Come forse alcuni di voi sapranno, lo scorso 18 agosto George R.R. Martin è stato ospite in Russia per una nota kermesse locale, la Petersburg Fantasy Assembly. L’autore ne ha approfittato anche per visitare alcuni luoghi prima di presenziare all’evento, tra i quali la città di Vyborg, che ospita un castello medievale, tenendo anche una conferenza stampa pre-fiera. Nel corso della stessa, diversi giornalisti hanno fatto domande allo zio George e, sebbene ad alcune non abbia potuto voluto rispondere (ad esempio su quelle riguardanti la sua opinione sulla politica russa), attraverso di esse possiamo avere un sacco di informazioni interessanti sulla storia dell’autore, su come egli lavori, e anche qualche anticipazione sul futuro. Abbiamo pensato che non fosse giusto tagliare domande e risposte, visto l’interesse nei confronti dell’autore, dunque ve le proponiamo tutte integrali e tradotte in italiano.
Quali sono state e quali sono ancora oggi le sue fonti di ispirazione?
L’ispirazione viene da molte cose. In alcuni casi so perfettamente cosa ha ispirato alcuni dei miei libri – incontri, esperienze, cose che ho visto o letto sui giornali – mentre in altri è più difficile dirlo. L’idea viene fuori da qualche parte, da qualche recesso del mio subconscio o da qualche meandro fra l’emisfero destro e il sinistro: so solo che a un certo punto è lì e chiede di essere scritta.
Nel caso de Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco del 1991, quell’estate avevo iniziato a lavorare a un romanzo di fantascienza che avevo in programma da un po’. Si intitolava Avalon e stava venendo su bene, facevo progressi ogni giorno. Dopo una cinquantina di pagine d’improvviso mi è venuta in mente una scena che sarebbe stata il primo capitolo del libro A Game of Thrones, quella in cui Bran assiste alla decapitazione di un uomo e trovano i metalupi nella neve.
Non sapevo che quella scena avrebbe influenzato i successivi trent’anni della mia vita. Sapevo che non era parte di Avalon. Sapevo anche di doverla scrivere. È stata una di quella scene che mi si presentano così vivide che non posso fare a meno di lasciar perdere tutto il resto e occuparmene. Ho scritto quel capitolo in tre giorni. È sgorgato fuori da me. Arrivato alla fine sapevo quale sarebbe stato il capitolo seguente, e quello dopo, e quello dopo ancora. Una cosa ha tirato l’altra.
Certamente la Guerra delle due Rose è stato una grande fonte di ispirazione per i libri, poi avevo sempre voluto tentare con il fantasy epico. Avevo scritto qualche racconto fantasy in passato, ma nulla di grandioso, e questo certamente lo era.
Mi ha molto colpito Il trono del drago di Tad Williams, che trovo meglio di molti altri romanzi precedenti, e che mi ha dimostrato quanto bene si possa fare in questo sottogenere.
Tutto ha contribuito alla storia, ma se parliamo delle immagini specifiche – come i cuccioli di metalupo o la neve – non vi saprei dire bene da dove mi sia venuta l’idea.
Sicuramente sentirà parecchia pressioni per i prossimi libri. Come fa a resistere? Spegne il telefono? Riesce ancora a usare le e-mail?
Sì, c’è molta pressione, specialmente negli ultimi anni. Non saprei cosa altro dirvi in merito, faccio del mio meglio. Quando non viaggio lavoro sette giorni su sette. Tranne quando c’è il campionato di Football Americano: guardo molto Football, così mi prendo le domeniche libere. Ma non è facile, bisogna tenere duro. Sicuramente la mia vita negli ultimi dieci anni si è complicata molto, grazie alla popolarità dei libri e della serie, al punto che ho dovuto assumere degli assistenti. Proprio dieci anni fa ho assunto il primo, non ne avevo mai avuto uno, e adesso ne ho cinque. E anche così a volte sembra ci sia troppo lavoro da fare. I momenti migliori sono quando posso perdermi nella storia, quando riesco a chiudere fuori il mondo esterno, a quel punto accendo il computer e mi ritrovo a Westeros, il resto non conta – nessuna pressione e nessuna scadenza. Mi immergo semplicemente nei personaggi, nelle scene, e in quello che accadrà.
Lei è famoso per essere uno scrittore spietato, e non la perdonerò mai per la morte di Eddard Stark. Perché lo fa? Perché non li risparmia?
Prima di essere uno scrittore sono stato un lettore. E penso che come scrittore non faccio altro che scrivere ciò che vorrei leggere. Tutti gli autori fanno più o meno questo. Come lettore imparai molto presto a odiare i libri prevedibili: tutti ne abbiamo letti, sembra che appena inizi a leggere un romanzo del genere sai esattamente cosa aspettarti, come andrà a finire. C’è l’eroe e il cattivo, l’eroe se la vedrà brutta per un po’, ma alla fine in qualche modo trionferà. Ci possono essere incidenti che sembrano pericolosi, ma in verità non c’è mai alcun pericolo per l’eroe.
Non mi piacciono i libri così. Mi piacciono quelli che mi sorprendono, mi scioccano, mi portano in luoghi sconosciuti, mi scatenano emozioni, mi impauriscono, mi eccitano, mi appassionano. Voglio che i miei libri siano così per chi li legge. Quando un personaggio è nei guai, rischia la vita, e voglio che il lettore abbia paura, senta la tensione e l’eccitazione. Scamperà al pericolo? Penso che l’unico modo per ottenere ciò sia uccidere qualcuno di importante in maniera inaspettata quanto prima. Così che i lettori sappiano che questo è un libro dove tutto può succedere, e che quando il pericolo incombe i personaggi non sono mai al sicuro.
Ecco perché ho ucciso Eddard Stark. Era pianificato dall’inizio, così che i suoi figli potessero farsi avanti e guidare la storia.
Ci sono molti dei e molte religioni ne Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco. Le sue personali credenze hanno influenzato le fedi del Westeros? Nel suo mondo non si può essere atei, dunque quale religione sceglierebbe se fosse lì?
Sì, ho voluto includere la religione nei libri. Sapete tutti che il grande padre del fantasy epico moderno è J.R.R. Tolkien con il suo Il Signore degli Anelli. Molti studiosi hanno ritenuto curioso che Tolkien, devoto cattolico, non avesse incluso nessuna religione formale nei suoi libri. Non ci sono preti, templi o culti di sorta, e sembra proprio una strana omissione. Ci sono molte teorie al riguardo, ma io non volevo comportarmi così. Ho letto molto sul medioevo e sugli uomini che lo popolavano. Volevo basarci Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco, e so quanta importanza le religioni hanno avuto in quei periodi, così mi sono assicurato di includerne più di una.
Per quanto riguarda il mio background religioso, sono stato cresciuto come un cattolico, nel New Jersey. Ho ricevuto un certo numero di insegnamenti da bambino, ma sono sempre stato scettico e facevo disperare i preti e le suore. Facevo domande scomode alle quali non rispondevano volentieri. Ho smesso di essere praticante al college, quindi a differenza di Tolkien sono un pessimo ex cattolico assai scettico. Non nego di certo l’importanza della religione e della fede nella storia umana, motivo per cui le ho inserite nei libri, ma ero anche interessato a studiare l’accostamento tra fantasy e religione.
Alcuni diranno che la religione è di per sé fantasy, ma molti romanzi di questo genere contengono stregoni, preti o anche dei che scendono sulla terra e fanno magie. Questo cambia l’essenza della religione e il modo in cui una società la integra.
Se una religione potesse davvero riportare in vita i morti, sarebbe molto popolare e seguita. Questo è quello che cerco di esplorare nei miei romanzi.
Diciamo che alla fin fine, i veri cattivi della sua saga sono dei perfidi non-morti. Non crede che questo semplifichi troppo le conseguenze socio-politiche sul suo mondo?
Prima di rispondere devo premettere una cosa: ne ho parlato in parecchie interviste esplorando quelle che sono per me le difficoltà di governare, e non vorrei mai che trasparisse una mia critica nei confronti di Tolkien, dato che ho solo ammirazione per lui e per le sue opere. I suoi libri sono pietre miliari della narrativa del ‘900, e credo verranno letti per centinai di anni ancora. Però a mio avviso lui ragiona in modo molto medievale, con una mentalità mitologica circa l’essere re e regnante. Lui può semplicemente dire che alla fine Aragorn divenne re e governò in maniera saggia e giusta per cento anni.
È facile dire che qualcuno governò in maniera saggia e giusta. Più difficile è farlo effettivamente. Chi governa deve prendere decisioni difficilissime, e come esempio prendo sempre gli Orchi. Alla fine de Il Ritorno del Re rimangono in vita decine di migliaia di Orchi. Cosa ne fa Aragorn? Compie un genocidio, cacciandoli e uccidendoli tutti nelle loro tane e caverne? Li cattura per farne schiavi? Li riabilita costruendo scuole per Orchi e insegnando loro a non mangiare carne umana?
Tolkien non si interessa di queste cose, ma io sì. Non ho creato Orchi, la maggior parte degli avversari dei miei libri sono esseri umani. Li dipingo apposta in scala di grigi invece che in bianco e nero. Qualcuno ha detto che un eroe è semplicemente “il cattivo dell’altro schieramento”, così voglio mostrare come i Lannister, nemici degli Stark, siano gli eroi della loro storia, per quanto li riguarda. Ovviamente anche Daenerys si vede come I’eroina della storia. Il concetto stesso di eroi e malvagi è difettato se lo semplifichiamo troppo. Ogni essere umano ha la possibilità di compiere gesta eroiche o azioni crudeli ed egoiste. La maggior parte di noi ne ha fatte entrambe. Tutti i nostri eroi hanno pecche, e tutti i nostri nemici hanno tratti che li redimono.
Per quanto riguarda gli Estranei e i non-morti, non ho ancora finito di raccontare la mia storia, quindi ne riparleremo quando avrò scritto gli ultimi due libri.
Ha un manuale o delle regole per far sopravvivere i suoi personaggi? Cosa si deve fare per non morire nel suo mondo?
Non penso ci siano delle regole nel mio mondo, proprio come in quello reale. Ci sono circostanze che possono grandemente aumentare le tue possibilità di morte, come prendere parte a una battaglia. Ma questo non vuol dire che non combattendo sarai al sicuro e vivrai per sempre.
Valar Morghulis – tutti gli uomini devono morire, e ciò vale anche per noi. Tutti i presenti nella stanza [dove si sta tenendo la conferenza stampa, ndr] moriranno un giorno, a meno di sensazionali scoperte mediche.
Se gli hacker pubblicassero dei leak della nuova stagione della serie, ci sarebbero ripercussioni sull’opera letteraria?
No, non ci sarebbero influenze con il mio lavoro. Sto scrivendo i libri e, anche mentre sono invischiato con la serie tv, i romanzi sono la mia principale preoccupazione. Mi colpisce come la gente vada nel panico al pensiero di una rivelazione della trama prima del rilascio effettivo delle puntate, considerando che per le prime cinque stagioni i miei libri erano già usciti e chiunque avrebbe potuto leggerli per sapere cosa sarebbe successo. Sapere che qualcosa accadrà non è come vederlo succedere. È divertente mantenere il mistero sulla trama, ma credo che le grandi opere, siano esse serie tv, romanzi o film, non dipendano totalmente dalla trama. Ci sono una ricchezza e una profondità che vanno oltre. Ecco perché le grandi opere è possibile godersele più volte, anche dopo che scopriamo cosa succede. Io, per esempio, amo leggere Guerra e Pace anche se so che Napoleone perde.
Quale pensa sia la missione di un grande scrittore di fantasy? Creare una mitologia?
Sì, in un certo senso creiamo nuovi mondi. Una delle cose che ho notato del fantasy a partire da Tolkien è l’importanza dell’universo narrativo come elemento fondante di un racconto fantastico. Quando si discute del setting in genere, esso è sempre messo insieme al tema, alla trama e ai personaggi, ma è considerato un elemento secondario. Questo non è vero nel fantasy.
Guardiamo i calendari tolkieniani pubblicati fin dagli anni ’70. Molti artisti sono stati scelti per illustrare un calendario basato sulle opere di Tolkien, con varie scene e luoghi tratti da Il Signore degli Anelli. La cosa interessante è notare come, anche se gli stili possono differire grandemente, i luoghi siano immediatamente riconoscibili: Minas Tirith, Gran Burrone e la Contea sono unici.
Questi posti non ci sono davvero, ma esistono nelle nostre menti. Sono diventati tanto reali in chi ha letto i libri o visto i film, che è come se esistessero davvero fuori di noi. Il grande fantasy crea il proprio mondo esattamente come fa Tolkien.
Quando vedete un’immagine della Barriera la riconoscete subito. Ma anche Approdo del Re, pur essendo una grande città, è immediatamente riconoscibile rispetto ad altre grandi città del fantasy. Stesso discorso vale per Braavos. Creiamo e costruiamo mondi come base per scrivere una grande epopea fantasy – e lo si deve a Tolkien. Prima di lui veniva usato il linguaggio tipico delle fiabe, molto poco specifico: “C’era una volta un Re che aveva una bellissima figlia, ed entrambi vivevano vicino a un regno con cui erano in conflitto”. Neanche i nomi erano importanti al tempo. Ma Tolkien ha reso fondamentale la costruzione di un universo narrativo, e chiunque lo segue, me compreso, ha imparato bene la lezione.
LA SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA LA TROVATE QUI
–Simone Formicola–
[amazon_link asins=’B01MA3TETH,B01HYOKATA,B01FMUCC6W’ template=’ProductCarousel’ store=’isolilly-21′ marketplace=’IT’ link_id=’8fbb36a7-88c7-11e7-b9dd-af6f5dcb58ba’]