Ninja Theory è uno studio di sviluppo con una storia assai interessante. Il suo primo gioco di un certo peso fu Heavenly Sword, uno dei titoli di lancio di PlayStation 3, che nonostante le vendite tutt’altro che eccellenti dimostrò quali fossero le potenzialità della macchina di Sony.
La loro successiva fatica fu Enslaved: Odyssey to the West, anch’essa condannata dal fato alla stessa fine di Heavenly Sword: nonostante la critica avesse accolto molto positivamente il titolo per l’art design e il suo approccio maturo allo storytelling, le vendite complessive non furono neanche lontanamente vicine ad assicurare un futuro alla serie.
Senza arrendersi all’evidenza di cui parleremo in seguito, Ninja Theory si imbarcò nel progetto DmC, riuscendo senza troppo sforzo a tirare fuori quello che a mio personalissimo avviso è stato il Devil May Cry più banale di sempre, un reboot forse non necessario e ancor peggio recepito, ma che tutto sommato totalizzò un buon numero di vendite (probabilmente trainate dal comunque celebre brand).
Da qualche giorno si parla molto del team a seguito dell’uscita del suo ultimo gioco, Hellblade: Senua’s Sacrifice. Presentato come un indie tripla A, inteso come un prodotto sviluppato senza il supporto di nessun publisher, ma comunque con un budget che un classico indie non potrebbe permettersi, il titolo offre un pomeriggio (non di più) di angoscia che rappresenta probabilmente il miglior monumento alla follia visto da un po’ di tempo a questa parte. Peccato che lo stesso non si possa dire del videogame in sé.
La storia dovrebbe essere un’unione tra la mitologia celtica e quella norrena, in una sorta di sfida al futuro God of War, ma, con mia grande sorpresa, ho appurato che nessun elemento di mitologia sia presente effettivamente all’interno del titolo. Quella celtica non viene minimamente tirata in ballo, mentre quella norrena viene presentata sotto la forma di una trentina di racconti opzionali. Ottimo per coloro che volessero farsi una cultura sull’argomento, ma totalmente irrilevanti per chi dovesse conoscere già le principali vicende del pantheon norreno.
Il gameplay si divide abbastanza bene tra momenti di puzzle ambientali e combattimenti, ma anche in questo caso le note dolenti cominciano a farsi vedere presto. Gli enigmi, in realtà, sono praticamente gli stessi per tutta l’avventura, una sorta di gioco di prospettiva: essenzialmente ci sono delle rune magiche a bloccare un portone, e Senua deve immagazzinarle nella mente e ricrearle con ombre, oggetti e prospettiva per proseguire il suo viaggio.
Il combattimento vede la presenza di soli 5 tipi di nemici, che vengono introdotti molto lentamente nel gioco e sono tutt’altro che complessi da fronteggiare: nonostante sia possibile impostare il livello di sfida su “Difficile”, le orde su orde di avversari che vengono vomitate addosso al giocatore non danno grandi preoccupazioni. Il tutorial è praticamente al minimo sindacale, ma in effetti non c’è molto da spiegare, e per qualsiasi dubbio basta accedere al menù principale.
Bene invece i boss che, nonostante siano soltanto 3 in tutta l’avventura, offrono un livello di coinvolgimento decisamente più alto di quello delle solite orde di nemici. A sfavore del titolo gioca anche l’assenza di un nemico finale che chiuda degnamente l’avventura di Senua, e all’inizio l’opera lascia intendere che ci sia un sistema di permadeath, che però si è rivelato un elemento più di storia che di gameplay.
La colonna sonora in alcuni momenti è giustamente epica, ma tutto sommato non eccelle e non è così memorabile. Ultima nota dolente è il framerate che, nella versione PC che ho testato, era a dir poco ballerino e passava dai 60 ai 40 frame secondo il suo personale gusto. Niente, però, che non si possa risolvere con una bella patch.
Spero di non avervi spaventati con tutte queste note negative, perché in realtà nel gioco ci sono diverse cose che invece funzionano bene. Senua sarà accompagnata per tutto il tempo dalle voci che sente fin da quando era piccola, e per questo vi consiglio di giocare con delle cuffie per godere al meglio dell’esperienza. Il doppiaggio è eccellente e favorisce l’immersione con il personaggio e con la sua mente, dove reale e immaginario si uniscono con prepotenza. Ninja Theory ha consultato diversi dottori per cercare di riproporre quanto più fedelmente possibile la psicosi della protagonista, e non c’è dubbio che ci sia riuscito, nonostante a volte ci sia l’impressione che il gioco si concentri troppo sulla malattia, lasciando tutto il resto in secondo piano. L’unico vero personaggio, poi, è Senua, mentre le altre visioni nella sua testa sono per lo più stereotipi ambulanti ben poco approfonditi. Molto buono il comparto grafico generale, decisamente ben curato e in grado di regalare momenti mozzafiato come albe e tramonti di rara bellezza.
Hellblade: Senua’s Sacrifice andrebbe approcciato come un’esperienza da vivere ma non come un videogioco, perché sotto questo aspetto si dimostra mediocre in molti, forse troppi, punti. Non essendoci un vero motivo per rigiocarlo, è anche debilitato da una durata infima che dipende interamente dal tempo impiegato per risolvere gli enigmi. Il risultato finale è quello di un bambino che gioca a fare l’adulto, ma che chiaramente non è ancora pronto.
–Simone Maccapani–
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Hellblade: Senua’s Sacrifice è davvero il primo indie tripla-A?
Simone Maccapani
- Un ritratto fedele e immersivo della pazzia;
- Ottime ambientazioni;
- Doppiaggio incredibile;
- I boss sono divertenti da affrontare...
- ... ma sono solo tre;
- Mitologia quasi totalmente assente;
- I nemici e gli enigmi sono poco vari;
- I combattimenti sono fin troppo facili;
- La longevità è bassissima;