Amici, oggi parliamo di Annientamento, il primo volume di una trilogia ambientata in una non meglio identificata Area X, un territorio di transizione che ospita diversi ecosistemi integrati tra loro, dalla foresta alla palude e dalla palude alla spiaggia. Varcato il confine, non si sa di più su quest’area se non che un evento catastrofico di qualche tipo ha scombussolato le cose, tanto che ora a partire dalle piante e dagli animali niente è più ciò che sembra, in particolare una stranissima torre che pare apparsa dal nulla e non è segnata sulle mappe. Il racconto di questo primo volume è il resoconto di una delle quattro esploratrici della dodicesima spedizione, inviata da un’agenzia governativa a fare luce sui misteri dell’area e sulla strana fine dei membri dell’undicesima. Le premesse per l’avventura a caccia dell’ignoto sono dunque semplici, come semplice è l’equipaggiamento che le quattro esploratrici portano con sé. Per qualche motivo (il romanzo è ambientato nel presente) all’interno dell’Area X non sono ammessi computer né altri strumenti digitali. Tutto quello che le inviate scopriranno dovrà essere riportato su un diario. La risorsa fondamentale delle protagoniste è dunque la propria scrittura.
Ma davvero al governo basta un racconto scritto per sondare un mistero insondabile? E cosa è successo alla popolazione indigena dell’area? E alle spedizioni precedenti? E soprattutto: perché la torre che domina l’intera Area X non è riportata sulle mappe?
Ciò che può sembrare spoiler, sono solo alcune delle domande che il lettore si pone sin dalle prime pagine. Sì, perché il racconto della protagonista, o meglio i fatti e la realtà che lei trascrive sul suo diario (e che noi leggiamo) pare facciano acqua da tutte le parti. Un mistero sembra condurre a un altro mistero, e alla protagonista non resta che provare a svelarlo sfidando pericoli sempre più grandi, mentre noi lettori non possiamo fare a meno di continuare a leggere. Di più non dico sulla trama, sappiate solo che arrivati alla fine (se come me siete lettori amanti del mistero ammantato di ulteriore mistero) non vedrete l’ora di cominciare il secondo volume, per il quale, tra l’altro, ci sarà da attendere fino a giugno (e poi settembre per il terzo e ultimo).
Il racconto è nato dalla penna di Jeff Vandermeer (Pennsylvania, classe 1968), scrittore, editore e vincitore di diversi premi letterari. C’è voluto un po’, ma finalmente qualcuno, la Einaudi nel nostro caso, si è deciso a farlo sbarcare anche in Italia con questa trilogia, che è solo una parte della sua prolifica produzione new weird, l’etichetta del sottogenere fantastico-straniante da lui stesso coniata. In verità non sono il tipo di persona che ama dare un nome ai sottogeneri letterari per poi scannarsi sui forum di mezzo Internet sull’appartenenza o meno di un prodotto a quel sottogenere. In sostanza, comunque, per new weird si intende quel filone a la Lovecraft: misteri che mettono alla prova la sanità mentale del protagonista e (si spera) del lettore. È, insomma, la narrativa che punta su quel sentimento che ti fa continuare a vedere le ultime due stagioni di Lost anche se già arrivati alla quarta poteva bastare, quella che ti mette davanti a un “misterone” che vuoi-vedere-come-va-a-finire anche se ci sono cose inspiegabili che accadono di continuo. Per alcuni lettori (me compreso), ciò genera dipendenza.
Non è questo il primo libro new weird che viene tradotto in Italia: vi cito solo Un anno nella città lineare di Paul Di Filippo e l’ormai introvabilissima serie de I draghi del ferro e del fuoco di Michael Swanwick (anche se chiaramente tira un po’ più verso il fantasy).
Personalmente trovo che più sono fatte bene, e più queste narrazioni alla scoperta del “misterone” equivalgano a una profonda seduta psicoanalitica. Certo, anche un ispettore di polizia si trova di fronte a un mistero quando dà la caccia a un assassino. Ma volete mettere il tentare di svelare un mistero che tutti gli (scarsissimi) indizi a disposizione danno per qualcosa che come minimo appartiene a un altro piano dell’esistente? Di fronte a queste narrazioni la mente del lettore si apre, e lo scrittore è liberissimo di entrare, prendersi il suo tempo, mettere i piedi sulla scrivania, non tirare lo sciacquone: insomma è libero di fare il cavolo che gli pare, purché sappia guidarci nella caccia alla divinità dormiente degli abissi o, nel caso di Annientamento, fino all’ultimo recesso della misteriosa torre dell’Area X.
Insomma, confesso di essere stato rapito di brutto da questo romanzo come non mi accadeva da tempo. Il fatto, poi, che sia stato pubblicato nei Supercoralli, la collana di punta della Einaudi, è una ulteriore conferma di quanto Vandermeer sia uno scrittore di qualità. La casa editrice dello struzzo lo ha messo simbolicamente sulla stessa mensola di autori consacrati come Jonathan Franzen, Haruki Murakami e Philip Roth. Per alcuni questa scelta potrebbe essere a sua volta un mistero, trattandosi di un autore che in fondo ha dato il nome alla sua stessa nicchia letteraria. Credo, però, che le duecento agili pagine di Annientamento almeno questo mistero lo risolvano del tutto. L’Area X appare come uno spazio ricco di vita ma ingannatore, vittima di una continua e diabolica metamorfosi al cui contagio pare impossibile sfuggire (“come in una distorta eco Ovidiana”, direi in critichese aulico). Per sollevarne il velo Vandermeer fa balenare al lettore una molteplicità di approcci possibili, tutti in qualche modo fallaci, che si rispecchiano nelle diverse specializzazioni dei membri della spedizione: una psicologa, una topografa, un’antropologa, una biologa e una glottologa (che però rinuncia alla missione prima di partire… chi ha ancora fiducia nelle scienze umanistiche?). Cinque personaggi che impersonano cinque possibili modi di indagare il mondo, e di conseguenza cinque possibili diverse storie attorno allo stesso mistero. Vandermeer sceglie il punto di vista della biologa, l’indagine scientifica puntuale, dotta e materiale per indagare qualcosa che di razionale ha ben poco. L’approccio scientifico traspare anche dall’ottima caratterizzazione della voce della protagonista, in grado di riconoscere il nome preciso della flora e della fauna senza approssimazioni. Tra i mostri del presente e i fantasmi del passato che si troverà ad affrontare, Vandermeer predispone sul percorso della protagonista una serie di trappole genuinamente scientifiche come il condizionamento mentale e il cognitivismo post-razionalista.
In conclusione se naufragate continuamente sui lidi del fantastico penso che questo libro possa davvero piacervi, in particolare se avete costruito la vostra zattera con i libri di Kafka, Stevenson, Lovecraft e (il meglio di) Stephen King. Un autore tradotto per la prima volta in Italia di cui sentiremo parlare, anche perché è in cantiere la versione cinematografica dell’intera trilogia dell’Area X.
Ah, prima di concludere: se oltre che dei romanzi del fantastico e dello straniante siete anche amanti delle loro copertine, vi consiglio la video intervista a Lorenzo Ceccotti, l’illustratore delle copertine dell’edizione italiana (raggiungibile qui).
– La recensione è a cura di Angelantonio Citro –
“Annientamento” di Jeff Vandermeer – Recensione
Isola Illyon
- Crea dipendenza dalla prima all’ultima pagina;
- Perfetto per gli amanti di Lovecraft e dei racconti dell’orrore cosmico;
- La voce della protagonista appare frutto di un’attenta documentazione dell’autore che ne conferisce concretezza;
- Bisognerà aspettare tre mesi per leggere il seguito;