Avevamo già anticipato l’uscita di questo film, ma ora che lo abbiamo visto possiamo parlarne più approfonditamente: ecco La Vita di Pi!
La Vita di Pi è un film del 2012, uscito qualche settimana fa nelle sale cinematografiche e diretto da Ang Lee. Ovviamente, come la maggior parte delle produzioni dei nostri tempi, non si tratta di un’opera originale, ma di una trasposizione dell’omonimo libro dello scrittore canadese Yann Martel.
La trama, seppure semplice, rivela una complessità di temi non indifferente, legata ad una profonda caratterizzazione dei personaggi e soprattutto al valore simbolico con cui essi vengono caricati. Facciamo un breve riassunto:
La storia inizia con un autore canadese (ma guarda un pò!) in cerca dell’ispirazione per poter scrivere un nuovo romanzo. Grazie ad alcune conoscenze comuni viene indirizzato verso un uomo, tale Piscine Molitor Pate, un indiano che sembra avere una storia incredibile da raccontare. Il film parte proprio con i racconti di quest’uomo adulto, dall’aspetto molto paterno, che inizia a parlare degli episodi della sua vita in India, che aiutano a comprendere e a collocare i vari personaggi nel giusto contesto e a conferirgli la giusta rilevanza. Pi è un ragazzo molto curioso e intelligente. La sua famiglia è tutto sommato normale e suo padre, un fermo sostenitore della scienza e ateista, è il proprietario di uno zoo. Pi mostra subito la sua propensione allo studio. Durante la sua vita, il giovane ebbe numerose esperienze: si innamorò, lavorò nello zoo del padre, ma sicuramente quella che più lo ha segnato è stato il suo rapporto con Dio e la religione. Nel corso della sua infanzia, infatti, divenne prima induista, sotto l’influenza della madre, poi cristiano, grazie ad un prete che conobbe durante una vacanza con la famiglia, ed infine mussulmano, grazie alla presenza di una moschea nella città in cui abitava. Sia chiaro, non è che ne ha lasciata una per dedicarsi alle altre, le professa tutte e tre. Infatti lui si definisce un induista-cristiano-mussulmano. L’evento chiave su cui, però, si svolge tutta la storia del film è un altro. A causa di alcune situazioni socio-politiche che si erano venute a creare nella città in cui vivevano Pi e la sua famiglia, furano costretti ad emigrare in Canada per cercare nuove possibilità lavorative. Decisero, quindi, di partire con una nave merci in modo da poter trasportare anche gli animali dello zoo del padre che sarebbero poi stati venduti a qualche altro zoo del Nord America. Tutto bene, se non fosse per il fatto che una terribile tempesta fa affondare la nave, uccidendo tutta la famiglia del giovane protagonista e la maggior parte delle bestie che erano sulla nave. Pi, quindi, si ritrova solo su una zattera, all’inizio in compagnia di una zebra, un orango, una iena e una tigre. Successivamente solo della tigre (vi lascio immaginare il perché). La storia poi si evolve fino ad arrivare al finale che a mio avviso è azzeccatissimo con quello che poi è il messaggio del film, ma qui mi blocco perché vi ho già rivelato troppo.
Ang Lee è riuscito a riportare sul grande schermo la semplicità e la fiabesca ambientazione dell’opera di Martel, aiutato anche da un uso della computer grafica davvero eccezionale. La cosa che mette in evidenza prima di tutto la qualità dell’opera di Martel e poi anche la bravura del regista di Taiwan è stata la capacità di rendere questo racconto interessante e coinvolgente in ogni attimo della storia, anche nelle premesse iniziali, rese comunque interessanti dalla nota fiabesca e dall’atmosfera quasi onirica che si respira, pur rimanendo in un ambiente reale e non fantastico. Questo è stato possibile prima di tutto grazie alla scelta narrativa di far raccontare la storia al Pi adulto, proprio come se fosse un padre che racconta una favola ai suoi figli. Questa sensazione fiabesca raggiunge il suo climax quando si arriva alla fine del racconto, alla “morale” della storia. Lì si capisce come tutto quello che è stato detto fino a quel momento sia stato semplicemente un lungo e merlettato percorso, che aveva come scopo finale quello di far capire quale fosse la visione di Dio del protagonista. Tutto il valore morale e l’essenza del film si concentrano in quei 2-3 minuti di discorso in cui lo scrittore si vede costretto a dover scegliere tra la prima storia raccontata dal protagonista o la seconda più cruda e malvagia, ma allo stesso tempo tristemente più realistica, che lo stesso Pi gli fornisce. Non vi dico la frase in sé anche se è molto bella (e vi sta parlando un ateo convinto) per non rovinarvi l’esperienza. In secondo luogo dalla scelta molto sapiente di luci, effetti grafici e filtri che rendono l’ambiente ovattato o comunque lievemente surreale, ed è questo che si nota subito già dai primi racconti di Pi. Questo tentativo di equilibrio costante tra il fantastico e il reale, quasi onnipresente nell’opera cinematografica da un punto di vista visivo.
La luce e l’acqua creati con la computer grafica davano la sensazione di trovarsi in un mondo parallelo. D’altro canto gli eventi, i comportamenti dei personaggi, di Richard Parker (la tigre per chi non avesse ancora visto il film), riportano lo spettatore nella realtà e nella dura condizione in cui si viene a trovare il protagonista. Parlando di luci, il Time ha definito questo film come “il nuovo Avatar”, riferendosi agli effetti grafici utilizzati. In realtà sono io che spero che si riferisse a quello, perché per quanto riguarda il resto non c’entra assolutamente niente col kolossal di Cameron, anzi a mio avviso paragonare questo film ad Avatar significa sminuirne il grande significato morale e spirituale che questo tenta di portare e di donare al pubblico. Questo solo per mettere in evidenza alcuni aspetti più superficiali dell’opera in questione, altrimenti si potrebbe andare molto più in profondità: il valore simbolico del nome Pi, riferito al Pi greco, trasformando il protagonista nella rappresentazione fisica della razionalità e del mondo empirista moderno, ma anche della continua ricerca del proprio Io e del proprio Dio in cui si imbatte il protagonista; Pi visto anche come esempio della possibilità di fusione di diversi credi ma anche di continua ricerca razionale di punti di fusione e conoscenza, abbattendo contemporaneamente barriere razziali, religiose e multietniche; il conflitto tra ciò che si è e ciò che si crede di essere rappresentato dall’interazione tra Richard Parker e di Pi, e ancora molti sono i significati e le letture che è possibile dare ad un’opera così polivalente, ma allo stesso tempo così semplice.
Ang Lee ha fatto un ottimo lavoro, riuscendo a riassumere diversi punti di vista in un unico prodotto cinematografico, mantenendo la semplicità e la profondità già presente nell’opera di Martel. Un film che vi consiglio vivamente, non solo per i buongustai cinematografici, ma anche per chi per una sera ha voglia di staccare senza dover per forza scadere nel cinepanettone.
Kardar, conoscitore di piani
–Vincenzo Mirra–