Quando vi parliamo di fantasy inevitabilmente vi parliamo sempre anche di miti. Lo sapete già, ma è bene ricordare che i generi narrativi che rientrano nella categoria “popolare” – termine troppo spesso erroneamente utilizzato in senso dispregiativo da critici e accademici per designare ciò che non gode della stessa dignità dei generi “classici” – sono indissolubilmente legati alla tradizione mitologica della società che li ha creati. In altri termini, se volessimo fotografare una qualsiasi comunità sociale umana in un periodo storico ben preciso e ne documentassimo l’immaginario collettivo di riferimento relativo a quello stesso frammento temporale, non potremmo che ritrovarvi profondi e indissolubili legami con i miti, gli usi e i costumi, i racconti leggendari e l’idea di sacro appartenenti alla cultura fondante di quella specifica civiltà. Va da sé che, poiché l’immaginario collettivo trova la sua più concreta espressione nei prodotti culturali “popolari” (per comodità continuiamo a chiamarli così) della cosiddetta società di massa, questi stessi prodotti non siano altro che una forma nuova per rappresentare i medesimi archetipi mitologici del nostro passato più lontano. Noioso? Non direi, è piuttosto un semplice ragionamento basato sulla proprietà transitiva archetipo → mito → immaginario collettivo → narrativa popolare. Non ho certo la presunzione di aver identificato io questo meccanismo antropologico, ma posso chiamare in causa l’uomo che più di ogni altro ha dedicato la propria vita alla ricerca e alla definizione di un significato relativo alla predisposizione umana a pensare mitologicamente, cioè lo studioso americano di storia dei miti e religioni comparate Joseph Campbell. Che i cieli lo abbiano sempre in gloria. Non voglio tediarvi parlandovi di lui in questa sede: ai più curiosi basterà una breve ricerca online per trovare notizie su di lui e sulla sua immensa bibliografia (“L’eroe dai mille volti”, “Il potere del mito”, “Le maschere di Dio”, solo per tirare in ballo alcuni capisaldi), ma l’averlo citato mi permette di introdurre il tema di questo articolo, e cioè gli Indiani d’America.
Vi starete chiedendo cosa c’entrino Sioux, Cheyenne e Navajo con il fantasy. Ebbene, Campbell iniziò i propri studi sulla mitologia e le religioni appassionandosi alla storia e alla cultura dei nativi americani, viaggiando a lungo tra Stati Uniti, Messico e Paesi dell’America Centrale, scoprendo una ricchezza straordinaria di riti, culti e leggende appartenenti a quelle popolazioni e risalenti ad epoche antiche e antichissime. Basti pensare che nel territorio attualmente occupato dagli USA, dalle foreste boreali al deserto, dalle Montagne Rocciose all’Atlantico, vivevano circa cinquecento nazionalità indiane, ciascuna con la propria lingua e le proprie tradizioni: la concezione di una natura animata, il rapporto privilegiato col mondo animale, i riti iniziatici di passaggio, l’importanza dell’esperienza onirica e il ruolo dello sciamano nel rapporto con il mondo degli spiriti sono stati vissuti e arricchiti in modo diverso e complesso in ogni singola comunità. Perché non lasciare che il fantasy moderno si lasci ispirare da questa varietà di usanze e credenze, come è sempre stato fatto a proposito di immaginario medievale? D’altronde scopriremmo che Indiani e cavalieri in armatura, seppure geograficamente così distanti, in realtà hanno in comune più di quanto si pensi, se guardiamo alle rispettive tradizioni mitologiche.
Vi propongo pochi e semplici esempi a riguardo. Lo sciamano – o stregone? – era senza dubbio il membro più rispettato della tribù, perché a lui era riservato il compito di attirare la benevolenza degli spiriti, interpretare i sogni e curare i malati. L’amuleto della medicina da lui indossato rappresenta il cerchio della vita e il suo evolversi (la ruota), nonché i quattro venti, le quattro stagioni della natura e della vita dell’uomo (la croce). Dal punto di vista dell’araldica, il totem rappresentava le insegne della tribù, della famiglia o del capo della tribù stessa. Le ali laterali stavano a significare che gli esseri umani non sono altro che spiriti rivestiti da un corpo. Sul totem, inoltre, sono sempre incise figure di animali che servono ad attirare le qualità positive di ciascuno di essi. Gli scudi e i simboli medievali non vi dicono niente? I miti delle popolazioni nordamericane sono inoltre gremiti di figure di eroi civilizzatori, considerati in parte come dei “primi uomini”, in parte come demiurghi e creatori. Tali esseri possiedono la conoscenza delle arti magiche e spesso hanno il potere di trasformarsi in animali. E da qui al nostro passato debitore ai miti greco-romani direi che la strada è davvero breve.
Le interpretazioni animistiche degli elementi naturali, l’Uccello di Tuono, la Madre Terra, il Sole e la Luna, il Grande Sentiero Bianco della nascita e della morte, per non parlare delle profezie, sono solo alcuni tra i tantissimi esempi che si possono fare attingendo all’immenso corpus mitologico degli Indiani d’America. Tra tutte, mi sembrava interessante riportare la tradizione Lakota della pipa magica, che racconta la storia del famosissimo Calumet, oggetto sacro cui ci si potrebbe tranquillamente ispirare per ideare un artefatto magico da inserire nel prossimo racconto che scriverete. La Sacra Pipa (o “Chanunpa Wakan” o “Calumet”) è lo straordinario emblema di pace e di preghiera degli Indiani dell’America del Nord. È il simbolo più importante del loro profondo senso del sacro, ed è intrisa di significati simbolici importanti, e la leggenda Lakota-Sioux vuole sia stata donata agli uomini dalla grande femmina bianca di un bisonte. Il cannello è in legno d’acero o di frassino, e rappresenta gli uomini e il genere maschile. Può essere decorato con quattro colori: rosso, blu, bianco e giallo. Il fornello, invece, simboleggia la carne viva e il sangue coagulato della Madre Terra, e rappresenta il genere femminile: è scolpito in una pietra particolare di colore rosso mattone, la catlinite.
Il Calumet è quindi simbolo dell’unione tra i molteplici opposti che ci circondano: maschio e femmina, mondo materiale e mondo spirituale, cielo e terra. Unire il fornello al cannello e pregare fumando la Sacra Pipa significa rappresentare simbolicamente l’unione di tutti gli opposti, mostrando come ogni essere e ogni cosa presente sulla Terra abbia una comune origine. Il fumo porta in cielo le preghiere e celebra l’atto di unione tra l’uomo e gli dèi. Il Calumet è ritenuto al pari di un essere vivente, e quando non viene usato le sue parti devono stare rigorosamente separate e conservate bene avvolte in un telo di stoffa rossa.
Non ho certamente esaurito il discorso in questo poche righe: parliamo pur sempre di civiltà dalla storia millenaria. Ma mi premeva darvi un’idea di quando possa essere prolifico, dal punto di vista artistico e letterario, attingere anche al bacino dei miti e delle tradizioni di popolazioni molto distanti, nel tempo e nello spazio, alla nostra. Dungeon Master, scrittori, illustratori, sceneggiatori in (e con) erba, mi rivolgo a voi: le idee ci sono, il resto lasciatelo fare alla vostra fantasia.
– Michele Martinelli –