DISCLAIMER: Questo articolo non contiene spoiler dai primi tre volumetti italiani di ‘Saga’, se non quelli indispensabili per contestualizzare e che, in definitiva, si possono agevolmente reperire in qualunque presentazione online del prodotto. Se volete restare immuni anche a questi, non proseguite la lettura.
Che diavolo è ‘Saga’? Beh, di sicuro è un fumetto. Americano. Sappiamo poi per certo che il creatore – nonché sceneggiatore – è Brian K. Vaughan (‘Y: the Last Man’, ‘Ex Machina’), mentre ai disegni c’è l’ottima Fiona Staples (‘North 40’, ‘DV8: Gods and Monsters’). Siamo piuttosto sicuri del fatto che la pubblicazione mensile d’Oltreoceano è curata da Image Comics, che siamo ormai arrivati a ventiquattro capitoli e che in Italia il merito di aver importato ‘Saga’ è tutto della Bao Publishing, che ha finora pubblicato i primi diciotto capitoli in tre splendidi volumetti a colori da circa 170 pagine l’uno. Altra piccola sicurezza: ‘Saga’ è un successo. La prima uscita americana, risalente al marzo 2012, ha raccolto il favore della critica e registrato il tutto esaurito, dando inizio ad un fenomeno consacrato dal Premio Hugo nel 2013. Scusate se è poco.
Le certezze, però, terminano qui. E torniamo a chiederci: che diavolo è ‘Saga’?
Le ambizioni – come testimoniato dal titolo altisonante – sono sconfinate, le influenze molteplici. Lo stesso Vaughan, alla prima opera di sua integrale ideazione e creazione, ha detto in più occasioni di avervi infuso tutte le fantasie sviluppate da bambino (frutto della noia delle ore di matematica) e, successivamente, da genitore e adulto. ‘Saga’ è un vero e proprio calderone, dentro al quale Vaughan ha rimescolato abilmente ispirazioni provenienti dall’Universo di ‘Star Wars’ e dai comics della Marvel, suggestioni tratte da ‘Il Signore degli Anelli’ e persino da opere più classiche come la tragedia shakespiriana ‘Romeo e Giuletta’. Fantasy e fantascienza si amalgamano in una produzione a tratti onirica, in cui è difficile capire dove finisca un genere e inizi l’altro. Forse sarebbe più corretto parlare di weird. O forse, come già facciamo per ‘Star Wars’, la cosa migliore è smettere di litigare sulle classificazioni accademiche e goderci quello che scorre sullo schermo – o, in questo caso, tra le pagine.
In un universo che potrebbe essere il nostro in un lontano futuro, oppure no, il pianeta Landfall e la sua luna Wreath sono in guerra da un tempo che sembra infinito. Landfall è popolato da umanoidi alati, armati in maniera molto moderna con fucili, corazze e astronavi da guerra; Wreath è invece abitata da uomini e donne con teste caprine, che ricorrono a spade luminescenti, al teletrasporto e a varie forme di magia per combattere gli odiati nemici. Fin da subito è agevole comprendere dove fantasy e fantascienza si incrocino. Ali e corna, lupi e leoni. Dopo gli iniziali massacri da ambo le parti si è giunti alla conclusione di non piagare i vicini mondi in guerra, ma di spostare la competizione in tutto il resto della Galassia, coinvolgendo nel conflitto i pianeti alleati. Tifare per l’una o l’altra fazione, lo diciamo sin da subito, è difficile, se non impossibile. Entrambe hanno commesso atrocità, entrambe portano il fardello delle proprie colpe. E già si capisce come in ‘Saga’ la distinzione tra bene e male non sia tracciata in maniera manichea, ma si srotoli lungo una scala di grigi, senza campioni del bene e senza creature banalmente e bidimensionalmente malefiche.
In questo quadro tutt’altro che pacifico due giovani hanno fatto un passo che, più o meno volontariamente, potrebbe distruggere gli equilibri consolidati nel corso dei secoli. Lei proveniente da Landfall, lui da Wreath. Ali e corna, planetari e lunari. Si sono conosciuti in un campo di prigionia, lei guardia, lui disertore e prigioniero di guerra. Marko discende da una famiglia di nobili guerrieri, ma è un pacifista e un obiettore di coscienza. Alana è una soldatessa di Landfall decisamente particolare, piuttosto sboccata, ma appassionata di libri. Tra i due, dopo un iniziale confronto, è scoccata la scintilla dell’amore (come per la versione dantesca di Paolo e Francesca, “galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse”) e, contro ogni previsione, anche quella di una nuova vita. La loro diserzione e la loro prole potrebbero dimostrare all’Universo che esiste qualcosa al di là della guerra, ragion per cui sia Wreath che Landfall convergono sull’obiettivo di eliminare il problema e mettono sulle tracce della coppia i più spietati inseguitori di cui dispongono, costringendo Marko e Alana a fuggire di pianeta in pianeta, braccati come animali.
Ci fermiamo qui, per non rivelare troppo della trama, spostando invece la riflessione sull’ambientazione, sullo stile e sui contenuti di ‘Saga’. Si tratta di un fumetto “adulto”, con violenza gratuita e non, una spruzzatina di splatter, una profusione di scene di nudo (sia maschile che femminile) e la giusta dose di sesso (sia omosessuale che eterosessuale) – caratteristica, quest’ultima, che in America non ha mancato di portare la solita vagonata di polemiche e di (auto)censura. Il linguaggio è spesso e volentieri scurrile, fin dalla prima vignetta, che probabilmente lascerà interdetti i lettori, costringendoli a rileggere il balloon più e più volte. Ai momenti elevati e toccanti fanno spesso da contraltare uscite di livello ben più basso, che però non stonano nell’insieme e ci ricordano che la vita non è una favola, ma qualcosa di dannatamente duro e reale, bello e crudele. E questo conferisce un certo grado di “realismo” all’intera opera. Con questa tendenza si scontra un’altra, non meno degna di nota: la continua opera di demolizione della quarta parete, portata avanti a più riprese nell’arco dei capitoli finora pubblicati. Vaughan titilla in continuazione la nostra sospensione d’incredulità, riuscendo miracolosamente nel gioco di prestigio di lasciarla intatta, seppur provata. Battute sui fandom, sugli spoiler, sulla carriera dello scrittore, sui paparazzi e sui telespettatori vengono calate di quando in quando e, con una forte impronta di meta-teatro (se mi passate il termine), spiazzano il lettore introducendo polemiche decisamente esotiche in un’opera di fantascienza che vede opposti satiri e creature alate. Accanto a queste polemiche prettamente artistiche, però, non mancano riflessioni di senso più ampio sulla guerra, sull’amore, sulla famiglia e sulla condizione degli omosessuali.
L’intera opera è pervasa da un gusto per l’osceno, per il brutto, per il gore (in alcune parti, i corpi sforacchiati dai proiettili ricordano il bellissimo manga seinen ‘Eden’ di Hiroki Endo), che si riflette nel design di personaggi primari e secondari, dei mostri e delle creature che popolano questo strambo universo. Le vignette sfuggono a qualunque gabbia preimpostata, passando da una norma di tre per riga a doppie splash page dai colori vividi che regalano la sensazione di immensità del vuoto interstellare. Il tratto della Staples è deciso, realistico, attento, non si formalizza davanti al soggetto da ritrarre (per quanto assurdo, enorme o inverosimile possa essere) e i colori lo esaltano, portando ad un risultato definito “glorioso” dalla critica specializzata. Nulla è nascosto, dal pene deforme del mostro gigante allo squallore di un bordello intergalattico. In questo mondo letteralmente fantastico le astronavi possono essere alberi senzienti; il Gatto Bugia miagola “Lying!” quando sente dire il falso; i robot hanno teste di televisore dal sapore un po’ retrò, con tanto di tubo catodico e corpi umani ma grigiastri, fanno sesso come i dothraki, hanno feudatari e principesse e quando perdono i sensi lasciano scorrere immagini omerotiche sullo schermo. Se l’autore cerca il realismo nelle situazioni narrate, nella costruzione del lore ha volutamente esagerato, rinunciando fin da subito ad ogni credibilità e tratteggiando una Galassia in cui, come – appunto – in un calderone troviamo rimescolata tutta la nostra cultura, dall’Antico Egitto ai rotocalchi che invadono le edicole, dai cacciatori di taglie alle fiabe dei fratelli Grimm.
Questo è forse il maggior paradosso di ‘Saga’, la sua caratteristica e il suo punto di forza: la capacità di miscelare generi, idee, mondi, stili, linguaggi, azione truculenta e umorismo, mantenendo però un’impronta originale e inconfondibile. Non resta che vedere come proseguirà questo assurdo viaggio tra le stelle.
– Stefano Marras –