esempio de “il fine giustifica i mezzi”, che comunque può prestarsi a facili eccessi da Legale Neutrale o personaggio Caotico, non mancano espressamente casi “di scuola”, come mentire anche solo blandamente per una giusta causa, rispettare dei governanti ingiusti finché non ci siano espresse prove che legittimino un intervento diretto, o finché permanga un divieto da parte dell’autorità a cui risponde il Paladino, vendicarsi o abbandonarsi per una sola volta al desiderio di distruggere il male senza preoccuparsi di possibili conseguenze o della redenzione di un avversario corrotto (con la “c” minuscola, così da non creare confusione con la Corruzione introdotta dall’ottimo manuale Eroi dell’Orrore) e così via.
Detto ciò, concentriamoci sul Paladino a livello di roleplay, visto che ideare una build (ossia una “costruzione a tavolino” del possibile sviluppo del proprio personaggio per talenti, abilità, Classi di Prestigio) è un conto, ma giocare coerentemente il proprio personaggio è tutt’altra faccenda.
Un Paladino deve essere tanto Legale quanto Buono, si diceva: il rispetto della Legge è tanto importante quanto lo è servire il Bene, nella veste di una Divinità e/o del principio stesso morale della rettitudine, e questi due aspetti possono coesistere – di solito – oppure contrastarsi l’un l’altro – e ciò più spesso di quanto si creda.
Facciamo un esempio pratico: un Paladino ferma un malfattore che ha commesso un furto e ne impedisce la fuga in una città nella quale il rubare viene punito col taglio della mano; tuttavia, indagando sulle motivazioni dell’uomo, che magari non è nemmeno malvagio ad una eventuale Individuazione del Male, si scopre che egli è il classico padre di famiglia, disperato ed oppresso dalla povertà, che ha voluto cercare di procurarsi una ricchezza da destinare al benessere dei figli che vivono negli stenti.
Cosa dovrà fare, dunque, il nostro Paladino?
Sarebbe facile far pendere il piatto della bilancia verso il Bene (liberarlo sotto promessa, magari, di non reiterare più il crimine) o verso la Legge (arrestarlo pur con un peso sul cuore, perché “la legge deve venir applicata” ma impegnandosi perché abbia una mite pena), in ambedue i casi offrendosi di dare una mano alla famiglia del ladro, economico e morale: bilanciare queste due cose è tutt’altro che agevole, perché può darsi che molto dipenda dai trascorsi del personaggio, che da background potrebbe essere incline a provare molta compassione o al contrario essere particolarmente rigido verso questi crimini, oppure potrebbe venir influenzato dai dogmi della divinità che serve (di certo un seguace del dio Tyr del pantheon di Forgotten Realms è assai più legato alla forma ed alle norme della Legge di quanto potrebbe esserlo un Paladino di Lathander, appartenente allo stesso pantheon), o potrebbe essere costretto a comportarsi con maggior rigore del solito in base alle leggi della città in cui in quel momento si sta aggirando. Ma c’è una scelta giusta? Di solito, sì, ma questo lo vedremo prossimamente.
Facciamo un altro esempio, maggiormente significativo: il nostro paladino incontra un orco (“spesso caotico malvagio”, recita il Manuale dei Mostri) o altra creatura umanoide “generalmente malvagia”: il Paladino è legittimato ad attaccare a vista, per il solo fatto che incontra una creatura malvagia o che sovente lo sia?
Può essere giustificabile l’attaccare qualcuno, anche se effettivamente malvagio, pur se non ha ancora compiuto alcun crimine?
E cosa accadrebbe se la creatura, l’orco in questione, non fosse malvagia a differenza di quanto accade per i suoi simili ed il Paladino desse per scontato che lo fosse perché “è solo un orco, in fondo, e se non ha ancora ucciso qualcuno, un giorno lo farà?”
E ancora, se il Paladino sgominasse assieme ai suoi compagni una banda di elfi oscuri, e scoprisse nell’avamposto/villaggio che ci sono diversi bambini drow, cosa dovrebbe farne? Ucciderli perché già malvagi o di certo destinati alla corruzione? Redimerli? Lasciarli liberi anche se, così facendo, essi potrebbero uccidere degli innocenti , il cui sangue ricadrebbe sulle mani del Paladino che non li ha fermati quando poteva?
Come si vede, la vita del Paladino è costellata da numerose occasioni nei quali i dilemmi morali non tanto sul Bene, ma sul come perseguirlo senza violare la Legge si presentano con una certa facilità, così come le occasioni di “caduta”, cedendo alle umane emozioni o diventando al contrario via via più rigido nell’applicazione dei suoi dogmi, dei princìpi della sua fede, delle regole o degli ordini impostigli dalla divinità o dall’Ordine cui appartiene.
Va detta comunque una cosa, in maniera assai semplicistica, forse, ma profondamente vera: in D&D, come già accennato in un altro articolo, il bianco è bianco, il nero è nero, ossia il Bene ed il Male sono abbastanza netti e definiti anche senza dover introdurre le regole di Libro delle Imprese Eroiche (Book of Exalted Deeds) e Libro delle Fosche Tenebre (Book of Vile Darkness), che chiarificano, pur estremizzando molto, ciò che è “bene” e ciò che è “male”.
Per esempio, mentire, rubare, uccidere sono e restano atti se non altro “non buoni”, che vanno sì, contestualizzati, ma comunque restano legati al risultato, non alla motivazione: e se nessun DM potrebbe mai penalizzare o riprendere un Paladino che uccida un personaggio Malvagio, pure potrebbe avere qualcosa da ridire sulla sua condotta e sulla sua interpretazione laddove questa uccisione sia stata troppo lineare, priva di dubbi o di dilemmi da parte del personaggio in questione: poteva essere sconfitto senza venir ucciso? Poteva essere addirittura redento così da vivere una vita di espiazione delle proprie colpe? La risposta è “dipende”: dipende da quale sia il livello di roleplay a cui ci si vuole spingere, quanto ci si vuole impegnare nel creare domande su domande di ordine morale, quanto si desideri stratificare e spaccare ogni azione vagliandola nelle sue molteplici sfaccettature: solitamente, queste cose vengono decise a monte, nel senso che se un personaggio vuole giocare un certo “cammino”, e provare a redimere i malvagi, non lo farà saltuariamente, ma l’avrà tentato di fare fin dall’inizio o , al massimo, sarà giunto a questa epifania, che è meglio redimere che uccidere, dopo molto roleplay; di certo non potrebbe essere propenso a salvare e tentare di riportare sulla strada del Bene un avversario solo quando capita o quando è “facile”.
In linea di massima, tuttavia, in pochi si spingono lungo queste chine pericolose, pericolose perché minano alla base (potenzialmente, per lo meno) il principio cardine del gdr che è giocare senza farsi troppi “trip mentali”: quindi, un giocatore che interpreta un Paladino che intende uccidere i malvagi e solo saltuariamente può provare, perché l’azione è contestualizzata, a salvarne/redimerne qualcuno è da apprezzare tanto quanto colui che, per propria scelta, cerca attivamente la redenzione di ogni malvagio, rifugge l’uccisione-magari usando un’arma Pietosa – e si impegna per un cammino che sfoci nell’Eroismo; magari, quest’ultimo dovrà ricevere un premio maggiore perché mantenersi su questi standard di gioco non è facile e non lo sarà soprattutto nel lungo periodo.
Quanto alle altre domande rimaste senza una espressa risposta, vi diamo appuntamento ad uno dei prossimi articoli!
–Leo d’Amato–