Il Nintendo 64 è stata una console che ha avuto poco successo commerciale in Europa, specialmente in Italia. Le motivazioni sono state varie: il mercato era praticamente monopolizzato soltanto da PlayStation (che, ricordiamo, molto del suo successo l’ha costruito anche con la pirateria, diffusissima), e la distribuzione dei Nintendo 64 (e dei suoi giochi) al di fuori del Giappone era piuttosto scarsa se paragonata ai numeri della macchina di Sony. Reperire una cartuccia era piuttosto difficile, e quando poi trovavi dei negozi che le vendevano, ti sentivi sparare anche prezzi allucinanti (ricordo bene le 130,000 lire di Pilotwings e le 150,000 di Pokémon Stadium). Ciò nonostante, sulla console a 64-bit di Nintendo sono usciti decine e decine di capolavori, e tra questi spiccano senza dubbio i due episodi di The Legend of Zelda, i protagonisti della retrospettiva di questa settimana.
The Legend of Zelda: Ocarina of Time (1998)
Parlare di Ocarina of Time è sempre un po’ difficile: alcune volte si ha l’impressione di non riuscire ad esprimere a parole la sua grandiosità. Parto da un presupposto: per me questo gioco, oltre ad essere l’episodio migliore della saga, è anche il videogioco più bello in assoluto. Proprio di sempre. Credo proprio che sia difficile riuscire ad ottenere in un altro titolo il mix di epicità, vastità dei contenuti, caratterizzazione dei personaggi, elementi di gioco di ruolo e colonna sonora da brividi che ha Ocarina of Time. Un capolavoro dal primo all’ultimo pixel.
Iniziamo parlando della trama: dopo la breve e onirica escursione sull’Isola Koholint, torniamo nelle lande di Hyrule. Ancora una volta nei panni di un giovane Link, saremo avvertiti di una minaccia incombente: un misterioso uomo proveniente dal deserto, infatti, tramerebbe per mettere le sue mani sul regno. Raggiunto il castello alla ricerca di informazioni, faremo la conoscenza della principessa Zelda, che ci confermerà quei sospetti: Ganondorf, il Re dei Ladri, è alla ricerca della Triforza, il magico triangolo che gli donerebbe infiniti poteri. La ragazza ci chiede dunque di raccogliere alcuni artefatti capaci di aprire le porte del Sacred Realm, il luogo dove è custodito il tesoro, e di impedire al cattivone di impossessarsene. Una volta aperto il portale per il Regno Dorato, però, Ganondorf — che ci ha seguiti di nascosto — si intrufola insieme a noi al suo interno. Essendo troppo giovani, non abbiamo la forza necessaria a sconfiggerlo, quindi il nostro spirito viene messo a riposo, e risvegliato dopo sette anni: saremo così pronti per impugnare la Master Sword e affrontare alcuni dungeon per liberare dei saggi, che si occuperanno di sigillare il nemico.
La storia, come sempre in tutti gli Zelda, è perlopiù un pretesto: il cuore del gioco è il suo gameplay. La meccanica base di ogni episodio (dungeon -> arma/oggetto nuovo -> boss sconfitto con quell’arma/oggetto -> nuovo dungeon sbloccato grazie all’arma/oggetto) torna ovviamente anche qui, ma stavolta incredibilmente ampliata dalle tantissime possibilità e luoghi esplorabili. Alle armi e agli oggetti già apparsi nei vecchi capitoli (come le bombe, l’arco e l’arpione) si affiancano nuove meccaniche che sono diventate un po’ il marchio di fabbrica della saga. Ruolo fondamentale, infatti, ha lo strumento musicale che dà il nome al gioco, l’Ocarina del Tempo. Nel corso dell’avventura è possibile imparare diverse melodie (eseguibili con i tasti del controller), ognuna con un proprio effetto (richiamare la nostra cavalla Epona, scatenare un temporale, teletrasportarsi in un luogo, far sorgere il sole, e tanti altri), necessari anche a risolvere i numerosi enigmi e le missioni secondarie disponibili. Questo Zelda è anche il primo gioco in assoluto a introdurre due elementi che da quel momento in poi tantissimi titoli adotteranno, ovvero il cosiddetto Z-targeting (e cioè la possibilità di posizionare un cursore su un singolo nemico/personaggio, puntando la nostra attenzione esclusivamente verso di lui — la “Z” si riferisce al grilletto che si premeva sul bellissimo controller del Nintendo 64 per attivare la funzionalità) e i tasti “context-sensitive” (ovvero l’indicatore di un tasto che modificava dinamicamente la sua funzione in base alle diverse situazioni, come ad esempio “rotola”, “apri la porta”, “raccogli”, tutti assegnati allo stesso pulsante): se ci pensate bene, sono sfruttati praticamente ovunque. E le musiche? Semplicemente poetiche, sempre azzeccate, una più bella ed evocativa dell’altra. Non va dimenticato, inoltre, che questo titolo è praticamente il fulcro della timeline di Zelda, il punto in cui, secondo Nintendo, la narrazione si “spezza” in 3 diversi filoni, e prosegue in altrettante direzioni parallele (che poi vedremo insieme). Ci sarebbe veramente tanto, tanto altro da dire, ma così rischierei di mettere in secondo piano l’altro titolo di Zelda apparso sul monolite nero di Nintendo, quindi spazio a Majora’s Mask!
The Legend of Zelda: Majora’s Mask (2000)
Due anni più tardi approda su Nintendo 64 il seguito diretto di Ocarina of Time, un gioco molto particolare, oserei dire un esperimento, che è arrivato quasi a spaccare in due il giudizio degli appassionati. Majora’s Mask resta uno Zelda strutturalmente simile agli altri episodi della serie, ma con alcune differenze al livello di gioco che lo rendono unico. La storia racconta di Link che, a cavallo di Epona, è alla ricerca di un non meglio identificato amico. Cavalcando, si imbatte nello Skull Kid, uno strano tipo con una maschera sul volto, che gli ruba l’Ocarina del Tempo e gli infligge una maledizione che lo trasforma nel Deku Scrub, una creatura simile ad una pianta. Il nemico fugge, e inseguendolo attraverso un tunnel, Link finisce nella città di Clock Town. Perdute le sue tracce, il protagonista fa conoscenza con l’Happy Mask Seller, bizzarro venditore di maschere che è disposto ad aiutarlo, a patto che Link recuperi dallo Skull Kid la Majora’s Mask e la riporti a lui, e che salvi Clock Town, bersaglio della Luna, in caduta sul regno a mo’ di meteorite. Una volta trovato il suo avversario, il giovane è sopraffatto e sconfitto, ma riesce lo stesso a recuperare l’Ocarina. Grazie ad essa, spezza la maledizione e torna ad essere normale, ottenendo anche una maschera che, indossata, è capace di ritrasformarlo nel Deku Scrub. Sfruttando i poteri della mutazione, deve raggiungere quattro diversi dungeon e sconfiggere altrettanti boss, in maniera da risvegliare dei giganti capaci di fermare l’inarrestabile caduta della roccia gigante, salvando così la sua pelle e quella degli abitanti di Clock Town.
Uno degli elementi chiave su cui ruota il gameplay di questo episodio è proprio l’utilizzo delle maschere: Link, infatti, ne trova diverse nel corso dell’avventura, e indossandole si trasforma in altre creature acquisendo poteri alternativi, utili ovviamente a risolvere enigmi, raggiungere luoghi altrimenti inaccessibili e sconfiggere certe tipologie di nemici. In più, c’è un altro fattore curioso che ci accompagna per tutta l’avventura, ovvero il Game Over incombente dovuto alla minaccia della Luna: il tempo, infatti, scorre in maniera “realistica”, ed abbiamo quindi tre giorni di gioco (equivalenti a 54 minuti reali) per impedire il disastro. Chiaramente è impossibile completare tutto in così poco tempo, e infatti quando il tempo è agli sgoccioli ci viene richiesto di suonare la Song of Time con l’Ocarina, per riavvolgerlo e tornare all’inizio delle 72 ore, mantenendo però intatti i progressi essenziali di gioco (maschere raccolte, dungeon completati, armi/oggetti trovati, e così via). Il bello di Majora’s Mask, però, è anche quel senso di inquietudine che permea tutta l’avventura: Termina, il regno dove ci ritroviamo a vagare, è una sorta di Hyrule parallela, dove si rincontrano tanti volti noti già visti in Ocarina of Time, ma cambiati (nel ruolo, ma anche nel comportamento); inoltre, c’è spesso un senso di mistero intorno ad alcuni eventi, che contribuisce a rendere questo gioco davvero unico. Come ho già detto, il titolo ha praticamente diviso gli appassionati: c’è chi l’ha trovato geniale, e chi invece assolutamente non in linea con ciò che è Zelda, anche perché questo Majora’s Mask è leggermente più complesso del precedente episodio, sia dal punto di vista del gameplay che dell’accessibilità generale.
Dove sono reperibili oggi questi due titoli? Oltre che sulla Virtual Console di Wii, è possibile giocarli su alcuni dischi bonus rilasciati nell’epoca GameCube, uno reperibile con l’Edizione Limitata di The Legend of Zelda: The Wind Waker (che contiene Ocarina of Time e Ocarina of Time Master Quest, una versione più impegnativa del gioco), e l’altro venduto col bundle di Mario Kart Double Dash (che contiene Majora’s Mask). Ocarina of Time è stato anche riproposto su Nintendo 3DS tramite un remake, con grafica aggiornata, traduzione in italiano, e alcune correzioni ai dungeon: si tratta sicuramente del metodo migliore per godersi questo capolavoro. Quanti di voi, invece, li hanno giocati?
–Mario Ferrentino–