All’interno della ricca quanto nobile tradizione di bromance tra autori fantasy (Lewis e Tolkien, Rothfuss e Sanderson, George Martin e i Big Mac), H.P. Lovecraft e R.E. Howard rappresentano l’equivalente di una buddy-comedy poliziesca alla “Arma Letale”: da una parte abbiamo un ragazzetto gracilino del New England che nel tempo libero amava dissertare del perché i gatti fossero migliori dei cani (non ho idea di quale fosse l’equivalente di League of Legends di inizio ‘900, ma mi sento di garantire che giocasse anche a quello), dall’altra un texano grande quanto un armadio a quattro stagioni non del tutto stabile mentalmente, il cui passatempo preferito prevedeva prendere a pugni regolarmente la gente in faccia.
Tali differenze sono del resto abbastanza chiare anche nel loro stile di scrittura: intimistico, disturbante, e terrificante da un lato; una fiera della celebrazione di fantasie maschili che “He-Man” sembra “My Little Pony” al confronto, dall’altro. Come se ne avessimo bisogno, un’ulteriore conferma la possiamo trovare dal mondo del cinema, che se al personaggio di Conan il Barbaro ha riservato due o tre adattamenti di indubbia risonanza, se non proprio merito artistico (un quarto era in lavorazione con Mark Hamill, ma evidentemente il mondo non era pronto per Luke il Barbaro), con il povero Lovecraft ha sempre avuto un rapporto conflittuale.
Vi stupirebbe sapere che attualmente esistono circa trentaquattro adattamenti in lungometraggio delle opere di Lovecraft (senza contare gli omaggi e i riferimenti obliqui che, beh, sono un po’ dappertutto), più altri quattro o cinque arrangiamenti televisivi? Probabilmente sì, perché un numero non indifferente di parte di questi, a) fa pena, e b) non li ha visti praticamente nessuno.
Il tutto senza contare che l’horror lovecraftiano non è l’horror da slasher propedeutico alla pomiciata il venerdì sera: i Grandi Antichi non fanno paura perché sono brutti e cattivi, fanno paura perché la loro mera esistenza ci rende talmente incommensurabilmente inutili da farci venire voglia di nuclearizzare il pianeta per risparmiare all’universo la fatica di cancellare la nostra futilità.
E dunque voi, che desiderate vedere il vostro autore preferito sul grande schermo, siete senza speranza? Sì, e no. Eccovi il meglio (e il peggio) di quello che potreste trovarvi di fronte:
7 – “La Città dei Mostri”, 1962, Roger Corman
Non lasciatevi confondere dal titolo originale (becero tentativo di cash-grab) di un’opera di Poe: il film è in realtà una resa de “Il Caso di Charles Dexter Ward”, con l’aggiunta di una sexy mogliettina per l’eponimo protagonista perché… gli anni sessanta non avevano molta fantasia con i tropi? Probabilmente i puristi storceranno il naso su un’altra licenza registica da parte di Corman, ma si perdona facilmente in cambio dell’interpretazione di Vincent Price.
6 – “The Dunwich Horror”, 1970, Daniel Haller
Si comincia a fare sul serio! Evitate pure il remake per televisione del 2009 e andate a cercarvi questa perla assurta (giustamente) al titolo di so bad it’s good (tanto brutta da essere bella), in tutta la sua gloria da anni ’70: sesso, droga, baffi, una nuvoletta di fumo rosso in luogo dell’Orrore del titolo! Cosa potreste desiderare di più?
5 – “La Fattoria Maledetta”, 1987, David Keith
Ok, lo so che ufficialmente è un “liberamente tratto”, ma esistono versioni ben peggiori de “Il colore venuto dallo Spazio”. Al di là dell’ambientazione apocrifa e di alcune libertà con la trama, questa pellicola ha dalla sua effetti speciali degni di nota (cortesia di Lucio Fulci, icona italiana del genere splatter) e la partecipazione di Will Wheaton nei panni di Zack (Zack?), il protagonista.
4 – “Monster – Esseri Ignoti dai Profondi Abissi”, 1980, Barbara Peeters
Ok, giuro che dopo questo mi calmo, ma gli anni ’80 e Lovecraft sono un connubio a dir poco vincente, data l’ossessione dei primi per due elementi (sangue e tette) sostanzialmente assenti in tutta la narrativa lovecraftiana, e che invece abbondano in questa trash… ehr, rivisitazione de “La Maschera di Innsmouth”.
3 – “The Whisperer in Darkness”, 2011, Sean Branney
Realizzato dalla H.P. Lovecraft Society (vedi sotto), questo film indipendente in bianco e nero (reperibile, ahimè, solo sottotitolato in italiano) è generalmente considerato, oltreché un piccolo capolavoro, uno degli adattamenti più fedeli (e azzeccati) dell’opera di Lovecraft, pur discostandosi ampiamente dal finale originale, ma in maniera decisamente, beh… lovecraftiana.
2 – “Pickman’s Muse”, 2009, Robert Cappelletto
Sebbene la critica non l’abbia apprezzato particolarmente, questo adattamento/sequel de “L’Abitatore del Buio” risulta, oltreché di qualità discreta, uno dei film più fedeli soprattutto al tono generale della narrazione lovecraftiana, restando mortalmente serioso per l’intera durata, senza cadere nell’ironico o grottesco come altre, pur apprezzabili, pellicole (vedi sopra), al punto da meritarsi il Brown Jenkin Award come migliore adattamento al Lovecraft Film Festival 2009.
1 – “The Call of Cthulhu”, 2005, Andrew Leman
In cima alla nostra lista figura l’opera forse più famosa di Lovecraft, pietra angolare di tutto il suo mito (nonché quella, insomma, con mister C in persona), resa in quello che è considerato il miglior film mai realizzato a riguardo. Prodotto dai nostri amici della Lovecraft Society, che di mestiere a quanto pare giocano dal vivo a “Call of Cthulhu”, è il film che probabilmente Howie stesso avrebbe girato se nel ’27 i nerd lo avessero venerato come facciamo noi oggi: muto, in bianco e nero, con sfondi di cartone e Cthulhu in stop-motion. Posso anche smettere di scrivere frasi di senso compiuto: credo che tutti abbiano appena smesso di leggere l’articolo per mettersi alla ricerca del film.
Non sentitevi in dovere di prendermi in parola, fratelli cultisti: diffondete anche voi il verbo dei Grandi Antichi nel consigliare tra i commenti come mettere a repentaglio la nostra sanità mentale davanti al grande schermo.
– Federico Brajda –