Dopo cinque anni di accese dispute legali pare proprio che la Warner Bros. e la Tolkien Estate, la fondazione che si occupa di gestire le proprietà intellettuali del Professore e i diritti derivanti dallo sfruttamento dei suoi libri, siano giunte a un accordo definito “amichevole” per chiudere la querelle riguardante la trasposizione “digitale” dei diritti acquisiti dalla major hollywoodiana e dalle sue subordinate.
Non che le due società se le siano mai mandate a dire, legalmente parlando: è appena del 2009, a progetto trilogia Lo Hobbit ampiamente in corso, l’ultimo agreement legale delle due parti in causa, con la Tolkien Estate che aveva trascinato in tribunale la major lamentando una non adeguata percentualizzazione dei diritti (in pratica, alla fondazione che cura gli interessi degli eredi di Tolkien era stata girata una cifra molto inferiore a quella dovuta in base alla percentuale contrattualizzata). La questione si era risolta con l’accordo che sancì il versamento, dicono fonti indipendenti dalle parti in causa, di una bazzecola come più di 100 milioni di dollari da quel di Hollywood a quel di Londra. D’altronde, la sola trilogia de Il Signore degli Anelli di Peter Jackson era stata capace di tirare su qualcosa come 3 miliardi di dollari al box office, e di rastrellarne altrettanti tra home cinema, diritti televisivi e merchandise.
È chiaro che con un montepremi del genere in ballo, per di più generato da una proprietà intellettuale legittimamente posseduta dagli eredi, chiunque avrebbe mantenuto le antenne dritte e passato al microscopio l’attività di coloro ai quali erano stati ceduti i diritti: ed è proprio ciò che ha fatto la Tolkien Estate. Il casus belli, racconta la leggenda, pare sia stato un messaggio email di spam capitato per caso nella casella di uno degli avvocati della fondazione, contenente il link per un gioco slot online brandizzato Il Signore degli Anelli: La Compagnia dell’Anello. Poi nel 2012 e, nell’imminenza dell’uscita di Un Viaggio Inaspettato e del verosimile ulteriore aumento del cucuzzaro, alla Tolkien Estate non deve essere parso vero poter trascinare nuovamente la major davanti a un giudice. E così ebbe inizio una nuova battaglia legale (conclusasi da poco), che vide da una parte la Tolkien Estate e la casa editrice Harper Collins (detentrice dei diritti letterari per il mondo anglosassone delle opere di Tolkien) e dall’altra Warner Bros, la sussidiaria New Line Cinema, e Saul Zaentz Co., gli originari detentori dei diritti cinematografici. La fondazione accusava sostanzialmente la major americana di violazione di copyright e di mancato rispetto dei termini del contratto, avendo concesso i diritti di sfruttamento di nomi e personaggi solo per il merchandising “tangibile” (cioè action figures, tazze, magliette, pupazzi e chi più ne ha più ne metta) e non per quello “digitale”, ivi compresi i videogames, lamentando il danno irreparabile alla reputazione e all’eredità di Tolkien che comporta l’apparire dei suoi personaggi, per esempio, nell’ambito di un videopoker o di una slot machine online (e qui francamente torto alla Tolkien Estate non mi sento di darlo).
In tutta risposta, la casa cinematografica presentò una contro-richiesta di risarcimento verso la fondazione, tirando fuori un vecchio contratto del ’69 sottoscritto dalla United Artists (alle quale è successa legittimamente la Warner Bros), ripudiato dalla Tolkien Estate, che secondo la prima sarebbe stato interpretabile per i diritti sul merchandising anche digitale – che era ovviamente di là da venire –, chiedendo i danni per i conseguenti mancati introiti e la sottoesposizione (!?!) mediatica delle due trilogie cinematografiche.
Nei mesi successivi la battaglia legale eruppe in tutta la sua violenza con una serie di colpi bassi che nemmeno Grima Vermilinguo: gli eredi di Tolkien deposero in tribunale riguardo il business sviluppatosi attorno alle idee del padre, la Tolkien Estate fece ricorso (poi rigettato) riguardo al fatto che la Warner li avesse contro-citati solo per rappresaglia, la major americana citò gli avvocati della Tolkien Estate per condotta professionale scorretta e non etica (anche questa rigettata), e via di questo passo.
Negli anni successivi, invece, accadde poco o niente dal punto di vista legale, con le parti pronte a darsi battaglia durante il processo vero e proprio: senza dubbio una situazione poco tranquillizzante per il futuro dei progetti videoludici basati sui franchise della Terra di Mezzo, al netto di slot machine e videopoker. Basta pensare al venturo La Terra di Mezzo: L’Ombra della Guerra.
Fortunatamente per tutti, un accordo privato di pochi giorni fa (del quale non si conoscono i termini, ma che sicuramente avrà comportato uno spostamento di moneta che avrebbe fatto invidia a Smaug) ha scongiurato tutti i rischi, con un portavoce della Warner che ha commentato: “Le parti sono liete di aver risolto amichevolmente (??) il contenzioso e sono pronte a collaborare nuovamente in futuro”.
In attesa del terzo, amichevole capitolo di questa trilogia (è il caso di dirlo) legale, noi amanti della Terra di Mezzo videoludica tiriamo un fragoroso sospiro di sollievo.
–Luca Tersigni–
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