La recente dipartita di Joe Dever, così improvvisa e inaspettata, mi ha costretto ad aprire la libreria e cercare, tra gli scaffali, quel piccolo volume di Lupo Solitario che mi ha insegnato cosa sia un’avventura. E a giudicare dal fiume di commenti sul profilo Facebook dell’autore, non sono stato il solo.
Ho conosciuto Lupo Solitario in un’estate di tantissimi anni fa. L’edicola vicina alla spiaggia ne aveva un paio, piazzati lì, in mezzo ai fumetti e ai romanzi “estivi”, probabilmente senza neanche sapere di che si trattasse. In breve tempo comprai e completai tutti quelli che la piccola edicola aveva in vendita. Per molti di voi, ne sono certo, il librogame riporterà alla luce simili memorie nostalgiche. Tuttavia, questo è un momento fondamentale per andare oltre la nostalgia, e ricapitolare la storia del libro-gioco, di come sia nato e dove stia andando.
L’idea di un romanzo interattivo non è nuova, basti pensare a “La storia infinita”. In termini più pragmatici, le prime forme di testo di questo tipo nacquero come trovata didattica negli anni ’50, ma solo nel decennio successivo e con la rottura con le forme d’arte tradizionali si è giunti alle prime applicazioni pratiche in narrativa, con Lucky Les: The Adventures of a Cat of Five Tales (1967). Qualche altro esperimento si fece negli anni ’70, ma senza mai raggiungere il fenomeno di massa, almeno finché la casa editrice Bantam non iniziò a pubblicare Choose Your Own Adventure.
Il fenomeno libro-gioco cavalcò l’onda di un altro caso non troppo dissimile, esploso negli stessi anni: il gioco di ruolo. In qualche modo le due cose andavano a braccetto: da una parte un gruppo di ragazzi, in uno scantinato, inventava le proprie avventure; dall’altra gli stessi ragazzi, soli nella propria camera, leggevano avventure ambientate negli stessi mondi, con la possibilità di compiere scelte e tirare dadi. Nascono così i libri-gioco di Dungeons & Dragons, Tunnels and Trolls, e Il richiamo di Cthulhu.
Nel 1984 debuttò anche Joe Dever con il suo Lupo Solitario, che riscosse grande fortuna in tutto il mondo, ma divenne il simbolo del “libro-gioco” proprio in Italia: la casa editrice EL registrò il marchio “librogame”, e principalmente grazie al Lupo diffuse nella penisola questa nuova forma di intrattenimento. Forse perché era l’idea giusta (il libro interattivo) al momento giusto (con l’arrivo del fenomeno fantasy) e per il target giusto (gli adolescenti).
Il connubio tra gioco di ruolo e librogame venne meno negli anni ’90: se in quel periodo il primo continuò a tenere duro (nonostante una lacuna di D&D che si protrasse fino alla terza edizione), il secondo sembrò scomparire dalla scena. Chi fu ad “ucciderlo”? La maggior parte crede siano stati i videogiochi, capaci di offrire le possibilità di scelta del librogame con la comodità di “fare tutti i calcoli” in automatico. O forse semplicemente il genere si esaurì, rimanendo in attesa di qualche nuovo esponente in grado di rilanciarlo, aggiungendo altri contenuti. Probabilmente l’errore del genere è stato quello di diventare sempre più gioco, inserendo nuove dinamiche proprio per aumentare l’interattività, ma senza poter competere in questo campo con il digitale. Più realisticamente, direi che il motivo vero non lo scopriremo mai.
Come ogni cosa sepolta, però, anche il librogame è diventato un cosiddetto prodotto vintage, e pertanto ha assunto un nuovo fascino. In parte si è trasformato in un oggetto di culto in quanto vecchio, ma anche per questo continua a vivere. Negli anni 2000 sono state ristampate nuove edizioni espanse dei vecchi “Lupi”, senza considerare che comunità di appassionati continuano a scrivere i loro “romanzi a bivi” e pubblicarli online; inoltre, qualcuno ha creato nuovi software per scriverli con maggiore facilità, e le avventure di Lupo Solitario sono state adattate sotto forma di app per smartphone: provandole si ha l’impressione che si tratti di una forma di narrazione perfetta per i nostri tempi, con i brevi paragrafi illustrati che rientrano alla perfezione nello schermo del telefono. Qui tutti i fattori casuali e di calcolo possono essere lasciati alle CPU, e l’interattività della storia è in sintonia con la nostra epoca.
Forse il librogame è un fenomeno che non avrà più fortuna, destinato a pochi “archeologi” dell’intrattenimento, ma credo che possa evolversi in qualcosa di nuovo, magari di molto diverso. Anche perché oggi gli scrittori, seppure non usino la seconda persona singolare, sono costretti a tenere conto continuamente dei pareri dei loro lettori, anche mentre scrivono. E non è forse questa una forma di narrazione interattiva?
–Daniele Gabrielli–