Quando ti avvicini per la prima volta alla prospettiva di avere tra le zampe il gioco da tavolo di Dark Souls, da qualche parte nel subconscio sai già come andrà a finire. Sei ragionevolmente entusiasta, e sogni di affrontare gli avversari che ti hanno fatto perdere quell’unico posto in paradiso che sognavi di raggiungere alla fine di tutto – ma si sa, i sogni sono per i vivi.
E tu, se hai deciso di intraprendere la strada che porta a Lordran, sei morto.
Dark Souls – The Board Game si presenta con la formula piuttosto classica e ovvia del Dungeon Crawler, dove da 1 a 4 giocatori si ritrovano a unire le forze per affrontare le sfide che gli vengono poste davanti. Alla base di tutte le meccaniche c’è l’esplorazione di aree più o meno infestate di mostri e trappole, allo scopo di raccogliere il loot e avanzare nelle stanze successive, ripetendo tale processo fino al raggiungimento del luogo dove si trova il boss di turno, la cui sconfitta determina l’effettivo successo o il fallimento della partita. Fin qui nulla di complesso da capire o di lontano dal popolare Mice and Mystics (cui vi consiglio assolutamente di dare un’occhiata).
I “problemi” iniziano nel preciso istante in cui si apre la scatola, dove a darci il buongiorno troviamo immediatamente un invitante indicazione su come si svolgerà buona parte del gioco (che vedete nell’immagine qua sotto), tanto per mettere in chiaro chi comanda.
Ciò che infatti deve risultare chiaro a tutti quanti è che questo gioco, esattamente come il videogame da cui è tratto, non punta nemmeno per un istante a essere divertente, nel senso stretto del termine. La sadica soddisfazione che si ha nel superare quell’area che tanto ci ha fatto penare, tra lacrime, reflusso gastrico e pessima gestione della rabbia, non rientra nella definizione di divertimento.
Se state cercando un boardgame che riproponga fedelmente la sensazione di panico e pericolo che solo il capostipite di tutti i Soulslike può trasmettere, siete di fronte al prodotto giusto.
Se siete invece alla ricerca di un gioco da tavolo ispirato a Dark Souls che possa offrirvi una piacevole serata di giubilo, avete sbagliato alla base.
Così come abbiamo sbagliato noi 4 stolti che abbiamo deciso di lanciarci in una partita.
Paura vera si diffonde tra i miei valorosi compagni di avventura quando, superate le prime risatine nervose di fronte alle bellissime e temibili miniature dei mostri che replicano perfettamente i nemici del gioco, ci apprestiamo inconsapevoli ad affrontare la componentistica: dadi, segnalini, dialer, cubetti, schede, carte di ogni genere, forma e dimensione e, ultimo ma non ultimo, un regolamento di 40 pagine (tutto in inglese) fitte fitte di concetti si dipanano davanti ai nostri occhi che sì, di sfide simili ne hanno già avute e ne avranno, ma forse anche no.
Ed è infatti col regolamento in mano che passiamo le prime due ore di questa nostra primissima e prevedibilmente massacrante esperienza col gioco. Se ve lo state chiedendo, col senno di poi vi dico che no, le meccaniche proposte da questo titolo non sono affatto complesse come ci si può aspettare da un’offerta di materiale tanto generosa. Tutt’altro: una volta appresi i fondamenti, il resto viene da sé con abbastanza naturalezza, e anche le azioni che possono sembrare più ostiche da ricordare diventano parte di un processo automatico. La cosa che davvero ci ha lasciati tutti senza parole è la ingiustificata, evitabilissima, esorbitante pienezza della superficie di gioco di qualsiasi cosa possa invaderla e renderla difficilmente leggibile. La sensazione più diffusa diviene quindi quella dello smarrimento. Il quantitativo di concetti, simboli e icone da digerire, specialmente nelle prime fasi di gioco e perfino durante il set-up iniziale, ci ha letteralmente spiazzati, rendendo l’intera prima esperienza decisamente poco intuitiva, lenta, sebbene misteriosamente promettente. Si naviga a vista, ed è necessaria almeno un’intera sessione di gioco con il paziente ausilio del regolamento per potersi destreggiare tra termini come Aggro, Push, Nodes e quant’altro.
Materiali bellissimi, quindi, ma che ci fanno pensare che i designer di questo gioco non siano dei giocatori. Moltissime cose potevano essere risolte semplicemente con l’ausilio di carta e matita, ma ci rendiamo conto che un prodotto da 80 sterline deve moralmente contenere componentistica adeguata.
La cosa che ci premeva tuttavia constatare, al di là di quanto detto, è ovviamente quella che tutti quanti in realtà in fondo in fondo tengono a sperimentare quando si avvicinano a quello che viene definito uno dei giochi da tavolo più mortali del panorama ludico: la difficoltà.
Quello che possiamo dirvi noi dell’Isola, dopo 4 sessioni giocate nell’ultima settimana, è che questo Dark Souls è all’unanimità l’esperienza più snervante, frustrante e punitiva che ci sia mai capitata di affrontare seduti attorno a un tavolo (senza considerare la cena di natale con gli zii che fanno battute sulla fidanzatina). Tanto da non concederci la possibilità di vincere nemmeno una stramaledettissima volta.
E se non bastasse a spaventarvi, ci teniamo a precisare una cosa: in una partita normale (quindi senza sfruttare la modalità Campagna), Dark Souls propone uno scenario con mostri casuali, un mini-boss da affrontare dopo alcune stanze da ripulire, e una seconda parte in cui il tutto culmina con il combattimento contro il Boss vero e proprio. Ecco, con un po’ di vergogna vi confessiamo che noi non siamo mai riusciti a battere il primo mini-boss. Nemmeno una volta. E 3 volte su 4 non ci siamo neppure avvicinati a tale prospettiva.
Ma da cosa dipende questa estrema mortalità? Problemi di bilanciamento? Sfortuna coi dadi? Siamo noi ad essere scarsi? Un po’ tutto quanto assieme.
Sarà per il fatto che basta la morte di un singolo membro del party per raggiungere il game over. Sarà perché anche il più imbecille dei mostri equipaggiati di ascia spezzata è in grado di ucciderti con un paio di attacchi. Sarà perché la volatilità delle certezze date dai dadi, in un gioco in cui vanno resi efficienti al massimo i propri sforzi, è deleteria. Sarà anche perché, semplicemente, si tratta di un gioco in cui le risorse vanno centellinate al dettaglio, quasi maniacalmente, e nulla o quasi può essere lasciato al caso. Non si può entrare in una stanza senza aver ben chiaro che cosa dovrà fare il proprio personaggio nelle successive 2 o 3 mosse, a meno che non si voglia morire nel giro di pochi secondi. È infatti vitale che prima di affrontare un nuovo combattimento, ogni giocatore partecipi alla strategia da affrontare, poiché anche una singola mossa, un movimento, o una scelta non considerata, o addirittura sbagliata, possono fare decisamente la differenza tra la vittoria e il pannello You Died. Se vogliamo trovare un lato positivo in questa vallata di dolore, è che la rigiocabilità è assicurata, specialmente se siete dei sadici psicopatici, come tutti i giocatori di qualsiasi Soulslike che si rispetti.
Una recensione non può tuttavia realmente trasmettere ciò che si prova di fronte a una nuova stanza, o durante l’estrazione del loot, o ad affrontare il Winged Knight con in sottofondo la colonna sonora originale del gioco. Non è divertimento. Non è intrattenimento. È Dark Souls.
Per il momento, il vostro sfigatissimo party di autolesionisti si prende una pausa di 24 ore, prima di tornare a Lordran.
Prima di affrontare Dark Souls – The Board Game, non avremmo mai pensato che un sistema di gioco (complice anche la nostra conclamata sfiga col lancio dei dadi) potesse sopraffare la mente umana di 4 individui, prima amici, e ora sull’orlo di una crisi di nervi. Avrete nostre notizie. Forse.
–Alessandro Fresta–
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