Se avete riso, apprezzando come noi la parodia ideata da Luca Tersigni, gradirete senz’altro la possibilità di incontrarlo e scambiare qualche parola con lui!
Una premessa: se avete perso l’articolo precedente, in cui abbiamo recensito la parodia dell’opera di J.R.R. Tolkien “Il Signore degli Anelli- La Compagnia dell’Anello”, intitolata La Compagnia dell’Anellide, vi consigliamo di leggerla a queste coordinate spazio-temporali; e, più ancora, di acquistare il libro, che trovate qui!
Ciò premesso, andiamo ad incontrare il nostro autore (potete farlo anche voi, andando sulla sua pagina di Facebook), che sta comodamente aspettandoci sorseggiando un mojito in compagnia di un paio di elfe.
Caro Luca, benvenuto su Isola Illyon: anche se siamo certi che in molti vorranno conoscere qualcosa in più della tua opera, prendiamoci un momento per parlare di te. Chi sei, quali sono i tuoi interessi e passioni?
Un saluto a voi della redazione e a tutto il pubblico dell’Isola, è un piacere essere qui! Mi chiamo Luca Tersigni, ho 35 anni e sono laureato in Scienze Forestali ed Ambientali. Abito in provincia di Torino. Ho una antica passione per tutto quello che è fantasy “old school” e per la fantascienza e il mondo fandom e delle fanzine. Attualmente scrivo soggetti per avventure di D&D (del quale sono stato master per più di un decennio) per conto di una concessionaria italiana di mamma Wizard. La mia altra grande passione è la musica, non da musicista essendo un negato delle sette note, bensì da fruitore ed ex dj in radio locali. Fedele al mio decennio di nascita sono un adepto del rock dei ’70, quello della Generazione dei Fenomeni, dai Led Zeppelin fino agli AC/DC. Amo anche il funky e in ogni caso tutta la buona musica di qualsiasi provenienza essa sia. Dal punto di vista della performance mi esprimo meglio come attore, davanti alla macchina da presa ho partecipato ad alcuni film amatoriali. Infine, sono un rugbysta mancato.
La parodia è un genere (letterario e cinematografico) estremamente importante, tanto quanto sottovalutato e, purtroppo, negli ultimi anni avvilito da produzioni solitamente di bassa caratura o fatte solo per cercare una comicità crassa e terra terra. Che ne pensi?
Penso che le produzioni cui ti riferisci semplicemente non possano chiamarsi parodie. La parodia, come giustamente ricordi, è un genere con una dignità propria che ha prodotto capolavori mondiali, ed è forse l’unico capace di far emergere quella parte di assurdo e di surreale che esiste nella realtà quotidiana. Nelle parodie vere si ride, a volte amaramente, a volte improvvisamente, a volte teneramente, ma mai in maniera fine a se stessa: l’etimologia stessa della parola dice tutto, una “para” “ode” , un processo di reinvenzione e di imitazione in chiave comica e farsesca dello stile di un genere “serio” che abbiamo particolarmente apprezzato. Immagino tu ti riferisca a produzioni principalmente cinematografiche: posso dirti che a mio parere, mancando appunto il processo “appropriazione/reinvenzione” di cui sopra, risultano per la maggior parte essere una sfilza di gag e situazioni comiche slegate le une dalle altre, magari anche divertenti di per sé, ma che non sono parodia. Sono altro.
“La Compagnia dell’Anellide”: una parodia di genere fantasy dell’opera fantasy-letteraria per eccellenza. Come nasce questa idea? E perché parodiare proprio Il Signore degli Anelli?
Molti pensano che parodiare un libro, un film, un’opera corrisponda a deridere e svilire l’opera stessa. Può essere vero se prendiamo in considerazione le produzioni di cui parlavamo prima che non mostrano nessun rispetto per l’opera originale. Una parodia vera invece, secondo me, parte dall’assunto opposto: l’aver amato a tal punto i personaggi e le atmosfere di un dato libro da voler in qualche modo appropriarsene e reinventarle. Io l’ho vissuta e la vedo quindi piuttosto come estremo atto di amore e omaggio verso l’inimitabile originale, testimonianza della profonda ammirazione verso un’opera letteraria al punto da volere (indegnamente) partecipare al processo di creazione, anche solo in chiave umoristica. Il fantasy è un genere che mi interessa parecchio, anche se a parer mio si è sempre preso un po’ troppo sul serio: ecco allora la necessità personale di scrivere qualcosa di divertente in proposito… e la scelta, per il discorso che abbiamo appena fatto, non poteva ricadere che su Il Signore degli Anelli. Un libro che non solo ho amato visceralmente, ma che negli anni dell’adolescenza ha avuto su di me anche un valore formativo. E i personaggi dell’originale che ho amato da sempre, adesso li sento anche un po’ miei.
Come forse saprai, nel passato ci sono stati altri tentativi/esempi di creare un genere caricaturale e parodistico dell’opera del Prof. Tolkien. Si va da quelle non ufficiali dell’opera cinematografica di Peter Jackson, a quelle ufficiali , tanto in forma di romanzo, di cui l’esempio più famoso è Il Signore dei Tranelli (1968, Harvard Lampoon) con Tolkien ancora in vita che autorizzò personalmente l’opera (Bored of the Rings) alle strisce di Leo Ortolani con “Il Signore dei Ratti” oltre a quelle radiofoniche de Lo Zoo di 105 (Il Signore dei Tarzanelli). Erano opere che hai conosciuto e dalle quali hai tratto ispirazione? E se sì, quanto pensi abbiano influito nella comicità che hai ricreato?
Conosco tutte le opere che hai citato e ti ringrazio della domanda perché mi dà l’occasione di fare un po’ di chiarezza su un punto controverso. Quando parli di parodie cinematografiche non ufficiali viene subito in mente l’ormai celeberrimo “ Lo Svarione degli Anelli”. Ho avuto occasione, durante una divertentissima diretta su Radio Brea nell’ambito della rassegna Sentieri Tolkieniani ad Osasco in provincia di Cuneo, nella quale eravamo entrambi ospiti, di conoscere e confrontarmi con Fabio Macchi, ideatore del progetto e voce del Ganjalf del ridoppiaggio. Ebbene, è stato divertente scoprire come avessimo sviluppato i rispettivi progetti nello stesso periodo e come nel caso di Ganjalf il nome parodizzato sia risultato uguale nonostante fossimo all’oscuro l’uno degli altri. La risposta quindi è che non ne sono stato ispirato per il semplice fatto che mentre scrivevo il libro, “Lo Svarione degli Anelli” ancora doveva vedere la luce.
“Il Signore dei Tranelli” lo conosco avendolo letto da ragazzo, e la delusione provata è uno dei motivi per i quali mi sono cimentato nella parodia in prima persona. La considero una parodia rispettabile, ma essendo stata scritta da un collettivo di studenti californiani durante la Contestazione risulta ostica per un lettore italiano del XXI secolo…lo scrittore e il lettore di una parodia devono avere il senso di un’epoca storica o di un immaginario in comune, o si perde il senso generale dell’opera. Tolto quello, a un lettore italiano rimane quindi una serie di battute e gag a sfondo erotico come fil rouge e poco altro. Ne sono quindi stato influenzato nel senso di cercare di essere più comprensibile possibile rispetto al libro degli studenti di Harvard.
Per quanto riguarda Ortolani sono un suo fan sfegatato e mi è piaciuto il suo “Il Signore dei Ratti”, anche se personalmente non credo sia la sua parodia meglio riuscita. In ogni caso Leo è un geniaccio e confesso di aver carpito effettivamente qualcosa a livello di gag nel SdR, dato che ce ne sono di veramente esilaranti. Forse mi è servito in generale leggere i suoi fumetti per capire meglio i tempi comici (che sono fondamentali per far ridere), anche se funzionano in modo leggermente diverso da libro a fumetto.
Ascoltavo spesso anche lo zoo di 105 e li ritengo geniali a modo loro. Sinceramente però il loro “Il Signore dei Tarzanelli” era tanto sideralmente lontano da quello che intendevo fare che non mi è venuto in mente praticamente mai durante la stesura del libro.
Ti posso dire che il mio punto di riferimento generale come parodista è l’immenso Terry Pratchett, anche se lui parodizza non un’opera precisa ma i luoghi comuni del genere. La sua comicità fantasy è un’allegoria surreale del mondo moderno, e io volevo andare esattamente in quella direzione: mai riso così tanto come a leggere la Trilogia delle Guardie, per esempio.
Poi, a livello di nonsense e comicità dell’assurdo che sono le tecniche principali della parodia, ne “La Compagnia dell’Anellide” sono presenti innumerevoli fonti di ispirazione: da quelle alte come il Grammelot di Dario Fo, la comicità stralunata e poetica di Charlot e delle “maschere” dialettali italiane, passando per quelle un po’ più “basse” come le gag di Stanlio&Ollio piuttosto che di Bud&Terence e della “commediaccia” italiana anni ‘80, fino ai comici di “Mai Dire Gol” e alle battute autodidatte mie e dei miei amici. Insomma, situazioni comiche le più disparate, ma a monte l’autore deve avere ben presente una direzione verso cui far scorrere la sua opera. E’ il bello della parodia.
La tua opera, “La Compagnia dell’Anellide”, riesce ad essere sopra le righe senza essere volgare e ad incuriosire per quasi tutta la sua durata senza far sentire il peso della narrazione ed anzi fa sorgere la curiosità di conoscere cosa accadrà nella pagina seguente. Pensi ci sarà quindi un seguito e che potrai mantenere su questo livello qualitativo?
Dico sempre che chiunque dichiari di aver interpretato, diretto o scritto (io per primo) un’opera comica, dice una cosa pericolosa per lui e fa atto di poca umiltà, per il semplice motivo che presuppone di far ridere dall’inizio alla fine della sua fatica. E far ridere in maniera intelligente è una delle cose più difficili al mondo, non me ne sono mai reso conto come durante la stesura del mio libro. Ti ringrazio per il tuo giudizio, è esattamente ciò che cercavo di suscitare nel lettore. E’ vero che la tecnica principale della parodia è l’assurdo e il nonsense, ma è un nonsense che, inserito in un contesto più ampio e in una coerenza di fondo, il sense lo acquista eccome. Come dicevamo sopra, è questa la chiave di volta della struttura della Parodia.
Il mio intendimento sarebbe in effetti di scrivere gli altri due libri e sviluppare una “trilogia comica” parallela all’originale; che poi io ci riesca tenendomi al livello di questo libro è tutta un’altra storia. Spero di sì ma confesso di nutrire un po’ di timore al riguardo…credo che sarei matto a non averne. Però dato che il canovaccio originale è uno dei capolavori della letteratura mondiale, spero e confido che la qualità del materiale di fondo sopperisca alle mie eventuali mancanze….
Per molte persone, parodia e dissacrazione vengono rappresentate da fenomeni più spesso (o soltanto, oggigiorno) cinematografici, tra i quali la serie ben nota di Scary Movie, Ghost Movie, Epic Movie e altri: se siano opere degne di venire ricordate, preferiamo lasciarlo decidere ad altri.
Ma tu, per esempio, trovi che la comicità, la dissacrazione, il far ridere, debbano tutti passare per una necessaria volgarità, esternazioni di tipo sessuale o altre forme più o meno terra terra? O si può essere comici e divertenti andando sopra le righe (una comicità alla Aldo, Giovanni e Giacomo, per intenderci, in cui c’è anche la parolaccia, o il momento più crudo o il riferimento al sesso, ma sempre inseriti con criterio in un contesto realistico e non forzato)?
Credo che nulla abbia la potenza comica e poetica (e lo dico senza sarcasmo) della parolaccia o del riferimento erotico detti al momento giusto, anche solo perché la comicità copre tutto lo spettro delle attività umane, comprese volgarità e sesso. Io stesso ho inserito all’interno della mia opera alcune parolacce e qualche momento piccante, ma ho sempre cercato di farlo in modo giustificato e aderente alla coerenza o della trama o del senso generale del racconto. Altrimenti davvero si rischia che la parodia o l’opera comica diventino un’accozzaglia di battutacce e volgarità fini a se stesse messe una in filo all’altra giusto per strappare il sorrisetto o la risatina gratuite. Sono convinto che si possa fare della comicità, come tu descrivi, anche sopra le righe e non bacchettona ma intelligente e divertente, o non avrei mai provato a scrivere il libro. Certo è molto più faticoso che buttare lì due volgarità a caso, ma gli esiti sono a mio parere infinitamente più divertenti e rispettosi dell’intelligenza del pubblico e dell’autore stesso.
intendimento sarebbe in effetti di scrivere gli altri due libri e sviluppare una “trilogia comica” parallela all’originale; che poi io ci riesca tenendomi al livello di questo libro è tutta un’altra storia. Spero di sì ma confesso di nutrire un po’ di timore al riguardo…credo che sarei matto a non averne. Però dato che il canovaccio originale è uno dei capolavori della letteratura mondiale, spero e confido che la qualità del materiale di fondo sopperisca alle mie eventuali mancanze….
Ne La Compagnia dell’Anellide abbiamo notato come alcuni personaggi abbiano una marcata matrice linguistica facile da individuare tanto quanto particolare, nell’ottica di un racconto fantasy: l’alter ego di Boromir che appare uno sciupafemmine con il tipico gergo alla Abatantuono, mentre il nostrano Granpasso parla in modo più serioso grazie all’uso del fiorentino…e potremmo fare altri esempi, in effetti. C’è un motivo particolare per cui hai optato per queste scelte e abbinare ad un dato personaggio un linguaggio piuttosto che un altro?
Come dicevo poc’anzi, il riferimento alle maschere dialettali della nostra immensa tradizione della commedia dell’arte, nonché il riferimento a maschere un pelo più attuali ma comunque ascrivibili in pieno al solco di quella tradizione, è stato forse il riferimento che avevo più chiaro in mente mentre iniziavo la stesura del libro. La genesi invece dei singoli personaggi e l’accoppiamento ad una determinata maschera/matrice linguistica è avvenuta principalmente tramite due processi. Nel primo, era la natura stessa del personaggio, o quantomeno l’idea del personaggio che avevo in mente, a “richiedere” la matrice dialettale stessa. E’ il caso di Bausciaman che ho immaginato come “imprenditore” disonesto, evasore e un po’ trafficone e quindi è stato giocoforza farlo parlare milanese/brianzolo (non me ne vorranno gli amici brianzoli, questa è la natura delle Maschere); così come avendo in mente lo stile da fattucchiera “Amelia la strega che ammalia” per Granladriel, è stato automatico richiamare la sua napoletanità; anche per gli orchetti di Boria, un po’ borgatari, è stato automatico richiamare il romanesco. Anche l’aver “personificato” l’elemento focale del romanzo (ovvero l’Anello), trasformandolo nell’Unico Anellide, lombrico politicamente scorrettissimo e dalla lingua tagliente, è parte di questo disegno.
Nel secondo tipo di processo creativo, come lo stesso Prof. Tolkien insegna, sono partito dai nomi. O meglio, dalla parodia dei nomi. Avendo parodiato Boromir in Sboronmir, la sua personalità da tombeur des femmes ma al contempo goffa era già bella che pronta, e coincideva in pieno col mitico “terrunciello” di abatantuonesca memoria. Fatta questa scelta, il surreale grammelot dell’attore pugliese viene da sé. Stessa cosa per quanto riguarda Gransasso e così via.
Alcuni riferimenti anche parecchio gustosi, tra i quali ricordiamo taluni aneddoti inerenti Ser Pent o lo stesso “Don” Brillo Babbions hanno il sapore di una critica nemmeno troppo velata all’attualità che viviamo: è palese che questo corrisponda ad una ben precisa scelta dell’autore (ossia, tua); ed in effetti la parodia, come la satira, spesso ha avuto una funzione di denuncia “pedagogica”, informando divertendo e facendo riflettere con un gusto, spesso amaro, su certi stereotipi o modelli canonici. Cosa puoi dirci sul punto?
Uno dei temi eterni della Parodia è imitare lo stile di un’opera per fare un’allegoria delle brutture e degli stereotipi, come tu dici, dell’attualità nella quale è immerso il lettore. E’ di sicuro una scelta sempre deliberata e consapevole da parte dell’autore, ma personalmente nel mio libro ho cercato di fare in modo di limitare questo aspetto perché mi rendo conto che abusarne può risultare noioso e ripetitivo. Questo perché non intendevo mummificare “La Compagnia dell’Anellide” in un aspetto preponderante, per esempio di sola satira politica, ma farne una parodia a 360°. Come non hai mancato di notare, però, qui è là qualcosa mi è scappato e proprio non mi sono potuto trattenere. Certo, in quei casi mi sono schierato (e non credo sia difficoltoso capire come): ma sono proprio la parodia e la satira che per loro natura giudicano e si schierano. E non parlo esclusivamente di politica stretta: essendo io residente in Val di Susa, non avrai mancato di notare nel capitolo dedicato al passaggio dei nostri eroi per le Miniere di Boria, qualche corrispondenza o rimando allegorico all’attualità che stiamo vivendo da queste parti…..spero di non essere considerato per questo un pericoloso anarcoinsurrezionalista (come Ganjalf)!!!!
Tra tanti modelli ribaltati rispetto all’opera tolkieniana, un paio sono risultati abbastanza peculiari: Ninfwen (l’alter ego di Arwen) e Felice (l’alter ego di Merry). E se pure è possibile supporre che sia accettabile ribaltare la fedeltà “stoica e storica” di Arwen verso Aragorn trasformando la mezz’elfa in una autentica mangiauomini, il vero colpo di genio è stato giocare sul nomignolo di Merry (“Felice”, appunto, in italiano) per dargli una sessualità oltremodo ambigua, sulla quale però non facciamo anticipazioni. Come pensi siano nate queste maschere?
Per quanto riguarda Ninfwen è stato un numero abbastanza da circo perché non solo è un personaggio generato, come dicevo sopra, dalla parodia di un nome, ma perfino dalla parodia del nome di un altro personaggio, ovverosia Arakorn. E dato che le corna erano la principale prerogativa nel nome del Ramengo, ecco la consequenziale Ninfwen mangiatrice di uomini. Il prendere poi atto che il personaggio è l’antitesi, l’Arwen originale “ribaltata”, non fa che dare ragione a chi sostiene che un’opera non venga inventata ma sia già pronta con tutto quanto al posto giusto e che l’autore la debba solo “scoprire”.
Felice parte appunto anche lui dal nome, e ne viene fuori il personaggio anche in questo caso. Sono “padre” di tutti i miei personaggi, ma Felice è uno di quelli cui sono particolarmente affezionato, lo confesso. Qui, l’idea è venuta pensando anche a come parodiare il colpo di lancia che si becca Frodo a Moria e la conseguente scoperta della cotta di Mithril che portava nascosta: non mi venivano idee. E’ stato sufficiente “trasportare” la situazione da Strobo a Felice.
Un ultimo punto da affrontare: Legoland (ossia Legolas) ed Elfolandia, la trasposizione di Lothlorien in un parco di divertimenti a tema. Queste due trasformazioni ce le devi proprio spiegare…
Beh guarda, anche Legoland è venuto in maniera abbastanza consequenziale…volevo che risultasse il classico “figlio di papà” discretamente inetto (e d’altronde anche il buon Gimli, nella trilogia cinematografica, dà bonariamente un paio di volte del “principino elfico viziato” all’originale). Il nome “Legoland” mi è venuto di primo acchito, quindi ho pensato di trasformarlo definitivamente in un principino elfico con evidenti problemi della crescita e soggetto a tutte le molestie tipiche del bambino viziato tra cui nausee estemporanee e domande continue e fastidiose. So che torme di ammiratrici dell’ottimo Orlando Bloom mi odieranno, ma tant’è.
La parodia di Lorien è invece l’apice della comicità involontaria: ce l’avevo in mente ben prima dell’idea di scrivere la parodia da quando, immerso nel buio della sala cinematografica durante la proiezione del primo film di Jackson, ad un mio amico venne in mente di dire “Cavolo, sembra Disneyland!…” quando si vide Lorien per la prima volta. E la parodia della perfezione totale quale quella del principale regno elfico della Terra di Mezzo, per me, volevo venisse rappresentata da qualcosa che fosse l’apice della finzione costruita, come un parco di divertimenti.
Congratulandoci con l’autore per la disponibilità e la competenza mostrate, gli auguriamo il successo che merita e gli diamo un appuntamento prossimamente su Isola Illyon non appena avrà preparato un nuovo capitolo della sua divertente (e irriverente?) parodia.
– Leo d’Amato –