Quale modo migliore per festeggiare i dieci anni di Half-Life 2, il mitico capolavoro di Valve, se non con l’irraggiungibile torta di Portal? Parlando di Half-Life 2 è facile, d’altronde, imbattersi più volte nella parola “irraggiungibile”: irraggiungibile come l’Episode 3 o come Half-Life 3, a lungo aspettati dai fan della saga, inutilmente. Oppure irraggiungibile come il G-man, il misterioso uomo con la valigetta, di cui non sapremo mai nulla, che ci sveglia all’inizio del gioco per darci il benvenuto nella grigia e decadente City 17, la città-prigione di un mondo distopico dove i cittadini sono oppressi e tenuti sempre sotto controllo dai Combine, dei post-umani in parte alieni, in parte macchine, in un clima paranoico di soffocante timore. Proprio un drone-spia, con il flash della sua fotocamera, ci sveglierà definitivamente per farci piombare nell’incubo.
Ma irraggiungibile è soprattutto l’aggettivo che più di tutti riesce a descrivere ciò che Half-Life 2 è: un gioco che ha segnato un prima e un dopo nel campo videoludico, cambiando per sempre il modo di concepire l’intrattenimento elettronico e il modo di fare videogame. Il fatto che nel 2012, quindi solo due anni fa, durante gli Spike Video Games Awards, abbia ottenuto il riconoscimento di “Gioco del decennio” la dice lunga su quanto sia stato, e lo sia tutt’ora, uno dei titoli più amati e importanti di sempre, senza tenere conto degli oltre 35 premi come “gioco dell’anno” accumulati in tutto questo tempo.
Tutto questo tempo… Sì, perché può non sembrare, ma dieci anni sono davvero un sacco di tempo. Il 16 novembre 2004, giorno dell’uscita ufficiale del gioco, ci dilettavamo ancora con le nostre PlayStation 2 e avremmo dovuto aspettare ancora esattamente due anni per vedere le prime PlayStation 3 nei negozi. Era l’anno del primo Sacred, di Rome: Total War (il primo, ovviamente), di Fable e di Halo 2. Da allora sono passate due generazioni di console (dalla sesta all’ottava) e tanta, tanta acqua sotto i ponti. Ma effettivamente, reinstallando Half-Life 2 sui nostri PC, potrebbe sembrarci che il tempo non sia mai passato. Molti titoli, anche più recenti, oggi appaiono talmente vecchi, sia nelle meccaniche che nella grafica, da risultare del tutto ingiocabili, ma non Half-Life 2, che rimane ancora oggi una gioia per gli occhi, merito soprattutto di un motore grafico come il Source Engine, capace di veri e propri miracoli, talmente versatile da essere utilizzato ancora in giochi recenti come Portal 2 (2011) e, adattato ad un gioco di strategia, Dota 2 (2012), con risultati eccezionali.
Ma ritorniamo alle caratteristiche del gioco per quei pochi che non lo conoscono, magari perché sono rimasti intrappolati in un vortice spaziotemporale negli ultimi dieci anni. Il gioco si presenta come un classico sparatutto della vecchia scuola, con un gran numero di armi da portarci dietro (alla faccia della capienza di qualsiasi zainetto) e con vita e scudi che si ricaricano unicamente trovando specifici item lungo la strada (dimenticatevi quindi l’armatura che si rigenera “alla Halo”, per intenderci). In fondo, tra i capostipiti di questo genere, insieme a Doom e Quake, c’è proprio il primo Half-Life, già grande successo di Valve del 1998. Ma la storia del primo capitolo dà semplicemente il La alle straordinarie vicende del seguito. Ci muoveremo, nei panni (o forse dovrei dire nella tuta HEV) del dottor Freeman, in un’ambientazione fantascientifica di ampio respiro, che prende spunto dalla grande letteratura distopica europea del Novecento. Infatti, aggirandoci per le strade desolate e decadenti di City 17, ci sembrerà di trovarci nella Londra descritta nelle pagine di 1984 di Orwell e le immense macchine semiorganiche utilizzate dai Combine non possono non riportarci alla mente i tripodi marziani de “La guerra dei mondi” di Wells. Questo background fantascientifico e letterario fa da sfondo e arricchisce un’ambientazione credibile e dettagliatissima, che manterrà sempre alto il nostro senso di meraviglia nello scoprire qualcosa di nuovo, quel sense of wonder che solo le opere migliori riescono a trasmettere.
È un mondo che si descrive da sé, ed è questo forse il merito più grande del gioco: il suo modo innovativo di raccontare una storia. Prima di Half-Life 2 la trama in un videogioco, e soprattutto negli sparatutto, era praticamente assente (purtroppo questo capita sempre più spesso anche ora, ahimè) o veniva raccontata unicamente attraverso filmati che intervallavano le parti giocate, andando a spezzare il ritmo narrativo e limitandone fortemente l’immersività, quella sensazione di trovarsi davvero dentro la storia e in una realtà “altra”. Ma la possibilità di coinvolgimento del giocatore può trovare il suo punto più alto proprio nei giochi in prima persona. In Half-Life viviamo la storia sempre attraverso gli occhi del protagonista, senza mai dover smettere di giocare per assistere ad un filmato, esplorando luoghi dove ogni dettaglio racconta la sua storia. Il risultato è un livello di immedesimazione totale, che ci porterà a conoscere sempre più i personaggi che incontreremo lungo l’avventura, a comprendere le loro ragioni, a soffrire e lottare con loro, diventando una cosa sola con il nostro alter ego, Freeman, uomo libero appunto. Questo permette alla trama di raggiungere dei picchi narrativi che ci emozioneranno come pochi altri videogiochi hanno saputo fare. Ecco il segreto del successo dei ragazzi di Valve.
Eppure le innovazioni portate da Half-Life 2 non si esauriscono qui. Per la prima volta infatti un gioco possedeva una fisica realistica, integrata perfettamente, grazie al motore Havok (creato proprio da Valve e ancora oggi utilizzatissimo), con le meccaniche di gioco. Tutti noi ricordiamo il tempo perso a sparare oggetti in aria, o contro i nemici, con la nostra fida Gravity Gun, un’arma sperimentale che permette di annullare la gravità, aumentando ancora di più l’interazione con l’ambiente che ci circonda. Il tutto veniva utilizzato sapientemente per arricchire il gioco di diversi enigmi, detti appunto “ambientali”, che potevano consistere nello sfruttare il galleggiamento di alcuni bidoni di plastica o nel creare leve per sollevare porte e oggetti pesanti.
I due brevi capitoli aggiuntivi sviluppati da Valve, Episode 1 e Episode 2, elevarono tutte queste caratteristiche portandole allo stato dell’arte, e ancora oggi The Orange Box, la raccolta che contiene tutti e tre i giochi, è tra i titoli più premiati e apprezzati nella storia del videogame, con una media di 9,2 su 10 su Metacritic, e più di 95 su Gamerankings.
«Si svegli, mister Freeman. Si svegli. Non che voglia insinuare che lei abbia dormito sul lavoro. Nessuno merita riposo più di lei» diceva il G-man all’inizio della nostra avventura, e forse Half-Life sta effettivamente dormendo sugli allori, considerando che ormai il terzo capitolo è diventato una sorta di leggenda metropolitana, e neppure i fan furibondi accampati davanti alla sede di Valve sono riusciti a ottenere qualche informazione su un suo possibile sviluppo. Ma ora non è il momento di crucciarsene troppo. Che abbia dormito oppure no, Gordon Freeman ha dieci anni e non li dimostra, con Half-Life 2 che intanto è diventato un classico videoludico e, proprio per questo, senza tempo.
– Davide Carnevale –