Una delle avventure più dirompenti di D&D trasportata in digitale: piccolo cult o boiata pazzesca?
Tocca dare ragione ai nostri nonni: si stava meglio quando si stava peggio. E mai questo concetto assume valore come in ambito videoludico, a mio parere. Nel corso dei decenni i videogames si sono arricchiti di cell shading, texture a profusione, effetti di luce dinamica, millemila poligoni ruotanti contemporaneamente sui nostri monitor (insieme ad alcune parti anatomiche dell’utente non specificabili in questa sede, quando si pianta secco il PC) e chi più ne ha più ne metta. E contemporaneamente, fatte salve rare eccezioni, molti videogiocatori con qualche anno in più sono pronti a giurare che abbiano perso anima, nerbo e quel nonsoché che trasforma un ammasso di stringhe di codice, script e pixel in un capolavoro, capace di trasmettere emozioni come un classico cinematografico o pittorico. O forse è solo perché quando si è giovani sembra tutto più bello? Sia come sia, le considerazioni di cui sopra sono alla base dell’ondata di old games revival e del successo di siti come gog.com nei quali, per una manciata di euro, è possibile costruirsi una ludoteca virtuale e rigiocare fluidamente i titoli sui quali abbiamo perso le nottate da adolescenti, in attesa che il nostro scassatissimo 486 si decidesse a caricare la schermata del Bosco Ammantato in BG II. Vagando per le foreste di Isola Illyon, ci imbattiamo questa settimana in un titolo sicuramente meno conosciuto rispetto a quelli trattati nei mesi scorsi, ma che è diventato rapidamente un piccolo cult: Il Tempio del Male Elementale. Sarà davvero un gioiellino, oppure, come dice Groucho di Dylan Dog, “un cult… cioè qualcosa di così brutto e squallido da risultare irresistibile per una ristretta cerchia di masochisti.”? A questo articolo l’ardua sentenza.
Acqua… fuochino, Fuoco… Terra?
Come il buon vecchio Legolas quando infilzava due Uruk-hai con una singola freccia, così nel trattare il videogame de “Il Tempio del Male Elementale” prendiamo due piccioni con una fava sconfinando pesantemente nel GdR cartaceo. Eh sì, perché “Il Tempio del Male Elementale” è probabilmente l’avventura ufficiale più famosa di tutta la storia di D&D, scritta nel 1985 per l’edizione Advanced direttamente da Gary Gygax e Frank Mentzer: decine di migliaia di eroi hanno perso la loro verginità ruolistica nei blasfemi sotterranei del Tempio, nel corso degli anni. Il modulo divenne tanto famoso da guadagnarsi un seguito nel 2001, “Ritorno al Tempio del Male Elementale”, un modulo-campagna dalle dimensioni mostruose (211 pagine), stavolta per la 3a edizione, che probabilmente rappresenta il dungeon più massiccio mai inventato per i prodotti ufficiali. Partendo da queste premesse, nel 2003 la software house Troika Games decide di sfruttare il celebre filone e pubblica il videogame in questione, basato sull’avventura originale per l’edizione Advanced, ma con il regolamento d20 della 3a edizione.
C’era una volta…
….una landa particolarmente sfortunata nella Baronia di Verbobonc, nel continente di Greyhawk. L’unico centro abitato di una certa importanza, un villaggio di circa mille anime di nome Hommlet, sorge a poca distanza dalle Praterie Emridy, teatro diversi anni prima della sanguinosa battaglia che portò le forze del bene a sconfiggere e dare alle fiamme il Tempio del Male Elementale, sede di un culto malvagio (dedicato alla demonessa Zuggtmoy), che piagava le terre circostanti.
Attualmente il maniero vicino al paese viene usato come base da un gruppo di banditi che depredano le terre circostanti; il paese di Nulb poco distante, da tempo abbandonato, è infestato da strane bestie; le Praterie Emridy sono percorse dalle spoglie non morte di coloro che caddero nella battaglia; Hommlet stessa è avvolta dagli intrighi come nemmeno una puntata di Beautiful e, come se non bastasse, si mormora di strane ombre che in numero sempre crescente starebbero ripopolando le rovine del Tempio. Ora, davanti a questa messe di sfighe assortite, la brava gente sensata di un villaggio che fa? Invia messi nelle città più importanti in cerca di aiuto? Certo che no. Chiede soccorso all’esercito del Barone? Ma neanche per idea. Telefona al 113? Nemmeno a parlarne. La soluzione, da che dungeon è dungeon, è sempre la stessa: si prende un manipolo di scapestrati avventurieri (peraltro sempre gli stessi: il nano corazzato fino alle gengive, la bonazza palestrata munita di ascia bipenne e bikini di pelliccia, il giovane stregone con preoccupanti tendenze piromani e via di questo passo), li si arma alla bell’e meglio, si dà loro una bella pacca sulla spalla e li si invia là dove spesso non fanno ritorno. E che ve lo dico a fare.
Già dall’inizio si capisce che l’intento degli sviluppatori, ovvero trasferire sullo schermo l’esperienza del gioco cartaceo della 3a edizione come nessuno aveva mai fatto prima, è assolutamente palese e dichiarato: dopo aver scelto l’allineamento generale del gruppo (allineamenti opposti non possono coesistere), ci troviamo a dover scegliere o creare i cinque personaggi inizialmente presenti nel nostro party (espandibile ad otto nel corso dell’avventura). Nel caso scegliessimo la seconda ipotesi, i punteggi di caratteristica verranno generati casualmente dal computer, proprio come se tirassimo i dadi per una scheda cartacea. Nel caso non fossimo soddisfatti del lancio, non sarà possibile sottrarre punti a una caratteristica per donarli ad un’altra: semplicemente dovremo ritirare i dadi (virtuali), finché i punteggi non ci soddisfino, e poi associare i singoli valori alle caratteristiche. Esattamente come nel cartaceo. Dopo aver scelto talenti e abilità ed aver finito la caratterizzazione dei personaggi, eccoci scendere per le vie polverose di Hommlet.
Ultimo tango a Hommlet.
La prima cosa che salta immediatamente all’occhio è che il TdME è il canto del cigno dei videogiochi in isometrica. In un periodo posto a cavallo del passaggio tra il glorioso fondale predipinto e il 3D (ricordiamo, Neverwinter Nights è del 2002), Troika Games opta decisamente per il primo, sfornando l’ultimo gioco che sfrutta questo sistema. La visuale è la classica isometrica, non zoomabile né ruotabile, sulla quale si muovono gli sprite che rappresentano i personaggi. Gli elementi interattivi dello scenario quali porte, bauli, scale e via dicendo devono essere quindi sempre in vista, e nei rari angoli morti (tipo il retro delle case) i personaggi non sono visibili. I fondali de il TdME a mio parere sono lo stato dell’arte del genere, dettagliatissimi, superbamente colorati e davvero evocativi, sia gli interni che gli esterni. Le fonti di luce dello scenario poi sono qualcosa di superbo, come le candele accese di notte nel giardinetto zen antistante la casa-albero di Jaroo il Druido: quasi un dipinto ad olio. Anche i dettagli e le animazioni dei personaggi sono riusciti: le stoccate del ladro danno la sensazione del perforamento, così come i colpi di maglio del barbaro fanno quasi tremare lo scenario, fornendo una soddisfazione non indifferente; e i dettagli dei pezzi di equipaggiamento addosso ai personaggi, benché piccoli, sono molto ben visibili ed apprezzabili. Ciò è dovuto in parte anche al fatto che la cura riposta in ogni singolo scenario risente del basso numero di ambientazioni con cui i grafici hanno avuto a che fare. Il paese di Hommlet, quello di Nulb, il Maniero, il Tempio e poco altro. In effetti il TdME si finisce agilmente in una ventina di ore per quanto riguarda la trama principale, e trenta ore sono più che sufficienti per esplorare il gioco in ogni suo anfratto. Rispetto alla vastità stordente di un Baldur’s Gate o di un Icewind Dale, è chiaro che parliamo di un ordine di grandezza completamente differente. Ciò però non toglie che il puro piacere estetico in questo gioco sia all’apice, a mio parere. Il parlato, gli effetti sonori e le musiche sono piacevoli e nulla più. Dopo cinque minuti non ci si fa più caso e ciò significa che almeno non infastidiscono con la loro ripetitività: il che è più di quanto si possa dire per molti altri giochi.
Che fa, fugge? Stia gentilmente fermo in posa, che tiro l’attacco d’opportunità…
Inutile però girarci intorno: quella che verrà sempre ricordata come caratteristica principale di questo gioco è la modalità d20 a turni vera. Chiaramente, tutti i giochi basati sul regolamento d20 sono a turni, però tutto il lavoro sporco di solito viene svolto dal gioco stesso. In un Neverwinter Nights, basta cliccare un bersaglio da attaccare e poi il sistema si occupa di calcolare tutte le statistiche e le dinamiche: tiri per colpire, danni, tiri salvezza; mentre sullo schermo l’azione procede fluida, dando l’impressione di un tempo reale (seppur fittizio). Ne il TdME invece, l’azione va avanti in tempo reale finché non ci imbattiamo in un personaggio ostile. A quel punto, il gioco si mette in pausa in automatico, calcola l’iniziativa di tutti i combattenti e ne mette le icone in ordine nella parte alta dello schermo. Il giocatore controllerà quindi ogni singolo personaggio del party in ordine d’iniziativa, e potrà passare al successivo solo quando avrà terminato le azioni del precedente o avrà deciso che il personaggio ha esaurito la sua utilità in quel turno; lo stesso farà il computer per i nemici. Questo dà luogo ad un combattimento abbastanza surreale, del genere una mazzata io, una carica tu; una ritirata strategica io, una ricarica di balestra tu; e via discorrendo in bell’ordine, ognuno col suo bravo numerino in mano come fosse in coda dal salumiere. È però vero allo stesso tempo che così si ricrea esattamente quella elucubrazione tattica allo spasimo e quel clima di “partita a scacchi” che è la caratteristica degli incontri cartacei di D&D, e che è l’obiettivo dichiarato del gioco. D’altra parte il livello di difficoltà è calibrato perfettamente in modo da fare la felicità del ruolista hardcore: molte volte, la differenza tra la sopravvivenza del party e un bel gruppo di lapidi nuove di zecca è legata all’azione giusta da fare al momento giusto; e randellare adeguatamente un gruppo di troll inferociti grazie alla magia di Entangle castata con intelligenza dal druido è una bella soddisfazione. Anche l’interfaccia è pensata per offrire l’esperienza ruolistica più vicina possibile al cartaceo: cliccando col tasto destro del mouse sul personaggio si apre un pratico menù a ruota con al centro il faccione del medesimo, e intorno tutte le relative abilità e talenti raggruppati in menù attacco, movimento, difesa, magia e così via. Fanno la loro comparsa tutte, ma proprio tutte le meccaniche del regolamento 3.0, comprese le modalità Difesa Totale, Preparare Azione e altre mai apparse in precedenti giochi, che conferiscono a questo meccanismo una profondità tattica senza pari. Durante i combattimenti il cursore, posizionato sullo scenario, cambia colore dal giallo, al verde al rosso aiutando il giocatore a tenere conto di quante e quali azioni possa ancora disporre il PG dopo lo spostamento.
In conclusione
All’epoca della sua uscita, il TdME fu criticato per l’incredibile mole e varietà di bug che lo affliggevano, indice di una poco approfondita fase di testing, tanto che Troika Games dovette correre ai ripari con una quantità di patch altrettanto incredibile. Ora che il gioco scivola come l’olio, possiamo dire che i suoi principali difetti risiedono nella scarsa longevità (le ambientazioni visitabili sono davvero troppo poche) e soprattutto nella ripetitività e nello scarso coinvolgimento a livello di trama. Sarà per via della poca caratterizzazione dei png, sarà per la piattezza della trama in sé e per sé ma diverse volte mi sono trovato a chiedermi, una volta conclusa una quest, chi mi avesse dato l’incarico. Oppure di non ricordarmi perché stessi esplorando un determinato dungeon, se non per il gusto di vedere cosa ci fosse nella stanza successiva. Di contro, ho apprezzato moltissimo la profondità e varietà tattica dei combattimenti (davvero divertenti), tanto da rimpiangere che ce ne fossero troppi pochi, e la massima fedeltà al regolamento cartaceo (il migliore gioco mai programmato da questo punto di vista). In definitiva, assolutamente consigliato a chi considera gli altri giochi basati su D&D troppo “spuri” e cerca la massima fedeltà all’esperienza cartacea anche in digitale, cioè ai ruolisti duri e puri. Chi cerca un’esperienza più coinvolgente, qualcosa di più profondo a livello interpretativo, di trama ed emozionale, passi pure oltre senza troppi rimpianti.
– Luca Tersigni –