Spesso la vita è crudele, e i migliori se ne vanno troppo presto. Di certo non è questo un luogo comune con cui riferirsi a J.R.R. Tolkien, visto che il professore di Oxford ci ha lasciato alla veneranda età di ottantuno anni. Più che altro, data la sua vastissima produzione letteraria, mi verrebbe da dire che a Tolkien sarebbero occorse almeno un paio di vite per vedere pubblicate tutte le sue opere. Stiamo parlando di uno dei più grandi e importanti scrittori di tutti i tempi – si mettano l’animo in pace gli accademici e i critici – che faceva dell’atto creativo una riflessione approfondita, di cui ci ha pure descritto le modalità e gli intenti in alcuni saggi dalla portata intellettuale e culturale enorme, e i cui scritti hanno veramente a che fare con l’essenza della vita umana, tanto da avere un potere simbolico e immaginifico che poche altre opere dell’umanità hanno raggiunto. Per non parlare, poi, dell’importanza dei suoi studi linguistici, che sono sfociati nella creazione di nuove lingue sviluppatesi di pari passo con il procedere delle sue narrazioni (tematica che abbiamo approfondito con Gianluca Comastri di Eldalië.it). Insomma, Tolkien non era certo un autore che sfornava a tutto spiano libretti dal dubbio valore artistico, con il solo scopo di guadagnare soldi facili e il favore della critica. Anzi, pensava e ripensava a ciò che scriveva senza lasciare nulla al caso, e dando libero sfogo alla sua infinita immaginazione, ed è anche per questo che non tutte le sue creazioni hanno visto la luce prima della sua dipartita. Vediamo insieme brevemente quali sono le opere postume del nostro sommo vate (per correttezza di indagine e per non creare confusione, chiarisco che le date menzionate, salvo dove diversamente specificato, si riferiscono alla prima edizione italiana).
Emblematico, innanzitutto, è il fatto che il professore abbia lavorato praticamente tutta la vita alla sua opera più ambiziosa e complessa, il “Silmarillion”, lasciandola però incompiuta. Il vero e proprio legendarium mitologico su cui si basa l’intera produzione tolkieniana è arrivato a noi nel 1978 (1977 in originale) solo grazie a Christopher Tolkien e al suo lavoro di ricostruzione filologica e di integrazione dei manoscritti lasciati dal padre. Secondo molti estimatori di Tolkien, però, l’apporto di Christopher sarebbe stato frettoloso e arbitrario, tanto da non ritenere l’opera degna di essere inserita nel corpus letterario ufficiale dello scrittore, anche a causa dell’utilizzo di un ghostwriter per il completamento delle parti non terminate. Pari considerazione ha ricevuto il seguente “Racconti incompiuti”, anche se Christopher dimostra qui di aver capito che il vastissimo materiale lasciatogli dal padre non poteva essere trattato con sufficienza né tantomeno contaminato dalla penna di altri scrittori.
La cosa interessante è che solo dopo la pubblicazione de “Il Silmarillion” vengono ritrovati dal figlio altri scritti di Tolkien in versione grezza, e così tutto il materiale da cui sono stati tratti “Il Silmarillion” e “Racconti incompiuti” dal 1983 è confluito nella poco conosciuta “The History of Middle-Earth”, un compendio di dodici volumi, finalmente curato con precisione, corretto tramite il confronto dei materiali, e corredato da note e informazioni – sempre ad opera di Christopher, questa volta encomiabile – che racchiude tutto quanto vorreste sapere sul mondo di Arda e sui suoi eroi. Sembra incredibile, ma nessun editore italiano sembra aver preso in considerazione una pubblicazione di questa opera omnia, eccetto che per i primi due volumi “Racconti ritrovati” (1986) e “Racconti perduti” (1987), che raccolgono i primi racconti propriamente fantasy di Tolkien, scritti con approssimazione tra gli anni ’20 e gli anni ’30 del Novecento. La curiosità, non confermata e che sa molto di leggenda, è che sarebbe stato Christopher stesso a bloccare le pubblicazioni italiane perché disgustato dalle traduzioni a dir poco approssimative delle prime edizioni di questi due volumi iniziali. Vedremo mai in Italia gli altri volumi di questa enciclopedia dell’universo tolkieniano?
Infine, tra le opere pubblicate postume che riguardano la Terra di Mezzo, occupa un certo rilievo la vicenda dell’eroe tragico Turin Turambar e di sua sorella Nienor. Iniziata nel 1918 e mai terminata, la storia è ambientata nella Prima Era, ed era già presente in maniera frammentaria sia ne “Il Silmarillion” che ne “I Racconti incompiuti”, ma è stata finalmente pubblicata nel 2007 in una versione integrale a sé stante e senza interruzioni di commenti, con il titolo “I figli di Hurin”.
Ma, come saprete, Tolkien non ha scritto solo storie ambientate nella Terra di Mezzo. Quelle non propriamente fantasy, in ordine cronologico, sono: “Le lettere di Babbo Natale” del 1980 (1976 in edizione originale), raccolta delle meravigliose lettere che per trent’anni Tolkien ha continuato a scrivere ai propri figli firmandosi Babbo Natale, in un gioco fittizio condito da storie umoristiche ambientate nella regione polare; “Mr. Bliss” del 1984 (1982), storia illustrata ispirata alle disavventure della famiglia Tolkien con la loro prima automobile; e “Roverandom”, scritta nel 1925 e inviata per la pubblicazione nel 1936 (mai avvenuta fino al 1998), la breve vicenda del cane Rover che uno stregone ha tramutato in cagnolino di porcellana, composta per consolare il figlio Michael per la perdita del suo giocattolo preferito.
Vi è poi un’altra serie di opere che con Arda non ha nulla a che vedere, ma che ci dà un’idea complessiva di quali fossero le fonti letterarie e le passioni personali che hanno ispirato il professore per la sua produzione successiva. Sono tutte riletture di grandi classici della tradizione cavalleresca e mitologica dell’Europa: “La leggenda di Sigurd e Gudrùn” del 2009, un poema scritto nello stile delle antiche ballate norrene e ispirato al mito di Sigfrido, corredato da esaustivi commenti e puntuali note da parte di Christopher; “La caduta di Artù” del 2013, poema incompiuto di circa mille versi basato sulle leggende del ciclo arturiano, corredato da tre saggi dell’instancabile figlio; “Beowulf”, 2014, la magistrale traduzione in prosa, con commento, che Tolkien fece del celebre poema epico anglo-sassone negli anni ’20. Questa linea, chiamiamola editoriale, che ha come intento quello di far conoscere ciò che sta alla base della creazione dell’universo fantastico tolkieniano, è confermata ancora di più dall’uscita, avvenuta lo scorso 26 agosto nel Regno Unito, del tanto atteso “Storia di Kullervo”. Questo volume raccoglie i racconti scritti da un giovanissimo Tolkien, studente a Oxford, che formano la vera base per tutte le sue future opere della Terra di Mezzo, forse i suoi componimenti più “veri”, se vogliamo. La fonte è il poema epico finlandese ottocentesco “Kevala”, composto a partire da canti tradizionali e leggende, un crogiolo di personaggi, ambientazioni e linguaggi da cui il giovane John Ronald Reuel trarrà l’ispirazione più grande: non ci resta che aspettarne la pubblicazione italiana.
Infine, menzioniamo due saggi fondamentali, sempre pubblicati postumi. “La realtà in trasparenza” del 1990 (1981), selezione dell’epistolario dello scrittore che offre importantissime informazioni e spiegazioni sulla creazione delle sue opere, oltre ad uno spaccato della sua vita privata e dei personali convincimenti e ideali, e “Il medioevo e il fantastico” del 2000 (1983), raccolta di brillanti conferenze accademiche, tra cui l’imprescindibile “Sulle fiabe”, che pongono le basi dell’intera letteratura fantasy.
Questi miei commenti non sono di certo esaustivi, e pertanto vi invito ad approfondire in separata sede ciò che più vi interessa riguardo la figura di Tolkien e le sue opere. Ma almeno avete qui un accenno di come il suo modo di essere scrittore avesse davvero dei tratti unici, tanto da riuscire ad influenzare tutt’ora il nostro immaginario come conseguenza di un mix unico di competenza e immaginazione. L’immaginazione, sì: perché Tolkien, al di là di tutte le ipotesi, le speculazioni e le sciocche dietrologie, era sopra ogni altra cosa un fine narratore. L’uomo ha innato il bisogno di raccontare sé stesso, e lui non era certo da meno. Ci ha raccontato di un mondo in fin dei conti uguale al nostro: siamo noi lettori a dover capire quanto e come le sue storie hanno davvero a che fare con la nostra vita.
– Michele Martinelli –