Un’assoluta novità nel panorama fantasy arriva dalla magia della musica. Per scoprire come questa non sia solo retorica, ci addentreremo nella terra di Arjiam.
Un mondo fantastico, ma non così distante dalla nostra civiltà. Se non fosse che, tra gli Arjim, l’elevazione spirituale si consegue con l’esercizio del bel canto. Una rivoluzione. Non fosse altro perché tutta la guerra di logoramento tra fazioni contrapposte è combattuta in primis dai Magh, sacerdoti della Casa dell’Armonia, che servono con devozione il Suono Sacro col costante allenamento della voce. La musica permette di guarire le ferite del corpo e dell’anima, e l’uso sapiente dell’Armonia rende i Magh dell’Ordine dell’Uroburo assai potenti, perché in grado di entrare in comunione con l’essenza delle cose.
Essenza che sta tutta in un suono primordiale perso nella leggenda, il suono gutturale del primo canto del Grande Re, primo contatto dell’uomo con il Suono Sacro.
Si sa che poi è dall’accecamento del potere che scaturiscono i deliri di onnipotenza degli antagonisti. Ed ecco spiegata la lucida follia di Mazdraan, un fantasydandy, l’Henry Wotton dei Magh dalla veste gialla, sedotto e corrotto dal culto di se stesso e del piacere, senza mai tentennamenti nei suoi propositi e quasi mai nell’azione tattica e bellica, che darà filo da torcere ai nostri Fahryon, neofita dell’Ordine, Uszrany, Cavaliere dell’Ordine del Grifo, e Tyrnahan, Magh anziano del conclave.
Novembre che sembra vuoto come la stagnola di un cioccolatino, profumato d’un contenuto che c’è stato, e sembra trascinare l’ultimissimo lembo dell’estate nei primi rigori e nei fumi del vino e delle castagne.
Novembre e le sue piogge, sono il tempo e l’atmosfera di questo romanzo, che soffia nei giorni scoloriti tra l’equinozio d’autunno, l’Altuhzar, ed il solstizio d’inverno. l’Alwihzar, la Notte più lunga, una teoria di immagini colorate, prepotenti sulla tela come un pop-up di cartone.
Si passa poi per la Notte degli spiriti, il Risveglio del mondo ed il solstizio d’estate nel succedersi di immagini concrete, proiezioni mentali, luoghi incantevoli e bui anfratti dell’animo: Arjiam è una terra invitante e ben disegnata, anche se ancora da esplorare, da nutrire e popolare di concretezze e connessioni. Attraverso questi momenti la narrazione acquista circolarità, ruotando letteralmente attorno alla musica, il Suono Sacro, che non è stato mai emesso ma che è.
Quello che però disturba, in un intreccio sviluppato attorno al perno della musica, è la carenza di ritmo narrativo. L’amore, la morte, la battaglia, si appiattiscono sul plot, slabbrati dal ruolo preponderante della filosofia che permea la storia, che è ben riassunta nella simbologia dell’Uroburo: la congiunzione degli opposti per raggiungere l’equilibrio, l’eterno divenire dell’uguale nella costante identità dell’essere. Tuttavia, la Lojarro riesce nel delicato compito di intessere la sua avventura di un sistema filosofico vero e proprio, che traluce in ogni punto della trama. La metafisica dell’eterno ritorno, o il prezioso affresco che l’autrice fa della Scelta, come motore degli eventi, momento decisivo in grado di stravolgere le visioni avute in precedenza dai Magh e conferire loro un nuovo significato.
Tutta la storia ne guadagna in profondità, perché la meta di Fahryon & co. è spesso più indistinta del viaggio da compiere, e leggendo ci sentiamo spiazzati dal precipitare degli eventi in una direzione inaspettata, che può essere la migliore possibile. Daniela Lojarro gioca d’inganni ottici, mentre i suoi personaggi evolvono e proseguono nella ricerca. Se in prima battuta siamo assaliti dai deja-vu de Il Trono di Spade, la vicenda si sveste rapidamente delle ingenuità iniziali, impennando verso un nuovo universo. Ricco, accattivante, mai banale, nemmeno nel ricorso parossistico ai simbolismi. Come il tema principale di un’ aria di melodramma, che torna su se stesso sempre più convinto, fino ad esplodere nella sua pienezza.
Una storia di verità semplici e amare, ma nascoste, da disvelare. Per sorprendere il destino e smascherarlo.
In un mondo di ingiustizie e soprusi, permeato dal necessario equilibrio di bene e male e dove dunque, ça va sans dire, il Bene non può né deve prevalere, la scelta del singolo ha ancora il potere di cambiare il futuro e redimere il passato. I protagonisti non sono senza colpa, sono eroi miserabili, che sono scesi a compromessi. Per necessità o per leggerezza, non importa. Ciò che li eleva è proprio l’accettazione degli errori che hanno commesso, per quanto madornali. Sulle rovine del passato si può ancora tentare di costruire qualcosa di meglio.
Compiendo un Viaggio di Conoscenza, mettendo il Male al servizio del Bene, congiungendo Malia e Armonia nella Sintonia. Perché: “Nulla è solo ciò che sembra“.
–Maria Lorena Di Somma–