Cosa accade quando una fervida immaginazione incontra una sensibilità fuori dal comune? Accade che sbocciano artisti capaci di segnare per sempre la storia con delle opere immortali. Lo scrittore veronese Emilio Salgari è uno di questi, e merita senza dubbio di essere ricordato come il più importante autore italiano, e forse europeo, di narrativa avventurosa e fantastica, nonostante troppo a lungo la critica si sia accanita contro di lui accusandolo per la sua scrittura troppo esplicita, cruda e immediata. Non voglio nemmeno sapere cosa avrebbero pensato quegli stessi critici del caro George Martin… Assieme ai contemporanei Jules Verne e Howard Philip Lovecraft, Salgari per primo ha condiviso i sogni e l’immaginario con i suoi stessi lettori, desiderosi di sensazioni forti e di immedesimazione totale, e non più della noiosa narrativa realista di tendenza. La realtà faceva già abbastanza schifo da sola senza che gli scrittori la mettessero nero su bianco, quindi perché non alleviare i pensieri quotidiani con qualcosa di più entusiasmante? Così il Capitano veronese, proponendo argomenti fino a quel momento marginali, inizia una vera rivoluzione letteraria che porterà – prima con Robert E. Howard e poi con John R.R. Tolkien – alla formazione di un genere letterario finalmente riconosciuto e con la propria dignità, cioè il fantastico. La quest condotta attraverso l’esplorazione del mondo, le gesta eroiche compiute grazie a virtù quali la lealtà e il coraggio, l’amicizia e la fedeltà, il misurarsi con il fascino per l’ignoto e contro gli avvenimenti inaspettati che il destino ci mette davanti, ambientazioni storicamente e geograficamente dettagliate: nelle opere di Salgari c’è tutto questo.
Momento atipico, ma decisamente interessante, nella sua produzione è rappresentato dall’opera del 1907 Le meraviglie del Duemila, in cui corsari delle Antille e tigri della Malesia lasciano il posto ad una vicenda di pura e avvincente fantascienza tra 1984 di George Orwell, i racconti di Isaac Asimov e La leggenda degli uomini straordinari di Alan Moore.

Copertina della prima edizione del 1907
Un giovane e annoiato rampollo americano di nome James e il suo amico ricercatore Toby intraprendono un incredibile viaggio nel tempo per vedere come diventerà il mondo nel 2003, un secolo esatto rispetto alla loro epoca – e a quella, ovviamente, di Salgari. Sarà un sonno-ibernazione autoindotto a conservare i loro corpi per cento anni fino al conseguente risveglio, reso possibile grazie alla scoperta da parte di Toby del principio attivo di una misteriosa pianta esotica in grado di riportare in vita qualsiasi essere vivente, e grazie alla collaborazione dei loro discendenti del ventunesimo secolo che lo iniettano nei corpi congelati. Una volta “risorti” e riacquistate le forze, per James e Toby ha inizio un’avventura pazzesca al limite dell’assurdo. La descrizione che Salgari dà del Ventunesimo secolo è sorprendentemente azzeccata per diversi aspetti scientifico-tecnologici, e riguardo anche alcuni mutamenti nello stile di vita degli uomini. Nel mondo del futuro, infatti, vi sono invenzioni tecnologiche come macchine volanti e treni sotterranei velocissimi, la televisione e la posta meccanica, fabbriche robotizzate e materiali plastici, energie rinnovabili e città sottomarine, solo per citarne alcune. D’altro canto, però, bisogna affrontare problemi sociali derivati da comportamenti deleteri come la diffusione dei fast-food, la crescente fame nel mondo, la sovrappopolazione e l’estinzione di alcuni animali, ma soprattutto vi sono la minaccia crescente del terrorismo, l’emarginazione e lo sterminio dei diversi, senza contare che bombe deterrenti tengono a bada chiunque tenti di ribellarsi allo status quo, i camerieri sono in realtà schiavi e ci si deve guardare dal “pericolo giallo” ormai alle porte. Una breve citazione dal testo tanto per dare un’idea:
L’ultima guerra combattuta fra le nazioni americane ed europee è stata terribile, spaventevole, è costata milioni di vite umane. Oggi noi possediamo degli esplosivi capaci di far saltare una città di qualche milione di abitanti; delle macchine che sollevano delle montagne; possiamo sprigionare colla semplice pressione del dito una scintilla elettrica trasmissibile a centinaia di miglia e far scoppiare qualsiasi deposito di polvere. Una guerra, al giorno d’oggi, segnerebbe la fine dell’umanità. La scienza ha vinto ormai su tutto e su tutti.

La città del futuro immaginata da Salgari non dev’essere poi tanto differente da quella pensata dai creatori di SimCity
Un’avventura curiosa tutta da leggere con cui Salgari dimostra non solo di essere un grande scrittore che non avrebbe nulla da invidiare ai nostri contemporanei del fantasy e della fantascienza, ma anche di avere una grande capacità di riflessione antropologica attraverso un mezzo “leggero” come la narrativa di fantasia popolata di personaggi convincenti e drammatici. Se leggiamo tra le righe, a mio avviso è interessante constatare come l’autore abbia costruito una sorta di anti-utopia in cui riversa le sue personali considerazioni sul futuro dell’umanità e sulle invenzioni che l’uomo avrebbe prodotto per il miglioramento delle condizioni di vita, ma anche sul peggioramento della condizione umana causata dal progresso incontrollato e privo di etica. Queste idee sull’evolversi della politica e del modo di vivere dell’uomo hanno il preciso scopo di mettere in guardia le generazioni future dagli eccessi di una vita frenetica, incalzante e angosciante perché troppo dipendente dalla tecnologia. Date le evidenti analogie, mi piace immaginare che Tolkien abbia sentito parlare di Salgari e che, in qualche modo, ne abbia potuto apprezzare le idee sulla moralità e sul progresso, visto che entrambi, a proprio modo, hanno creato vicende dai toni universali che coinvolgono tutti e che dimostrano, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che la narrativa fantastica non è una inutile bugia ben confezionata, bensì un potente mezzo che parla direttamente al cuore dei lettori rompendo gli schemi della solita triste e confusa realtà.
– Michele Martinelli –