La Blizzard ha segnato probabilmente l’infanzia di molti di noi, che magari hanno iniziato a videogiocare proprio con gli stupendi titoli passati della famosa casa californiana. Per me, almeno, è stato così: mentre muovevo i primi passi nel mondo dei videogame scoprii il suo stile molto particolare e la sua cura maniacale in ogni titolo che realizzava; ma il tono canzonatorio e leggero che questi trasmettevano faceva subito capire che i ragazzi della Blizzard si prendevano poco sul serio e, allo stesso tempo, prendevano maledettamente sul serio il loro lavoro, realizzando gioielli videoludici che, già allora era chiaro, non sarebbero invecchiati mai. Sono tantissime le persone che ancora giocano a Diablo II o al primo Starcraft, senza dimenticare Warcraft III.
Proprio quest’ultimo titolo, uno strategico in tempo reale dalla classica ambientazione fantasy, Azeroth – popolata da umani, elfi, non morti e orchi (nonché tantissime altre buffe razze) –, fu una delle produzioni della Blizzard più apprezzate, tanto che un numeroso stuolo di appassionati si dedicò alla creazione di mod, ovvero di mappe particolari da mettere a disposizione degli altri utenti (pratica questa favorita dalla stessa software house, che fornì insieme al gioco un potente e intuitivo editor). Quindi, parallelamente alle modalità multiplayer classiche basate sulle mappe standard, ne iniziarono a prolificare altre particolari create dagli stessi utenti, e alcune di queste ebbero un successo straordinario, diventando un vero e proprio gioco nel gioco. Tra tutte, però, ne spiccò una, denominata Defense of the Ancient, o più semplicemente DotA, destinata a essere l’archetipo per tutto un filone di giochi PC di grande successo, i MOBA, un vero e proprio fenomeno degli ultimi anni.
Titoli ormai famosissimi e quasi di moda come DotA 2, League of Legends, Guardians of Middle-Earth e molti altri, insomma, sono tutti figli di quella semplice mod di Warcraft III e, ancora più alle origini, proprio del gioco fantasy della Blizzard, che per la prima volta inseriva in uno strategico elementi da gioco di ruolo, con la presenza in battaglia di eroi che crescevano di livello, diventando molto più forti delle unità normali, fondamento di tutti i MOBA. Era davvero troppo strano, quindi, che proprio la Blizzard, la quale aveva dato inizio al tutto col suo capolavoro, non si cimentasse in questo genere così di successo in questi ultimi anni. Heroes of the Storm non nasce però semplicemente per rimediare a questa mancanza: la sensazione, già dal menù iniziale, è che l’azienda voglia entrare nell’arena per sbaragliare la concorrenza cambiando le carte in tavola, allo stesso tempo rivoluzionando il genere e riportandolo all’ovile.
Infatti, se negli altri brand di questo tipo le modalità di gioco sono rimaste sempre piuttosto invariate, con gli eroi che si muovono su tre sentieri cercando di raggiungere la base nemica e falciando tutto ciò che gli capita davanti, in Heroes of the Storm (HotS d’ora in poi) è palese la volontà di diversificare l’azione, mettendo il giocatore davanti a situazioni differenti in base alla mappa in cui si svolge la partita. Questa è già una grande novità, perché di solito nei MOBA il terreno di gioco è sempre lo stesso, o al massimo cambia solo per quanto riguarda l’aspetto estetico, mentre in HotS ci troviamo a dover disputare i nostri match in mappe molto diverse l’una dall’altra, dal punto di vista visivo, certo – con la cura nei dettagli a cui la Blizzard ci ha sempre abituati –, ma soprattutto nelle meccaniche. In realtà queste ultime non sono mai troppo diverse, in quanto consistono sempre nell’uccidere dei nemici neutrali per accumulare punti da utilizzare contro il nemico, che sono determinanti per la vittoria o meno della nostra squadra. Ogni mappa ha le sue piccole varianti, ma a lungo andare la sensazione è che siano poco rilevanti, e che il succo del tutto non cambi poi molto. Rispetto ad altri MOBA più competitivi, come DotA 2 ad esempio, in HotS le mappe sono piuttosto piccole, il che ha diverse conseguenze nel gioco: gli scontri sono continui e frenetici, eliminando così le fasi di stallo o la necessità di scouting, e la singola partita ha una durata notevolmente ridotta (ho visto match durare appena 8 minuti, mentre credo che i più lunghi non superino mai i 20). Questo può essere un enorme vantaggio per chi non ha il tempo di impegnarsi in estenuanti combattimenti lunghi almeno il doppio del tempo, o per chi desidera giocare a qualcosa di più leggero e rilassante, ma i fanatici della strategia e della competitività possono rimanere davvero delusi, perché, al confronto con i concorrenti, il gioco Blizzard appare davvero semplice, cosa del resto voluta, visto che i suoi creatori hanno candidamente definito la loro opera un “prodotto per tutti”, cercando di far avvicinare ad un genere notoriamente ostico il maggior numero di persone. Il che può essere sia un bene che un male, tutto dipende da cosa stiamo cercando. Un veterano degli e-sport probabilmente si sentirà come un architetto davanti ad una scatola piena di Lego: c’è di che divertirsi, ma nulla di più complesso e appagante.
Se DotA 2 è una partita di calcio, per fare una metafora sportiva, HotS, per la sua mappa più piccola e per la maggiore semplicità, potrebbe essere paragonato al calcetto. Proprio per farlo divenire ancora più accessibile a tutti, la Blizzard ha ideato un ingegnoso e inusuale sistema per rendere molto meno influente l’abilità del singolo giocatore. I punti esperienza, contrariamente agli altri MOBA, sono condivisi con tutti i membri della squadra, e il livello non sarà più del singolo eroe, ma dell’intero team. Questo consente agli utenti più esperti di “tirare” quelli meno capaci o che non stanno giocando al meglio, permettendo anche spettacolari rimonte nelle ultime fasi della partita. Tale soluzione risolve quasi totalmente anche il problema del cosiddetto “flame”, ovvero l’insulto libero che in altri titoli rappresenta parte integrante di ogni partita. Del resto gli “insultatori” più incalliti non apprezzeranno neppure la censura in chat inserita per incentivare il fair-play.
Per quanto riguarda gli eroi, non si può certo dire che alla Blizzard manchi materiale. Nella sua pluridecennale storia sono tantissimi gli epici personaggi che hanno popolato i suoi giochi, e ai creatori è bastato prendere qua e là dai loro titoli quelli più rappresentativi e amati dai fan. Per ora ne sono disponibili solo 35, che spaziano dal temibile re dei Lich Arthas, dall’arcidruido Malfurion per quanto riguarda il mondo di Warcraft, al ranger spaziale Raynor e alla Regina delle Lame Kerrigan di Starcraft, oppure al Signore del Terrore, niente meno che Diablo! La varietà insomma non manca, e sebbene siano ancora pochi i personaggi disponibili rispetto ad altri titoli di questo genere, non dobbiamo dimenticarci che il gioco è ancora in beta, e che quindi la versione da noi provata non è ancora quella definitiva, mentre è molto probabile che al momento del rilascio il manipolo di eroi sarà molto più numeroso. Già qualche giorno fa, per esempio, con una patch sono stati inseriti un nuovo combattente, Sylvanas, un’elfa resa non-morta dalla maledizione del re dei Lich, e una nuova mappa presa dall’ambientazione di Diablo III. Avendo così tanto materiale a disposizione, non c’è da dubitare che vedremo velocemente il gioco arricchirsi di contenuti, contando anche la cura e il supporto che la Blizzard ha sempre dimostrato di dedicare ai suoi videogiochi. Forse sarà proprio questa la carta vincente che porterà questo nuovo sfidante del mondo dei MOBA al successo, in un ambito dove vediamo ogni giorno spuntare nuovi titoli che finiscono presto per essere dimenticati: Blizzard ha sicuramente le carte in regola per farcela.
– Davide Carnevale –
Heroes of the Storm – Recensione della Beta
Isola Illyon
- Stile unico e inconfondibile della Blizzard;
- Cura nei dettagli impressionante;
- Continui aggiornamenti e miglioramenti;
- Molto divertente e vario nelle sue meccaniche;
- Adatto anche ai neofiti;
- Troppa semplicità nelle meccaniche di gioco;
- Ancora pochi eroi disponibili;