Non siamo certo noi a scoprire in questa sede il rapporto quantomeno conflittuale, per usare un eufemismo, che sir Alec Guinness, interprete dell’immortale Obi-Wan Kenobi nella trilogia originale di Star Wars, ha avuto fino alla fine dei suoi giorni con il franchise.

Alec Guinness – Foto di Allan Warren
Pur rimanendo all’interno di una assoluta correttezza e rigorosa professionalità sia durante che dopo la lavorazione dei film, e non abdicando mai al rispetto personale verso il cast tecnico (Lucas in primis) e verso i suoi (giovani) colleghi del cast artistico, è noto che il signor Guinness non abbia mai risparmiato critiche, anche feroci e dirette, nel merito della qualità cinematografica. Dal suo punto di vista, ovviamente.
A questo proposito è utile relativizzare questa impietosa bocciatura sia considerando il background dell’attore che la surreale atmosfera nel quale l’originale Guerre Stellari (poi ribattezzato Episodio IV: Una nuova speranza) venne girato. In fondo, stiamo parlando di un notissimo attore teatrale formatosi su Shakespeare e considerato uno dei più grandi interpreti drammatici della sua epoca (vincitore, tra l’altro, di un premio Oscar come attore protagonista nel 1958 per il bellico Il ponte sul fiume Kwai), per di più poco amante della fantascienza (che all’epoca non aveva certamente la valenza mainstream di adesso), catapultato sul set di un film che tutti, a partire dagli altri attori per finire alle maestranze, consideravano di serie b quantomeno nel merito – il che una volta di più testimonia sia la tenacia nel difendere la sua creatura quando nessuno ci credeva, sia quanto avanti fosse George Lucas nella sua intuizione (talmente avanti da fare il giro e sembrare di stare dietro a tutti, con relativi lazzi e sbeffeggi).
In questi giorni è saltata fuori una lettera di Guinness datata 1976 (in piena lavorazione di Episodio IV), pubblicata su Reddit, che contribuisce a definire ulteriormente questo contesto. Rivolgendosi a un’amica, Sir Alec scrive testualmente: “Cara Anne, sono in Inghilterra a girare. Non posso dire che il film mi piaccia. Ogni giorno che passa mi consegnano risme di fogli con nuovi dialoghi scadenti, nessuno dei quali rende il mio personaggio più definito o tanto meno sopportabile. Devo andare sul set e lavorare con un nano (Il compianto kenny Baker, ndr) (molto piacevole, e si lava in un bidet), il tuo connazionale Mark Hamill e Tennyson Ford (aspetta, non può essere il suo vero nome). Ellison, forse? (Ma no!). Beh, insomma, un giovanotto languido e slanciato che probabilmente è piacevole e divertente. Ma, Dio mio, mi fanno sentire un novantenne – e mi trattano come se avessi 106 anni (all’epoca aveva 62 anni. ndr). Ah, ecco, “Harrison” Ford. Mai sentito?”
A parte la non nuova frecciata indirizzata alla qualità dei dialoghi (in originale, “rubbish dialogue”), coi quali l’attore inglese ebbe un rapporto conflittuale per tutta la trilogia, colpisce l’ironia molto british con la quale Guinness prende elegantemente per il cu in giro i suoi giovani colleghi, in particolare un Harrison Ford ancora lontanissimo dallo status di divo hollywoodiano (“Harrison chi?”). Poche righe dopo, si scopre il motivo di tanto sarcasmo indirizzato a colleghi che in fondo Sir Alec stimava: i suddetti lo trattavano con troppa deferenza, facendolo sentire un novantenne “e mi trattano come se avessi 106 anni”. Insomma, mai far sentire anziano un anziano.
Sarcasmo per gli inesperti colleghi a parte, come detto Alec Guinness non si è mai risparmiato giudizi sempre pacati ma estremamente circostanziati nei confronti della trilogia, a partire dagli odiati dialoghi dei quali proprio non riusciva a farsi una ragione (e che in verità, essendo questo tipo di sci-fi agli esordi, mettevano in difficoltà anche i colleghi), passando per la qualità complessiva del film (“Una favola spazzatura su cose fantastiche”, scrive a un amico nel 1975 in merito al suo prossimo ingaggio), e finendo col non avere in simpatia quel “mondo di banalità bambinesche e di seconda mano” e la relativa perniciosa influenza che poteva avere sul giovane pubblico. Personalmente, più che biasimare l’opinione personale (che in quanto tale aveva il sacrosanto diritto di possedere) di Sir Alec, preferisco soffermarmi sulla grande professionalità di un attore che, nonostante tutte le perplessità e le reticenze personali, è riuscito a dare spessore a un personaggio che è diventato l’epitome del papà e del maestro astrale per molti di noi fan delle banalità bambinesche e di seconda mano. In fondo, Guinness accettò la parte sia perché aveva reputato American Graffiti (il precedente lungometraggio di Lucas) un buon film, sia perché aveva fiutato il successo commerciale dell’intera operazione (come ammise apertamente e onestamente in seguito), il che gli consentì di strappare dei compensi tutt’altro che trascurabili.
A chi invece usa lo scetticismo che circondava all’inizio la vecchia trilogia per fare dei parallelismi con le pesanti censure nei confronti della nuova, capovolgo il ragionamento. Se si mostrò così critico con Lucas, Hamill, Ford e la vecchia produzione (che quantomeno un barlume di visione d’insieme l’avevano), quale sarebbe stato il suo giudizio davanti al botteghino complessivo sotto le aspettative dei due nuovi film, alle fosche nubi e alle incredibili vicende che si sono addensate attorno allo spin-off di Han Solo, e alla sempre più chiara ed evidente difficoltà della Disney e dei suoi incaricati di capire e maneggiare un franchise come quello di Star Wars? Ai posteri l’ardua sentenza.
–Luca Tersigni–
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