È difficile parlare di Undertale senza rischiare di passare per dei ruffiani. Ma sappiatelo fin da subito: Toby Fox, il creatore del gioco, non ci ha pagato manco un goldino bucato. Non ce n’è stato bisogno: Undertale è davvero il miglior gioco del 2015. Quando l’ho completato la prima volta, dopo circa 6 ore, ne sono rimasto impressionato. Quando l’ho finito per la seconda volta ero commosso. E so che ad attendermi c’è almeno un altro gameplay, sebbene io non abbia il coraggio di iniziarlo. Il primo punto di forza di Undertale è proprio questo: una narrazione che trascende lo spazio del gioco stesso, comprensibile appieno solo esplorandolo più volte.
Fin da subito il giocatore viene avvisato di non prendere mai niente per scontato: i cliché del genere vengono presi e rimaneggiati da Toby Fox allo scopo di offrire un’esperienza che vada sempre un passo oltre le aspettative. Il protagonista, precipitato in un mondo sotterraneo dominato da mostri di ogni tipo, affronta così la propria fuga Dantesca in un’atmosfera che ondeggia tra comicità surreale e melanconia.
L’umorismo di fondo è quello con cui ha familiarità qualunque appassionato di RPG, qualunque geek, qualunque nerd: strizza l’occhio ad una sottocultura ben definita, la stessa di appartenenza dell’autore. Eppure non è che lo strato più superficiale del gioco. Andando avanti nella narrazione si è incoraggiati ad interagire con l’ambiente circostante, scoprendone via via una profondità fin da subito vagamente intuita. La dinamica non è nuova, ma in Undertale ricopre la funzione fondamentale di mediare un secondo livello di lettura delle cose, tanto importante quanto difficile da mancare: raramente un gioco riesce ad essere così convincente nel suggerire di non tirare dritto a cannone.
Gli elementi fondamentali del genere, comunque, ci sono tutti: dagli scontri casuali agli EXP, dall’equipaggiamento agli Ostelli dove dormire e rigenerarsi. Lo stesso avanzamento si fonda sulla classica dinamica di problem-solving dei puzzle. E nondimeno ogni singolo elemento sovverte se stesso, ogni piccolo dettaglio si rivela essere più di quello che normalmente sarebbe in qualsivoglia esperienza analoga. In questo senso, la stessa libertà di scelta concessa al giocatore è perno fondamentale del gioco. Fin dall’inizio il Virgilio zoomorfo con cui si esplora il tutorial suggerisce (ma non impone) di affrontare le situazioni che si presentano senza violenza. Ogni combattimento può essere affrontato o attraverso il classico scontro fisico, o tramite una meccanica del tutto diversa – basata sulla comprensione del nemico che si ha di fronte e l’utilizzo di una strategia pacifica che porti a concludere lo scontro senza che nessuno si faccia male.
Nella semplicità grafica del 2D si incontrano delle vere e proprie gemme quanto agli artwork dei vari personaggi, (quasi) tutti ben scritti e amalgamati nell’intreccio di trama. Non solo gli NPC, si badi: ogni nemico ha una propria specifica dimensione individuale, che emerge tanto dai dialoghi e dalla rappresentazione grafica quanto dalle meccaniche di combattimento (ché la strategia pacifica non esclude la necessità di difendersi!). Quando servono coordinazione e destrezza, un paio di pixel possono mettere a dura prova chiunque: like the good old days.
Da semplici pupazzi funzionali a grindare punti esperienza, i mostri diventano così veri e propri esseri viventi, molto più tridimensionali dei vari nemici-fotocopia che si incontrano in tanti RPG ad alta definizione. Eliminarli è possibile, certo: è la via obbligata per guadagnare EXP, crescere e diventare più forti. Ma dopo aver intravisto la profondità che sta dietro anche il più misero dei nemici, ogni attacco sferrato diventa un gesto pregno di significato. Superato il meccanicismo del mors-tua-EXP-miei, anche al più spietato dei giocatori sorgerà una domanda: uccidere sarà la scelta giusta? Il dubbio non è peregrino, poiché in Undertale ogni singola scelta ha un enorme impatto sullo sviluppo della storia, e non sempre è evidente a quali risultati esse porteranno. Come nella vita vera, d’altronde: fra mostri sproporzionati e fiori parlanti, il gioco riesce ad essere anche un lucidissimo specchio del reale.
Che vogliate affrontarlo come il più brutale degli assassini, come il più pacifico dei bambini o come una persona qualunque, vi troverete sempre di fronte ad un finale diverso (sebbene le diramazioni dei finali possibili siano tantissime e vadano ben oltre questa tripartizione). Fra i tanti possibili esiti ce n’è uno che è forse il più “completo” di tutti: è quello che mi ha scatenato i lacrimoni, e vi assicuro che se li è meritati.
Il gioco lo trovate su Steam alla meritatissima cifra di 9,99 euro. Poco più sotto trovate, alla stessa cifra, la colonna sonora. Se li merita? Non lo so: so per certo che è un altro dei punti di forza del tutto. Fra i sorrisi che vi verranno strappati (un umorismo che più ci si avvicina al finale più si asciuga), ogni scenario – ogni nemico, ogni boss – ha il proprio specifico mood: unendosi ad una scrittura sempre attenta, la musica contribuisce appieno a trasmetterlo in modo chiaro e potente.
– Luca Pappalardo –
Undertale: la recensione (spoiler free)
Luca Pappalardo