Come anticipato qualche giorno fa, i vostri naufraghi preferiti si sono recati nelle lande romane del Guido Reni District, alla ricerca di spiagge assolate e rive accoglienti in quel del Let’s Play, il festival del videogioco che vede come motore motivante, tra postazioni di gioco, hostess Nintendo e stand accoglienti, un’attenzione tutta nuova per l’industria di settore.
Ed è con tutto l’entusiasmo del caso che, abbandonato il nostro ormai affondato natante ai flutti delle ingrate strade di Roma, superata un’iniziale serie di sfortunati eventi che sembrava volerci precludere l’accesso alle zone “non free” dell’evento, facciamo trionfale ingresso nei padiglioni.
Dal momento che sia io che il mio accompagnatore facciamo parte del 20% di giocatori ultratrentenni d’Italia, non potevamo certo esimerci dal dedicare le nostre energie iniziali al fornitissimo e nostalgicissimo settore dedicato al Retrogaming, curato dai ragazzi di Gamescollection.it. Magia: in nessun altro modo potremmo definire la sensazione provata quando, appena entrati, ci siamo ritrovati seduti senza nemmeno accorgercene davanti a un Sega Mega Drive a caso, per poi fluttuare eterei verso un Amiga e un Sega Saturn, e infine veleggiare in direzione ostinata e contraria atterrando davanti a una forse meno antica, ma comunque non meno leggendaria PlayStation. Aver modo di ammirare quella (immensa) selezione di controller di tutte le forme e colori, ragionare sul come potevamo vivere bene anche senza touchpad, sensori di movimento, e condivisioni su social, trovarsi a parlare con un perfetto sconosciuto di questo o quel livello di Ghost ‘n Goblins, e sentirsi amici, compagni, fratelli nonostante le botte che gli rifiliamo a Street Fighter, nonostante l’un dell’altro ce ne freghi il giusto, nonostante lui giochi a FIFA e io a PES… se non è magia questa!
Con qualche remora di troppo decidiamo di spostarci verso un padiglione che avevamo puntato sin dalla nostra anteprima di qualche giorno fa, quello dedicato agli Indie Games. Lì abbiamo modo di scambiare piacevoli opinioni con dei ragazzi a dir poco entusiasti del lavoro che fanno, e a ragion veduta. Abbiamo provato vari titoli realizzati dai team italiani, tra i quali vogliamo citare l’interessantissimo Fall of Light, che unisce a un design accattivante (ormai un must per i prodotti indipendenti che vogliono distinguersi) alcune delle meccaniche che abbiamo avuto modo di sperimentare solamente in titoli come Ico, dove risulta importantissimo e bellissimo preservare la vita di qualcuno che non solo ci è caro, ma è essenziale per la buona riuscita della trama di gioco: in un mondo in cui il male ha avuto la meglio sul bene e l’oscurità domina incontrastata, un padre affronterà le tenebre armato di spada e scudo per accompagnare l’unica fonte di luce rimasta, prendendola letteralmente per mano. Un titolo che vi consigliamo di tenere d’occhio.
Citiamo anche l’interessante Red Rope, titolo disponibile su Steam in lingua inglese, che con pochi elementi e un’ambientazione minimale ma resa magistralmente, ci racconta quel che solo un libro di filosofia potrebbe. I due protagonisti sono uniti da una corda che rappresenta il loro legame, un’alleanza, un patto, una sinergia, ma anche una restrizione, una promessa, un limite alla loro libertà. Senza la corda, non potrebbero sopravvivere nel labirinto pieno di pericoli e presenze in cui si muovono. Noi lo abbiamo trovato adorabile.
Decidiamo di dedicarci una pausa pranzo per riflettere sul carico di feels appena incassato, per poi abbandonare qualsiasi velleità di professionalità nel gremito settore dedicato a Nintendo, virando ovviamente su Switch.
Veniamo accolti da una squadra di simpaticissime, sorridentissime, competitivissime hostess pronte a umiliarci di fronte ai (pochi per ora) titoli disponibili per la neonata della casa nipponica. A conti fatti, prendiamo schiaffi ovunque ci sia modo di prenderne, finché non ci sediamo al più pacifico angolo riservato al solo e unico reale pezzo da novanta che Switch possa offrirci al momento. Stiamo parlando di The Legend of Zelda: Breath of the Wild, il tanto osannato, ennesimo capitolo di una delle saghe più longeve e apprezzate della storia. A tal proposito posso dire che le prestazioni di questo Zelda, almeno a mio avviso, mostrano i muscoli soprattutto sul piccolo schermo, piuttosto che sulla tv di casa, ma per quanto visto finora ho l’impressione che sarà un po’ il chiodo fisso di tutte le discussioni a tema Switch.
Giusto il tempo di perderci per le quattro vie del Guido Reni District che, senza averlo previsto, ci ritroviamo, oltre che ricoperti di gadget e volantini Microsoft/Nintendo/Sony, all’interno di uno sterminato padiglione ricolmo di fauna locale e, ovviamente, postazioni di gioco. Tra le ovvie presenze di Horizon, Titanfall 2, FIFA 17 e Ghost Recon, spicca la presenza di un titolo che abbiamo avuto modo di provare con non pochi gongolii di approvazione, Little Nightmares, in uscita il 28 aprile venturo. Trattasi di un puzzle/platform dai toni tetri sviluppato da Tarsier Studios, che richiama in qualche modo lo stile di Tim Burton (e affini), e che sfoggia il motore Unreal Engine 4 allo scopo di rendere vivo e assolutamente inquietante ciò che si vede su schermo. Nemmeno a dirlo, come per Fall of Light e Red Rope, vi consigliamo caldamente di darci un paio di occhiate.
Non sono mancati, poi, convegni, (esose) zone relax, e un intero padiglione dedicato al lavoro di creatore di videogiochi, in cui è stato possibile ammirare dei veri professionisti all’opera, scoprire vieppiù cosa c’è dietro un codice, un modello poligonale, una semplice texture: una storia. Un’emozione. Una magia.
Perché in fondo, che cosa sarebbe la vita di un videogiocatore, senza la voglia di credere che, dopotutto, quello che si muove sullo schermo, sia esso un Full HD a 1080p o un tubo catodico del ’91, non sia anche un po’ una magia?
–Alessandro Fresta–