Il periodo di gennaio scorso è stato, per tutti gli appassionati del brand The Elder Scrolls, una vera propria freccia nel ginocchio: è stato infatti annunciato che a giugno di quest’anno verrà rilasciata negli store fisici e digitali di tutto il mondo un’espansione per TES Online ambientata nel mondo di uno dei capitoli più idolatrati dell’intera saga. Sto ovviamente parlando di Morrowind, ai tempi terzo episodio di una delle serie RPG più famose di sempre.
Quando nel 2002 Bethesda sparse nel mondo il seme di quella che successivamente si sarebbe rivelata una bellissima fioritura, un caposaldo, uno standard da rispettare nel mondo dei GdR action, ben pochi si sarebbero aspettati che quanto appena detto fosse così vero, e che i frutti che ne sarebbero scaturiti poi sarebbero risultati così dolci, vellutati, colorati. The Elders Scrolls III: Morrowind non è stato un semplice episodio di una serie quanto mai gloriosa e longeva, ma quello che ha gettato le basi per tutto ciò che sarebbe venuto dopo.
Parlarne alle nuove generazioni, che hanno tra le mani roba grossa e irsuta come Skyrim, potrebbe risultare forse un’operazione nostalgia. Una parte di quelli che oggi giocano a TES V, quando uscì Morrowind non erano nemmeno nei pensieri dei propri genitori. Inutile quindi soffermarsi su dettagli quali la realizzazione tecnica e grafica di tutto ciò che si muove nell’immensa mappa, subottimale andare a parlare dell’elevatissimo grado di libertà di gioco, personalizzazione, e immaginazione, e forse addirittura una perdita di tempo raccontare delle ore che volavano via tra una quest e l’altra, a testimonianza di una longevità altissima.
Bethesda ci ha abituati a grandi cose, senza mai risparmiarsi promesse e creando aspettative e sentimenti contrastanti nella coscienza dei giocatori, e 15 anni fa (quindici, cari trentenni) le cose non erano molto diverse.
Gli intenti erano ovviamente baldanzosi: creare il titolo più vasto, complesso, vivo che si fosse mai visto fino ad allora. Quando installai il gioco, e per la prima volta presi tra le mani il mio sozzo guerriero Bardo (il guerriero con crisi di identità) mi trovai in mezzo a un mondo fatto di persone, non di poligoni. Per la prima volta da quando videogiocavo, mi sentivo in dovere di trattare i PNG come fossero la popolazione di un villaggio, e non come dei semplici bersagli da freccia. Il mondo pulsava, offriva possibilità, intersecava reazioni. Potersi muovere liberamente in un’ambientazione tanto ricca di dettaglio, poterci interagire, scoprire che le diverse città si differenziavano non solo per architettura, ma anche per posizione ideologica e politica, era per le mie diottrie una condanna per direttissima.
Catapultato a Morrowind, sull’isola di Vvardenfell, Bardo il guerriero si faceva rumorosamente strada tra volti ostili, espressioni di inimicizia e incomprensioni culturali a causa di questo o quel furtarello di poco conto, mentre cercava in qualche modo di passare alla storia seguendo le tracce di una profezia di cui, sinceramente, all’inizio se ne fregò altamente. Troppo forte era l’attrattiva di poter liberamente esplorare, constatare e scoprire. Troppo divertente la possibilità di entrare in una casa, fregarsi un piatto e scappare a gambe levate. Velleità parzialmente mitigate da un fattore non indifferente: che lo volessi o meno, ovunque mi recassi prendevo mazzate. Eh si, perché il mondo di Morrowind non guardava in faccia a nessuno, nemmeno al povero Bardo, armato di un’ascia senza filo e di un elegantissimo gonnellone di tessuto laido come la sua coscienza. Scordatevi comodità come quella dell’autolivellamento dei nemici: in Morrowind vi riempivano di calcioni se, per fare i gradassi, vi azzardavate a raggiungere zone non propriamente alla vostra portata. Perché non seguire la trama di gioco, almeno per un po’? Eh si, perché anche quella aveva il suo posto, tra un dungeon pieno di amenità e una gilda, ed era anche piuttosto corposa. Non era tutto un “vai in questo posto, fatti nemici tutti i PNG… tutta la popolazione di questo villaggio, porta a casa la pellaccia, ripeti”, anche se niente e nessuno ti avrebbe impedito di considerarla una possibile esperienza di gioco. Prendendo mazzate un po’ ovunque, ma facendolo consapevolmente.
Il mondo era lì fuori per noi anche 15 anni fa, con la sua crudeltà, l’eccessivo valore del vil denaro, le false amicizie e i brutti incontri.
Io decisi di andarmelo a cercare in Morrowind. E una piccola parte di me non è mai tornata indietro.
–Alessandro Fresta–
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