C’è questo gioco, che si chiama Baldur’s Gate, che esce nel 1998. Poi c’è questo remake che si chiama Baldur’s Gate: Enhanced Edition uscito quattordici anni più tardi, che dopo una gimcana fra licenze per il motore grafico e licenze per i contenuti, alla fine arriva e riscuote il giusto successo. E poi c’è l’espansione che si chiama “Siege of Dragonspear“, e a seguire c’è l’usuale (e comprensibile) ondata d’interesse del mondo videoludico. Insomma, è il Drago che si risveglia e continua a buttare fuoco. Il problema è che questo fuoco si è appiccicato a un particolare tipo di benzina, suscitando l’ennesima maledettissima controversia. E chi siamo noi di Isola Illyon per non lanciare i nostri two cents?
I FATTI
All’indomani dell’uscita del gioco, sia Steam che Metacritics sono stati bombardati di critiche negative. È difficile riscontrare dati oggettivi, ma in linea di massima i temi ricorrenti sono :
- Bug, crash continui, lentezza: il gioco funziona male. Almeno il 75% delle recensioni negative su Steam è concorde sul punto;
- Ci sono i gay. Che detto così pare un po’ ridicolo, ma il centro nevralgico del problema (oltre a protagonisti giocabili omosessuali) è un personaggio – Mizhena – che nel corso di un dialogo rivela in tre battute la propria transessualità;
- Ci sono battutine edgy che rimandano alla realtà: una, in particolare, è un gioco di parole che ammicca malignamente alla questione GamerGate;
- In generale, è scritto male;
Gli ultimi tre punti sono facilmente unificabili nell’identità di Amber Scott. La scrittrice ha dichiarato di aver intenzionalmente inserito nella narrativa del gioco quanti più elementi di diversità possibile, con l’intento di migliorare la base preesistente del gioco (caratterizzata da forti elementi di sessismo).
L’OPINIONE
A laggente quest’approccio non è piaciuto: per farsi un’idea chiara del motivo non basta lo spazio che abbiamo qui, pertanto tocca stare attenti a non scadere in facili retoriche, in quanto l’argomento è complesso. I critici del gioco lo tacciano di aver forzato giù per la gola dei giocatori social justice issues; la scrittrice risponde di essere orgogliosa di essere una Social Justice Warrior. I due fronti si antagonizzano con violenza, scalpitando su apparenti questioni di principio: da una parte c’è chi vuole dare visibilità a fenomeni della realtà all’interno del gioco, dall’altra c’è chi questi fenomeni non ce li vuole.
A fronte di un panorama del genere c’è poco da dire: lo stesso Ed Gree
nwood, creatore dei Forgotten Realms, ha ricordato a tutti che “i Realms hanno SEMPRE avuto personaggi (mortali e divinità) che facevano travestitismo, cambiavano genere (e non solo per passare indisturbati di fronte a delle guardie durante un’avventura, attraverso mutazioni magiche o illusioni), erano bisessuali e apertamente gay“. Scandalizzarsi per l’elemento in sé è roba da bigotti; lasciare recensioni negative per la presenza di un contenuto che non si condivide è fuorviante, perché un giudizio consapevole sulla qualità di un prodotto videoludico deve tener conto di tanti elementi.
Ma siamo certi che il panorama sia proprio quello sopra descritto? Perché è sicuro, per ammissione di Amber Scott, quali fossero i suoi intenti nello scrivere il gioco: “Se c’era qualche elemento nell’originale Baldur’s Gate che non sembrava essere compatibile con i giocatori di oggi, come il sessismo, abbiamo cercato di affrontarlo. Nella prima edizione c’erano un sacco di battute sul “valore delle donne”. Forse non tantissime, ma comunque più di una, come Safana, considerata nient’altro che un oggetto sessuale in BG 1, e Jaheira, che recitava la parte della moglie opprimente. Siamo stati in grado di dire “No, non è decisamente questo il tipo di storia che vogliamo fare”. In Siege of Dragonspear Safana ha la propria piccola storyline, nella quale si presenta con un aggiornamento della personalità decisamente migliore. Se al pubblico non piace, beh, peccato”. Meno sicura è la radice delle critiche: è il fatto in sé che esistano certi elementi, o è il fatto che questi elementi siano stati inseriti male, nel quadro di una scrittura approssimativa?
Senza scadere nei massimi sistemi del “cosa deve essere un videogioco”, penso si possa essere tutti d’accordo sul fatto che un buon titolo debba essere scritto bene. Un videogioco scritto avendo in mente, in via primaria, l’inserimento di tematiche sociali prima di una resa qualitativamente buona sarà molto probabilmente una merda. Non per le tematiche, ma perché il bilanciamento di obiettivi è tutto sfalsato.
Ora: sulla battuta che rinvia al GamerGate possiamo anche sorvolare, perché in fondo anche l’originale “aveva un’intera sequenza sul The Bob Newhart Show“, per citare il CEO di BeamDog Trent Oster. Si può non apprezzare un elemento che spezzi la sospensione d’incredulità e rinvii al mondo reale, ma è difficile affermare che questo elemento non fosse preesistente anche nell’originale. Resta da capire come il personaggio transgender s’inserisca nel quadro narrativo del gioco e se, in generale, questo inserimento avvenga a scapito di una buona scrittura. Così, a naso, pare difficile pensare che un singolo elemento del genere possa essere deteriore per il gioco intero. Da quel che ho visto, il dialogo del coming out di Mizhena non è naturalissimo, ma nemmeno troppo forzato. Detto questo, sempre per citare lo stesso Ed Greenwood che difende il gioco “D&D non era un gioco di sesso, e generalmente non lo ficchiamo sotto al naso del lettore a meno che non ci sia una buona ragione per farlo, che riguardi la storia“.
Non posso esprimermi sul resto. Quello che posso dire è che, alla fine dei giochi, questa discussione fa passare sotto silenzio l’ennesima conferma di un trend avviato: pubblichiamo giochi buggati e preoccupiamoci di sistemarli con gli updates successivi. Forse, di tutta la vicenda, bisognerebbe parlare di questo.
– Luca Pappalardo –