Avete giocato al poetico titolo di Starbreeze Studio? No? Male, malissimo! Venite a scoprire una perla più che rara!
Si può definire arte un videogioco? Quando è che un’accozzaglia di stringhe di codice, poligoni, texture e quant’altro raggiunge un tale livello di immanente perfezione formale, da poter essere paragonata ad un’opera del calibro di un dipinto rinascimentale, o di un masterpiece cinematografico? Insomma, “la grande bellezza”, visto che ultimamente non si parla d’altro (a proposito, volevo ringraziare Quentin Tarantino, Batman, Maurizio Mosca ed il barista che mi ha venduto il mio primo Winner Taco), vale anche per un’esperienza bidimensionale con mouse, tastiera o controller? Lo so, lo so, è uscito l’Oculus Rift, e tutti si smazzano a postare video di Skyrim o Zelda in prima persona…noi preferiamo restare sul classico, sul buon vecchio schermo in 2D.
Brothers – A Tale of Two Sons è un dannato capolavoro. Per chi, nei mesi scorsi, ha avuto la fortuna di acquistarlo in formato digitale (non esiste fisicamente su disco), o è talmente piazzato col culo davanti alla console e il suo sport preferito consiste nel sollevamento joystick, da usufruire di un abbonamento vitalizio al Playstation Plus, potendolo così scaricare e giocare nel corso di questo mese, porgo i miei rispetti. Per tutti gli altri, la sventura si abbatta su di voi! Ma andiamo con ordine.
Strano a dirlo, in Brothers impersonerete, colponazzo di scena, due anonimi fratelli, il maggiore, di blu vestito e il minore, abbigliato nei toni più autunnali del marrone e del giallo. I due, che controllerete in contemporanea sullo stesso pad, gestendo i due analogici per il movimento e i trigger per le interazioni con l’ambiente, partiranno per una missione disperata: salvare il loro povero padre, ammalatosi in apertura di gioco e in pericolo di vita. L’unica cosa che può salvarlo è l’acqua purificante di un miracoloso albero della vita, meta finale del loro viaggio ed unica speranza rimasta per scongiurare il dramma.
Nelle scarse quattro ore successive, vi troverete a vivere ciò che non ho paura di definire come un vero e proprio quadro interattivo, un gigantesco dipinto acquerellato, che il più delle volte vi lascerà a bocca aperta per la bellezza dei suoi scenari. Non a caso, gli sviluppatori hanno piazzato, qua e là, delle panchine, su cui riposarvi per ammirare con calma il panorama.
In puro stile Limbo, trial-and-error, il gioco vi spingerà a risolvere gli enigmi e le sessioni platform che vi si pareranno davanti sfruttando le peculiarità fisiche dei due ragazzi: se soltanto il maggiore sarà capace di azionare una leva con più forza, azione impossibile per il minuto fratellino, quest’ultimo sarà però in grado di sgusciare tra le sbarre di un cancello o saltare su un’altura e calare verso il basso una corda per permettere al suo compagno di avventura di raggiungerlo e proseguire insieme il viaggio. A dirla tutta, i livelli di difficoltà e le morti di Limbo sono lontani anni luce: in Brothers è raro che subentri il gameover e, quando succederà, vista la natura guidata e semplificata del titolo, basterà ragionare un paio di secondi per capire quale leva tirare/ingranaggio spostare/come dondolarsi appesi a una corda. È impossibile che vi diventi frustrante, ma non perché sia troppo facile e un giochino per bambini, anzi…Brothers è stato volutamente realizzato così.
I punti di forza della meraviglia targata Starbreeze Studio, anche se sembra il nome di un deodorante per le ascelle al mentolo, sono altri, e tutti da far venire le lacrime agli occhi. Letteralmente. Stiamo parlando di un vero e proprio viaggio, capace di coinvolgervi come pochi altri titoli in vita vostra. Tra lupi, fabbriche steampunk e traghettate in mari gelati, attraversando vallate irradiate dal sole, gole battute dal vento più tagliente, villaggi desolati, cimiteri, cime innevate, castelli e campi di battaglia dove i corpi dei giganti giacciono inerti, Brothers crea un’immersività ed un legame a doppio filo con i suoi protagonisti, un’empatia capace, in certi punti, di picchi narrativi tali da smuovervi dentro, stringervi forte allo stomaco e farvi pensare “cazzarola…” più e più volte. Combatterete con carcerieri orchi, salverete cuccioli di grifone feriti, avrete bestie invisibili simili a draghi che vi daranno la caccia, costringendovi a fuggire trafelati, senza mai voltarvi indietro. Il tramonto di un’altura o l’aurora boreale che filtra attraverso le cime innevate di una collina saranno ciò che allieterà i vostri occhi, mentre, commossi ma appagati da una colonna sonora dolce, malinconica ma di tutto rispetto vorrete, con il cuore in mano, sempre più, portare a compimento il destino dei due protagonisti.
Quindi sì, tornando al quesito iniziale, Brothers è davvero un’opera d’arte in senso stretto: non riscontravo questa “sospensione magica” dai tempi di Shadow of the Colossus. Guarda caso, per fare un parallelismo, anche all’epoca, in quello considerato il canto del cigno della Playstation 2, si trattava di una lotta disperata contro il tempo, per salvare una persona amata. In un arido panorama videoludico come quello attuale, saturato dai soliti bimbominkieschi FPS senz’anima, che si ripetono ogni stramaledetto anno, cambiando solo un numeretto, non posso che consigliarvi fortemente di acquistarlo. Via Steam, XBLA, o Playstation Store non importa: giocatelo, perché merita davvero: lascerà una traccia profonda e indelebile nel vostro animo di videogiocatore navigato…e non solo.
– Mario Venezia –